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Antonio Fogazzaro
(✶1842 †1911)
Giudizio della critica
Un saggio di Benedetto Croce, apparso nel 1903 e poi inserito nella sua Letteratura della nuova Italia, era molto critico nei confronti del vicentino: «...cattolico, tiene fermo persino all'infallibilità del papa: ma è insieme ossequente alla moderna scienza naturale darvinistica, e pensa che la fede non le si opponga, e anzi la compia e le si armonizzi; e riconosce importanza ai fenomeni della suggestione, della telepatia, dello sdoppiamento, della chiaroveggenza, dello spiritismo, come segni di futura unione della scienza con la fede.» Messa così in luce la contraddizione fra il panteismo dinamico di Darwin e la fede in un Dio trascendente di Fogazzaro, e rilevato anche come l'etica dello scrittore odorasse «...di blandizie e di alcova», il filosofo napoletano ne criticava la visione politica: «...la sua politica sembra antistorica, un neoguelfismo socialistico, che la chiesa e il gesuitismo imperante respingeranno, salvo il caso che non si riveli adatto a servire da maschera a intenti di reazione».Il critico Natalino Sapegno coglie nel poemetto Miranda e nelle liriche di Valsolda gli elementi della formazione letteraria di Fogazzaro: il romanticismo sentimentale di Aleardo Aleardi e certe irrequietezze della Scapigliatura. I temi dei romanzi, evidenziati da Sapegno, sono: il gusto degli ambienti aristocratici, dei conflitti interiori che agitano le anime elette e i cuori sensibili; gli influssi del Romanticismo, specie inglese, tedesco e francese; il lirismo e l'ambiguità delle situazioni tra erotiche e religiose, infernali e paradisiache; la tendenza all'autobiografia; l'amore del vago, dello strano, del misterioso; il cattolicesimo torbido e combattuto, incerto fra tradizione e rinnovamento. Importante fu poi per lo scrittore l'adesione al modernismo.
Mentre la biografia del Gallarati Scotti resta fondamentale per la mole di informazioni che racchiude, ma poco plausibile per l'intenzionalità programmatica di presentare la sua vita come un itinerarium ad Deum, lo scrittore fu ammirato dal Momigliano, che trovava in lui «...un'inquietudine, un'ombra, un'indeterminatezza, che il nostro romanticismo non aveva conosciuto e che ti fa pensare a uno Chateaubriand meno solenne e più nervoso. Lo spirito del paesaggio del Fogazzaro non è pittoresco, ma musicale: Fogazzaro, in certo modo, ha preceduto Pascoli, e aperto in Italia la via di quella sensibilità indefinita, fatta di accordi occulti che accosta inevitabilmente la poesia alla musica».
Scrisse il Piromalli che Fogazzaro era stato giudicato «...in relazione a una determinata società ottocentesca chiusa e narcisista, era uno scrittore di un luogo e di un tempo, di un particolare pubblico; saltavano in aria l'universalità e l'eternità; il magismo musicale che i crociani vi avevano rinvenuto era l'estenuazione letteraria del sentimentalismo veneto tardo-romantico, era l'elegia della falsa spiritualità, l'orgoglio fatuo di volere essere spiritualmente al di sopra degli altri, di avere per sé e per il proprio amore un cantuccio riservato in un paradiso dell'aldilà quando le leggi della società civile non lo consentivano sulla terra», finché un saggio di Gaetano Trombatore, pubblicato nel 1945, «...aveva fatto cadere le impalcature mistificatrici, i belletti fasulli, la maschera idealistico-cattolica, aveva fatto vedere la miseria morale di una società angusta e greve».
Ed in effetti quel saggio resta tuttora insuperato per la profondità e l'acutezza dell'analisi e dei giudizi, che toccano tutti gli aspetti della personalità del vicentino e dei suoi rapporti con le vicende letterarie, culturali e politiche del suo tempo.
Fogazzaro fu ripetutamente candidato al Premio Nobel per la letteratura che, pur essendo tra i favoriti, non vinse mai.
