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Alessandro Manzoni
(✶1785   †1873)

Manzoni e il teatro
Decisiva fu l'impronta che Manzoni lasciò nella storia del teatro italiano. Dopo la stagione alfieriana, Manzoni intervenne sulla struttura e la finalità stessa del dramma, il quale non deve impegnarsi a descrivere il verosimile (fattore che escludeva l'artificiosità delle tre unità aristoteliche) e i moti dell'anima dei protagonisti, campo d'indagine proprio del poeta e non degli storici di professione. La poetica teatrale, informata di un disegno educativo e morale che Manzoni si proponeva di trasmettere ai lettori, è esposta teoricamente ne I materiali estetici e nella ben più celebre Lettera a Monsieur Chavuet (1820), in cui il letterato milanese difende la concezione del teatro esposta ne Il Conte di Carmagnola e, successivamente, nell’Adelchi. La stesura del primo dramma, iniziata il 15 gennaio 1816, si interruppe all'inizio dell'anno successivo, dopo il compimento del secondo atto, a causa dell'impegno profuso nelle Osservazioni sulla morale cattolica e dei già noti problemi di salute psichica che affliggevano l'autore. Il 5 luglio 1819 Manzoni rimise mano al testo, portandolo a termine nel giro di pochi mesi. Nel 1820 Vincenzo Ferrario pubblicava a Milano la prima edizione dell'opera. L’Adelchi, invece, fu edito nel 1822, mentre cominciava a profilarsi, nella mente di Manzoni, la visione narrativa del romanzo.

La crisi del 1817 e le Osservazioni sulla morale cattolica (1818-1819)
Intanto, Manzoni era andato incontro a una crisi spirituale che durò pochi mesi, nella primavera del 1817, e fu determinata da più fattori. Il più importante va senza dubbio cercato nell'appoggio della Chiesa alla Restaurazione: il liberale Manzoni non concepiva tale connubio politico, elemento che poneva in conflitto la religione cristiana in cui fermamente credeva e l'orientamento politico della Chiesa Cattolica che non condivideva. La delusione che ne derivò portò all'acuirsi della sua malattia nervosa e a un conseguente raffreddamento nella pratica religiosa, come si evince da una lettera di Tosi al Degola, in cui il padre spirituale dello scrittore comunicava il superamento della crisi (14 giugno 1817). Anche con il futuro vescovo di Pavia c'era stato un piccolo scontro, presto dimenticato, quando Manzoni gli aveva manifestato il desiderio di tornare per un periodo a Parigi, incontrando un'opposizione che gli parve esagerata. Il sacerdote ravvisava infatti nel trasferimento un pericolo per la fede del discepolo, desideroso, al contrario, di rivedere Fauriel, e speranzoso di trarre beneficio per i propri disturbi nervosi. Manzoni chiese ugualmente di poter partire, ma in maggio la polizia gli negò i passaporti.

Accantonata provvisoriamente l'ipotesi parigina, Manzoni interruppe il Conte di Carmagnola ritirandosi in campagna, dove si immerse nella lettura di testi filosofici che saranno alla base delle Osservazioni sulla morale cattolica. Le postille manzoniane agli autori studiati sono utili per determinare quali libri affrontasse in quei mesi e per scoprire come lo scrittore li giudicasse. Le postille a Locke, a Condillac e a Destutt de Tracy provano la distanza di Manzoni dal loro pensiero, ma la sua attenzione, nel preparare le Osservazioni, andò soprattutto all’Histoire des Républiques Italiennes di Sismondi, il cui sedicesimo e ultimo volume uscì a Parigi nel 1818. L'opera, che era stata la fonte principale della tragedia, recava nell'ultimo tomo delle violente accuse contro il cattolicesimo, suscitando nel canonico Tosi una reazione indignata, chiedendo così a Manzoni di controbattere: il frutto di tale apologia vide le stampe nel 1819, quando Manzoni lo pubblicò con il titolo Sulla Morale Cattolica, osservazioni di Alessandro Manzoni, Parte prima.

