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Alessandro Manzoni
(✶1785   †1873)

Degola e i rapporti con i Manzoni
Inizialmente il sacerdote ebbe il compito di preparare Enrichetta Blondel all'abiura del calvinismo, chiedendole di scrivere dei riassunti delle lezioni di religione cattolica (chiamati ristretti), affinché fossero poi corretti dallo stesso abate genovese. L'abiura, poi, fu sottoscritta in un atto ufficiale il 3 maggio 1810 e celebrata solennemente il 22 maggio nella Chiesa di Saint-Séverin, alla presenza del circolo giansenista e dell'abate Degola. L'ascendente del prete giansenista è comunque innegabile: rimane a testimoniarlo il pluriennale carteggio che il sacerdote genovese intrattenne con Manzoni, con la moglie e con Giulia Beccaria. È relativamente facile ricostruire i passaggi attraverso cui la Blondel si convertì al cattolicesimo, ma non è chiaro perché ciò avvenisse. Probabilmente il Manzoni, che era «un animo non veramente ribelle», accettava con fastidio un matrimonio non benedetto e aver dovuto ammettere questa situazione, quando la figlia fu iscritta nel registro dei battesimi, dovette metterlo a disagio.

Il ritorno in Italia (1810-1812)

Tra Via del Morone e Brusuglio. La famiglia
Quanto lo spirito del Manzoni fu cambiato, negli ultimi mesi della permanenza parigina, o, meglio, quanto fosse in contraddizione con i valori e i modelli precedenti, è difficile dire. Sicuramente la grande città francese, capitale del bel mondo e degli intellettuali del momento, non esercitava più alcun fascino su di lui. Bisognoso di tranquillità, Manzoni lasciò Parigi con la famiglia il 2 giugno, diretto a Brusuglio, dove giunse, nonostante alcuni inconvenienti, qualche settimana più tardi. Li doveva, però, aspettare la collera della famiglia Blondel, adirata per la conversione di Enrichetta al cattolicesimo, un risentimento che non diminuì con il passare degli anni. Al ritorno dalla Francia, i Manzoni alternarono periodi a Brusuglio e in città, dimorando nella villa fuori porta quando veniva la bella stagione, ove Alessandro si dedicava all'agricoltura. A Milano, si stabilirono per quasi due anni al numero 3883 di via S. Vito al Carobbio, per poi trascorrere un anno nel palazzo dei Beccaria, in via Brera, finché il 2 ottobre 1813 il poeta acquistò una casa in via del Morone, al numero 1171 (oggi 1). Manzoni era sempre stato abituato a vivere in mezzo al verde: la nuova dimora, che dava su piazza Belgioioso, aveva «un giardino proprio interno, con certo quale sentore di chiostro, assolutamente quel che ci voleva per l'indole del Manzoni». In via del Morone l'autore avrebbe trascorso il resto della propria vita. Nel corso degli anni seguenti i membri della famiglia Manzoni, che alternavano la loro residenza tra il palazzo cittadino e la villa di Brusuglio, crebbero di numero. Il 5 settembre 1811, quando la famiglia Manzoni abitava ancora in via S. Vito al Carobbio, la secondogenita Luigia Maria Vittoria morì subito dopo il parto; fu il primo dei tanti lutti che costelleranno la vita del Manzoni. Meno di due anni più tardi, vide la luce in via Brera il primo figlio maschio, Pietro Luigi (21 luglio 1813). Il 25 luglio 1815, la casa di via del Morone fu allietata dalla nascita di Cristina. Nel giro di pochi anni vennero al mondo anche Sofia (12 novembre 1817), Enrico (7 giugno 1819), nell'agosto 1821 Clara, vissuta due anni; 13 mesi dopo, Vittoria; Filippo nel marzo 1826 e Matilde nel maggio 1830.