Il pubblico di Fogazzaro
«Fogazzaro fu l'idolo della borghesia italiana nel periodo che corre all'incirca tra il 1880 e il 1910; dell'alta borghesia prevalentemente intellettuale e terriera, che confinava con l'aristocrazia, con cui talvolta riusciva a confondersi; e anche della borghesia media e piccola in quanto seguiva i gusti di quella e ne condivideva i sentimenti e ne ammirava le forme. E fu adesione tanto più spontanea e naturale, in quanto lo scrittore stesso apparteneva a quella classe sociale; e vi apparteneva non pure per la nascita, ma per la sua formazione intellettuale e morale, con tutte le fibre del suo essere».Se scrittori come il Farina, il Barrili e il Rovetta, pur scrivendo per gli stessi lettori, non ebbero il suo stesso successo, si dovette, secondo il Trombatore, al fatto che essi non li seppero, come fece il Fogazzaro, «...scuotere e rasserenare, commuovere e divertire e lusingare, e soprattutto non seppero farli vivere, e vivere pienamente, in un mondo che pareva reale ed era ideale, che pareva ideale ed era reale, e che rimaneva pur sempre il loro mondo».
I personaggi dei romanzi di Fogazzaro appartengono essi stessi alla borghesia «...ma i loro parenti sono conti e marchesi; accanto al lustro dei blasoni essi portano la luce della loro nobiltà d'animo, della loro intelligenza, della loro cultura, e vivono perfettamente intonati in quegli ambienti di elegante mondanità. Siamo in quella zona di confine in cui le due classi riescono a convivere fino a confondersi insieme. La scena è di solito una villa con un paesetto fra i monti o in riva a un lago; ma non così isolata che non vi giungano le voci del mondo circostante. Non manca in Malombra qualche riflesso della mondanità milanese, c'è la mondanità romana del Santo; e non bisogna neanche dimenticare le località del turismo mondano, Isola Bella, l'abbazia di Praglia, Subiaco, Bruges, Norimberga. Ecco veramente gli ambienti in cui potevano alimentarsi e fiorire i nobili pensieri, le alte passioni. Il Fogazzaro non deludeva mai i suoi lettori. Mentre rispondeva alle loro tendenze sentimentali e morali, egli ne appagava e ne lusingava le esigenze mondane e intellettuali».
I lettori che amavano Fogazzaro «...aspiravano, almeno nell'illusione, a evadere in una vita più nobile e alta, avevan perduta la fede e volevano credere, si sentivano insozzati di colpa e anelavano alla purezza, volevano amare non grettamente ma col tumulto dei sensi e dell'anima: lo scrittore offrì il vasto pascolo ideale che cercavano, fece, di là dalle tenebre della carne, balenare la sublimità dello Spirito, ed essi arsero nella fiamma della sua anima».
Il declino del successo sopravvenne con un mutamento del gusto che pure partiva da quelle premesse, il romanticismo crepuscolare espresso dallo scrittore vicentino non essendo più adeguato all'esigenza di un «...sublime che, abbandonata la sua sede sopramondana, si celebrasse tutto sulla terra, incarnandosi nell'individuo e sollevandolo sulla servile umanità a sbramare la sua bruciante sete di conquista e di dominio. Nacque, o meglio, si perfezionò così il gusto della vita come avventura inimitabile, e il Fogazzaro dové a poco a poco consegnare i suoi lettori a un incantatore ben più agguerrito e più ricco di multiformi e incestuose magie: il despota dell'estetismo dannunziano, lordo di sangue e d'oro».
L'amore
Fogazzaro apparteneva dunque a una borghesia moderna e attiva e a un pubblico di tal fatta egli si rivolgeva; moderno, ma che teneva ben presenti le tradizioni di un cattolicesimo non gretto, ma sostanzialmente conservatore, capace di rendersi conto della necessità di accogliere quanto di nuovo lo sviluppo sociale proponesse ma senza stravolgimenti. Nella rappresentazione della vita familiare Fogazzaro si mosse seguendo quell'impostazione e, seguendo il proprio temperamento, preferì trattare, nell'ambito dei rapporti familiari, il tema dell'amore.«La precedente esperienza romantica aveva sancita l'incompatibilità dell'amore con il matrimonio, nel senso che l'amore non può raggiungere le vette della passione senza un forte ostacolo che lo alimenti e lo esasperi. Perciò l'amore fogazzariano è preconiugale o extraconiugale (nel caso di Franco e Luisa [i protagonisti di Piccolo mondo antico] la questione non verte sull'amore, ma sui contrasti ideologici dei due coniugi). Anche l'amore preconiugale si alimenta di ostacoli: in Violet [la protagonista de Il mistero del poeta] è il senso dell'occulta colpa, è il suo carattere irresoluto, è la sua salute cagionevole; in Leila è la fede giurata al morto fidanzato, è il suo orgoglio [...].