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Il secondo soggiorno parigino (1819-1820)
Già dal 1817, Manzoni pensava di ritornare a Parigi, luogo felice della giovinezza ove sperava di poter guarire dalle crisi di nervi di cui soffriva sempre più in modo accentuato. I preparativi per la partenza, però, furono sempre rimandati a causa della difficoltà di ottenere i passaporti da parte delle autorità austriache. Solamente nel 1819 Manzoni ottenne i passaporti, e con l'intera famiglia partì per la Francia il 14 settembre. Nella capitale francese, Manzoni frequentò lo storico Augustin Thierry (1795-1856) e il filosofo Victor Cousin (1792-1867). La conoscenza di Thierry ebbe un'influenza importante sulla concezione manzoniana della storia, e una certa rilevanza ebbe anche lo spiritualismo di Cousin. Benché le idee di quest'ultimo non fossero del tutto eterodosse in materia di religione, affermazioni quali «Sans Dieu, l'homme et la nature restent un mystère» (Senza Dio, l'uomo e la natura restano un mistero), oppure «La loi suprème, c'est […] la sainteté, le dévouement, la charité, l'amour du prochain; c'est surtout l'amour de Dieu» (La legge suprema consiste […] soprattutto nella santità, nella devozione, nella carità, nell'amore per il prossimo; si manifesta soprattutto nell'amore di Dio).

Il culmine della creatività manzoniana
Manzoni, però, non trovò giovamento dal soggiorno parigino: le crisi di nervi non erano infatti passate, e cominciava a provare nostalgia di casa. Pertanto, dopo un soggiorno di appena un anno, il 25 luglio lui e la famiglia al completo partirono da Parigi, per rientrare a Milano l'8 agosto. Passata l'estate, Alessandro iniziò gli anni più frenetici del quindicennio creativo, in cui elaborò quei concetti religiosi/provvidenzialistici che troveranno il culmine nell’Adelchi e nel Cinque maggio, basi fondamentali per l'economia dei Promessi Sposi, insieme all'inizio della riflessione linguistica, strutturale e artistica del genere del romanzo stesso.

Il biennio 1820-1822: le basi del Romanzo
A partire dal novembre del 1820, infatti, Manzoni cominciò a stendere la tragedia dell’Adelchi. Dopo aver gettato giù un primo abbozzo della tragedia tra l'inverno 1820 e la primavera del 1821, improvvisamente Manzoni abbandonò momentaneamente il suo lavoro, per riprendere in mano la poesia civile con la stesura di Marzo 1821, celebrante la presunta invasione del Lombardo-Veneto da parte delle truppe sardo-piemontesi dopo l'abdicazione di Vittorio Emanuele I. L'opera lirica (stesa tra il 15 e il 17 marzo), rispetto alle odi di sette anni prima, rivela una maggior compattezza strutturale e sicurezza sia nel tono del linguaggio, sia nel trattare gli stati d'animo dei patrioti italiani. Scemata l'euforia generale a causa del fallimento dei moti, Manzoni rimise mano all’Adelchi, cominciando a leggere, come per il Conte di Carmagnola, varie fonti storiche (rielaborate nel coevo saggio storico intitolato Discorso sur alcuni punti della storia longobardica in Italia) perché ci fosse un'aderenza tra il vero storico (cioè gli eventi storici realmente accaduti) e il vero poetico (cioè l’inventio narrativa dello scrittore), concezione della storia appresa alla scuola di Thierry e degli idéologues. L'anno 1821, però, fu pregno di eventi significativi per la storia italiana ed europea: oltre ai moti sopracitati, infatti, il 5 maggio moriva sull'Isola di Sant'Elena l'esiliato Napoleone Bonaparte, notizia che però giunse in Europa soltanto nel mese di luglio. Manzoni aveva letto della scomparsa dell'ex imperatore dei francesi, infatti, su di un articolo della Gazzetta di Milano del 17 luglio 1821, e ne rimase profondamente scioccato: il nobile meneghino era rimasto profondamente affascinato dal titanismo, dal carisma e dal genio militare di Napoleone, e immediatamente si accinse a stendere un'ode che ne ripercorresse la vita. Fu così che, tra il 18 e il 20 luglio, Manzoni stese questo capolavoro in cui la grandezza di Napolone non risiede nelle sue imprese terrene, quanto nell'aver compreso, attraverso le sofferenze dell'esilio, la vanità delle glorie passate e l'importanza assoluta della Salvezza. Il parallelo con le vicende di Adelchi ed Ermengarda, dimostra l'intreccio elaborativo di questi mesi, e della formulazione di quella provvida sventura che sarà alla base del romanzo.