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Da Degola a Luigi Tosi: la nuova guida spirituale
Prima di partire, i Manzoni avevano chiesto al sacerdote giansenista di indicar loro una persona degna di fiducia che potesse continuare la sua opera di assistenza spirituale. Il 30 maggio Degola scriveva una lettera di raccomandazione per don Luigi Tosi, canonico di Sant'Ambrogio e anch'egli giansenista. Sia Giulia che Alessandro ebbero del Tosi un'ottima impressione, come può evincersi dalle parole di Alessandro: «Il degnissimo Canonico Tosi fu visitato da mia madre e me […], e fu trovato un vero amico del Dégola; e questo basti per suo elogio». Il sacerdote si recava anche a Brusuglio, quando la famiglia vi soggiornava, e mantenne la sua funzione di guida spirituale per molti anni, anche dopo la sua elezione a vescovo di Pavia, avvenuta nel 1823. Ad Alessandro, come alla moglie e alla madre, non era ancora stato amministrato il sacramento della Comunione. Dopo una breve preparazione, Manzoni si confessò il 27 agosto e il 15 settembre, assieme a Giulia ed Enrichetta, si accostò per la prima volta all'Eucarestia, anche se il percorso di conversione completa fu ancora molto lungo. Infatti, nell'agosto 1811, il neofita inviava a Degola e Tosi delle lettere, in cui chiedeva rispettivamente di pregare «perché piaccia al Signore scuotere la mia lentezza nel suo servizio e togliermi da una tepidezza che mi tormenta, e mi umilia», e affermava che «malgrado la mia profonda indegnità sento quanto possa in me operarne [di bene] la Onnipotenza della Divina Grazia».

Il quindicennio creativo (1812-1827)

Introduzione
Espressione ormai adottata in generale dalla critica letteraria, il «quindicennio creativo» suole indicare quell'arco temporale in cui Manzoni, ormai convertito al cattolicesimo e alle idee romantiche, si prodigò nella stesura delle sue opere letterarie principali, spaziando dalla poesia sacra a quella civile, dai saggi filosofico-religiosi alle tragedie, per giungere infine alla stesura del primo grande romanzo della storia della letteratura italiana. In tutti questi generi, Manzoni apportò elementi nuovi e rivoluzionari rispetto alla tradizione letteraria: l'autore non è più l'isolato ed esclusivo portavoce dei propri sentimenti, ma si fonde con il resto dell'umanità per elevare, con le tecniche letterarie di cui è fornito, un canto di redenzione universale. Il deciso pluralismo spirituale dell'ecumene umano, che appare cristallino ed evidente negli Inni Sacri, emerge nella catarsi salvifica delle tragedie, del 5 Maggio e mirabilmente nei Promessi Sposi, capolavoro della speranza cristiana. La fredda retorica neoclassica emersa nell’Urania e nel poemetto idillico Partenide e in quello civile La vaccina (quest'ultimo lasciato incompleto) lasciano spazio a istanze progressivamente romantiche.

Gli Inni Sacri
D'ora in avanti, la sua vita e la sua arte saranno pienamente conformi alla fede e alla necessità di divulgarla con l'esempio e con le opere. Nel 1812 cominciò la stesura degli Inni Sacri: l'autore voleva scrivere nell'ordine Il Natale, L'Epifania, La Passione, La Risurrezione, L'Ascensione, La Pentecoste, Il Corpo del Signore, La Cattedra di San Pietro, L'Assunzione, Il Nome di Maria, Ognissanti e I Morti, ma ne portò a termine solo cinque: La Risurrezione, Il nome di Maria, Il Natale, La Passione e La Pentecoste. I primi quattro furono scritti tra l'aprile 1812 e l'ottobre 1815, e pubblicati in un volumetto presso l'editore milanese Pietro Agnelli alla fine del 1815. Più lungo tempo richiese la stesura de La Pentecoste, iniziata nel 1817 e completata solo cinque anni più tardi, rallentata da altre opere cui l'autore attese nei medesimi anni, tra cui spiccano le due tragedie e la prima versione del romanzo. Dio è visto come riscatto e consolazione per l'umanità sofferente, come unica alternativa alle filosofie che hanno creduto di trovare nella forza e nel pensiero dell'uomo la soluzione alle esigenze più profonde dell'esistenza. L'intenzione dell'autore è quella di una poesia popolare, da cui lo stile talvolta si allontana perché ancora influenzato dalla formazione neoclassica, per poi ritornare alla comunità dei credenti che innalza, insieme al poeta, un canto di lode a Dio, unica sicurezza contro il male sempre imperante nella Storia.