S'intende che la più ricca è l'impostazione dell'amore extraconiugale, quello di Piero e di Jeanne [in Piccolo mondo moderno] o quello di Daniele e di Elena [in Daniele Cortis], che è rimasto il più caratteristico. Ma sempre in lui l'amore è un ardore nascosto, una pena struggente, un lento spasimo, vi si sentono i brividi della voluttà sfiorata, le seduzioni del peccato; si rasenta l'orlo della colpa. Ecco l'innovazione: codesto amore ideale e platonico egli lo fa vivere alle sue eroine con le fiamme della passione vera, coi sensi sempre in subbuglio. Ma è sempre un amore d'eccezione e l'istituto matrimoniale, se non è proprio salvo, è almeno conservato; il Fogazzaro corre sempre ai ripari; ognuno patisce la sua tragedia nel chiuso della propria anima; non vi sono scandali; le norme della moralità borghese non sono sovvertite».
Il romanticismo
Il percorso del romanzo italiano quasi non conobbe il romanticismo, inteso come letteratura di forti contrasti, che spazino dal dramma all'idillio, dal sentimento del patetico alle vette del sublime; non poté averlo nel Manzoni, per il programmatico rifiuto di quello scrittore a farsi interprete dei pur tanti temi romantici che nei Promessi sposi erano presenti; quanto alla Scapigliatura, fu un fenomeno di breve durata, un'artefatta costruzione intellettualistica, non l'espressione di un'esigenza intimamente sentita; in Italia il romanticismo ebbe la sua maggiore espressione nella musica, raggiungendo il vertice del successo popolare nel melodramma verdiano.Fu proprio il Fogazzaro a farsi interprete dell'esigenza romantica presente nei lettori italiani: «...lo spirito borghese fu al tempo stesso il movente e il limite del romanticismo fogazzariano: lo fece nascere ma ne circoscrisse i motivi e l'intensità. Perciò non fu tutto genuino e compiuto; tuttavia, anche a giudicarlo deteriore, bisogna riconoscere che esso rispose largamente all'aspettativa. Il Fogazzaro ebbe il senso del Destino, pur senza saperne sceverare e decifrare il volto maligno e inesorabile, l'implacabilità che atterra e annichila; non seppe perciò riuscire veramente tragico, nel senso alto della parola, ma decadde nel suo surrogato che è il teatrale. Sincero e costante fu però il suo gusto delle situazioni drammatiche, e suggestive le sue evasioni nell'atmosfera del sublime [...]».
Queste tempeste dell'anima sono vissute da esseri culturalmente e spiritualmente superiori: gli umili vivono accettando con semplicità la volontà divina, non le provano né le comprendono quando le vedono vissute dai "signori", e questo è motivo, nel Fogazzaro, di ricorrere all'umorismo e alle risorse del macchiettismo.
Ma nei protagonisti dei suoi romanzi vi è un «...mareggiare fra l'ideale e il reale, fra l'essere e il dover essere, fra un'ansia di elevazione e un ardore di perdizione. E da questo conflitto non si può uscire per una composizione armonica dei due termini, si può uscire solo per la via che conduce al sublime [...] e tutto quel vario agitarsi e cozzare di passioni aspira sempre a risolversi e a sublimarsi nell'atmosfera assorta del Mistero, dove, a tratti, par di scorgere anche il volto velato del Destino. Il tema del mistero è forse il tema più alto e romantico del Fogazzaro. Sempre è avvertibile in lui il senso di una nascosta, arcana realtà [...]. Allora anche la natura partecipa all'azione con una sua vasta coralità [...] Questo largo fremito romantico, non incomposto, anzi sempre decorosamente atteggiato, fu l'elemento decisivo della vittoria del Fogazzaro, quello per cui egli riuscì a rapire e a sollevare con sé l'animo dei suoi lettori».
Fonte: Wikipedia, l'enciclopedia libera
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