Il facchino
Chi non conosce – sia pure per pratica – il significato di “facchino”? Se non altro basta aprire un qualsivoglia vocabolario della lingua italiana alla voce in oggetto e leggere: «chi, per un certo compenso, trasporta oggetti pesanti; specialmente nelle stazioni ferroviarie o nei porti» e, con significato figurato, e soprattutto spregiativo, «persona dai modi rozzi e volgari». Bene.
Occorre dire, però, che in origine, quando cioè nacque, questo sostantivo non aveva l'accezione volgare odierna, anzi…
Se oggi, qualcuno di voi, cortesi amici, di ritorno da un viaggio di piacere all'estero, si rivolgesse a un funzionario di dogana alla frontiera e lo apostrofasse con un «facchino» offenderebbe il dirigente e potrebbe passare anche un brutto quarto d'ora.
Non era, invece, un'offesa quando il termine facchino vide la luce, anche se non tutti concordano sull'etimologia del vocabolo.
Il facchino, infatti, originariamente, era lo scrivano di dogana. Secondo G.B. Pellegrini (“Gli arabismi nelle lingue neolatine con speciale riguardo all'Italia”) il vocabolo risale alla voce araba faquih, teologo, giureconsulto, e passato in seguito a indicare il «legale chiamato a dirimere controversie relative alla dogana».
Il passaggio corrotto semantico (significato delle parole) da doganiere a portatore di pesi (facchino) sarebbe avvenuto in seguito alla gravissima crisi economica del mondo arabo, allorché, nei secoli XIV e XV, i doganieri furono costretti – per sopravvivere – al piccolo commercio di stoffe che essi stessi trasportavano – sulle proprie spalle – di piazza in piazza.
Con il tempo, quindi, il facchino ha perso il significato austero di funzionario di dogana per acquisire quello spregiativo di persona rozza, volgare e per questo motivo si tende a sostituirlo con un termine più “civile”: portabagagli.
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