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Il 1814 e le Odi civili
Mentre Manzoni elaborava gli Inni Sacri, la situazione politica italiana e internazionale si stava velocemente deteriorando: Napoleone, fortemente debilitato dopo la disastrosa campagna di Russia del 1812, crollava nella grande battaglia di Lipsia del 1814. Di conseguenza, anche gli Stati satelliti francesi, tra cui il Regno d'Italia, caddero sotto i colpi della coalizione austro-russa, obbligando Eugenio de Beauhrneais a fuggire da Milano e permettendo così agli austriaci di rientrare in Lombardia dopo vent'anni di assenza. Manzoni vive questi momenti drammatici con grande angoscia, assistendo dal suo palazzo di Via del Morone, il 20 aprile 1814, al linciaggio del ministro delle finanze Giuseppe Prina, la cui violenza (deplorata vivamente dal Manzoni) viene narrata dal poeta milanese in una lettera indirizzata al Fauriel. A parte l'episodio del Prina, Manzoni partecipò intensamente al tentativo di mantenere indipendente l'Alta Italia con un regno il cui re sarebbe stato proprio il Beauhrneais, sottoscrivendo una petizione presso le grandi potenze vittoriose riunitesi a Parigi. Poeticamente, invece, il Manzoni contribuì all'effimero sentimento patriottico con la stesura di due canzoni entrambe rimaste incompiute: Aprile 1814 (sette strofe scritte tra il 22 aprile e il 12 maggio 1814), in cui si rievoca il terremoto politico milanese in chiave patriottica e la denuncia verso la politica napoleonica; e Il proclama di Rimini (aprile 1815), ove Manzoni riflette sull'omonimo discorso tenuto dall'ex re di Napoli Gioacchino Murat per la difesa dell'Italia, e inquadrandolo come un Liberatore inviato da Dio per sottrarre gli italiani dalla schiavitù.

Manzoni e il dibattito tra classicisti e romantici
Gli anni successivi alla conversione furono assai significativi per il panorama letterario e culturale italiano. L'Italia, ancora ancorata a una salda tradizione classicista grazie ai magisteri passati di autori quali Parini e Alfieri, e attuali quali quello del Monti, fu costretta a confrontarsi con la nuova temperie romantica europea. Nel gennaio del 1816, infatti, l'intellettuale francese Madame de Staël pubblicò, sul primo numero del giornale letterario la Biblioteca Italiana, un articolo intitolato Sulla maniera e l'utilità delle traduzioni, in cui attacca l'ostinato ancoraggio degli italiani a una vacua retorica, ignorando invece le novità letterarie provenienti dalla Germania e dall'Inghilterra. Alla successiva querelle tra classicisti (capeggiati da Pietro Giordani) e romantici (tra i quali spiccano Ludovico di Breme e Giovanni Berchet), Manzoni non partecipò attivamente. Benché fosse apertamente dalla parte dei romantici (l'ode L'ira di Apollo testimonia, in chiave ironica, l'ira del dio della poesia pagano per essere stato escluso dai testi poetici) e partecipasse alla Cameretta letteria animata da Ermes Visconti, Gaetano Cattaneo, Tommaso Grossi e, soprattutto, dal poeta dialettale Carlo Porta, Manzoni si rifiutò di collaborare apertamente sia alla Biblioteca Italiana che al successore della prima rivista, Il Conciliatore. Oltre all'interesse sempre crescente per la formulazione di una poetica cristiana e l'inizio delle indagini sul genere teatrale, furono determinanti anche la nevrosi depressiva che colpì Manzoni, per la prima volta, nel 1810 (in occasione dello smarrimento di Enrichetta) e, in modo sempre più debilitante, negli anni successivi: disturbi agorafobici, attacchi di panico, svenimenti e difficoltà a parlare in pubblico avevano minato i suoi rapporti interpersonali, costringendolo a una vita tranquilla e ritirata nei suoi possedimenti di Brusuglio o nella quiete del suo palazzo milanese.

Fonte: Wikipedia, l'enciclopedia libera

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