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Dal Fermo e Lucia ai Promessi Sposi (1822-1827)
Manzoni iniziò a dedicarsi alla scrittura di un romanzo a partire dall'autunno del 1821, ma la stesura vera e propria del Fermo e Lucia era iniziata il 24 aprile 1821, dopo aver letto l’Ivanhoe tradotto in francese. Nella quiete della sua villa di Brusuglio, Manzoni iniziò a scrivere il suo romanzo dopo aver quindi iniziato la lettura dei romanzi europei, specialmente inglesi, in quanto la letteratura italiana si era concentrata su altre tipologie di generi prosaici. Oltre a Walter Scott Manzoni, seguendo già la metodologia adottata per le tragedie, cominciò un vero e proprio lavoro di documentazione storica, che si basò sulla lettura della Historia patria di Giuseppe Ripamonti e l’Economia e statistica di Melchiorre Gioia. Seguendo le postille lasciate dal Manzoni, questi iniziò a stendere la prima minuta del Fermo e Lucia (il cui titolo fu suggerito dall'amico Ermes Visconti, come testimoniato in una lettera del 3 aprile 1822), consistente in un foglio protocollo diviso in due colonne: a sinistra Manzoni scriveva il testo, mentre sulla destra riportava le correzioni. La seconda fase di stesura del romanzo, dovuta all'ultimazione dell’Adelchi e alla stesura del Cinque maggio terminò poi il 17 novembre 1823. Fu quindi edito nel 1825. Il passaggio dal Fermo e Lucia, romanzo caratterizzato da una struttura narrativa poco armonica a causa della divisione in tomi e di ampie parti dedicate a suor Gertrude e al Conte del Sagrato, ai Promessi Sposi fu alquanto travagliato, e non soltanto per la revisione strutturale. Infatti, oltre all'aspetto organizzativo, Manzoni si accorse del linguaggio artificioso e letterario da lui usato, elemento non rispondente alle esigenze realistiche cui tendeva la sua poesia. Scegliendo il toscano come lingua colloquiale per i suoi personaggi, pubblicò la cosiddetta ventisettana (nome dato alla prima edizione dei Promessi Sposi), ma si accorse di come ci fosse la necessità di ascoltare direttamente l'eloquio di quella regione: decise, così, di partire per Firenze.

Il viaggio in Toscana (1827)

In seguito Manzoni, per dare vita alla stesura finale del romanzo a livello formale e stilistico, si trasferì a Firenze nel 1827, in modo da entrare in contatto e "vivere" la lingua fiorentina delle persone colte, che rappresentava per l'autore l'unica lingua dell'Italia unita. Il viaggio, iniziato il 15 luglio, vide l'intera famiglia Manzoni (figli, l'anziana madre Giulia e la moglie Enrichetta) passare per Pavia (dove si fermarono per salutare il canonico Tosi, ora vescovo della città), Genova, Lucca, Pisa e infine, il 29 agosto, nella capitale del Granducato di Toscana. Il soggiorno, che durerà fino all'ottobre, fu un trionfo per don Alessandro: i membri del Gabinetto Vieusseux (con in testa Niccolò Tommaseo, lo stesso Giovan Pietro Vieusseux, Giovanni Battista Niccolini e Gino Capponi) gli vennero incontro con tutti gli onori, e anche lo stesso Giacomo Leopardi, che non ammirava né condivideva la poetica del Manzoni, lo salutò cordialmente. La fama de I Promessi Sposi superò presto i confini dei circoli letterari, giungendo presso la stessa corte granducale, ove Leopoldo II in persona ricevette il romanziere. Tra queste serate, ricevimenti e impegni (che pesarono a Manzoni, per via dei suoi problemi nervosi), don Alessandro poté procedere con la sua indagine linguistica, avvalendosi del contatto diretto sia con la nobiltà fiorentina, sia con il popolo, notando la somiglianza della terminologia utilizzata dalle due classi. Il frutto di tali osservazioni fu fondamentale per la scelta del fiorentino (e non più del generico toscano) come lingua quotidiana per i personaggi del suo romanzo, scelta che portò, nel corso degli anni '30, a rivedere i suoi Promessi Sposi, pubblicandoli definitivamente nel 1840 insieme alla Storia della colonna infame, un saggio che riprende e sviluppa il tema degli untori e della peste, che già tanta parte aveva avuto nel romanzo, del quale inizialmente costituiva un excursus storico.

Fonte: Wikipedia, l'enciclopedia libera

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