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Gabriele D'Annunzio
(✶1863   †1938)

Opere teatrali e musiche di scena su soggetti dannunziani

La figlia di Iorio, tragedia pastorale in 3 atti - (Alberto Franchetti)
Francesca da Rimini, opera drammatica - (Riccardo Zandonai)
Parisina, tragedia lirica in 4 atti - (Pietro Mascagni)
Fedra - (Ildebrando Pizzetti)
La figlia di Iorio - (Ildebrando Pizzetti)
La Pisanella, musiche di scena - (Ildebrando Pizzetti)
La nave, musiche di scena - (Ildebrando Pizzetti)
Phaedre, musiche di scena - (Arthur Honegger)
Il martirio di San Sebastiano, musiche di scena - (Claude Debussy)

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La musica nelle opere di D'Annunzio

La maggior parte delle opere scritte da D'Annunzio contiene riferimenti espliciti alla musica. Il piacere divenne ben presto il testo sacro dell'estetismo, assieme al Dorian Gray di Wilde e A rebours di Huysmans. Il suo protagonista, l'esteta e raffinato Andrea Sperelli, conosce ad un concerto Elena Muti, la donna che amerà. La cornice dell'innamoramento è Beethoven. La Sonata al chiaro di luna diventa il simbolo ed emblema di un amore che sta scoccando. D'Annunzio immortala il momento magico, fatato, attraverso le note dell'andante sostenuto. Il romanzo contiene altri riferimenti a brani celebri e non. Maria Ferres, la seconda amata di Sperelli, è un'abile pianista che esegue preludi di Bach e pezzi sognanti di Schumann. D'Annunzio sembra quasi farsi beffe dei lettori poco esperti dell'arte: in un passo, si parla di una Gavotta delle dame gialle composta da Jean-Philippe Rameau, ma il francese non ha mai composto nessun pezzo con questo titolo.

Ne Il trionfo della morte, Giorgio Aurispa, il protagonista, si imbatte in una stanza del suo palazzo, colma di memorie d'arte musicali: «Nella terza stanza, severa e semplice, le memorie erano musicali, venivano dai muti strumenti. Sopra un lungo cembalo levigato, di palissandro, ove le cose si riflettevano come in una sfera, riposava un violino nella sua custodia. Sopra un leggio una pagina di musica si sollevava e si abbassava ai soffli dell'aria, quasi in ritmo con le tende.

Giorgio si avvicinò. Era una pagina di un Mottetto di Felix Mendelssohn: Dominica II post Pascha...

Giorgio aprì la custodia, guardò il delicato strumento che dormiva in un velluto color d'oliva, con le sue quattro corde intatte. Preso come da una curiosità di svegliarlo, egli toccò il cantino che diede un gemito acuto facendo vibrare tutta la cassa. Era un violino di Andrea Guarneri, con la data del 1680.

La figura di Demetrio, alta, smilza, un po' curva, con un collo lungo e pallido, con i capelli rigettati indietro, con la ciocca bianca sul mezzo della fronte, riapparve».

Un'altra memoria musicale del romanzo è, senza dubbio, il ricordo del Tristano e Isotta, in cui il protagonista si getta nella memoria profonda cercando di godere ancora della scena passionale e magica.

Le vergini delle rocce è il suo unico romanzo in cui non compare nessun riferimento preciso alle composizioni, ma la musica qui è data dalla glorificazione della bellezza sonora scaturita dall'acqua:

«L'acqua non è più l'acqua; diventa un'anima perduta che urla, che ride, che singhiozza, che balbetta, che sbeffa, che si lagna, che chiama, che comanda. Incredibile!, dice Antonello per giustificarsi di avere imposto il silenzio ai giuochi degli zampilli. Ma quando Anatolia richiama a vita la grande fontana marmorea - componimento pomposo di cavalli nettunii, di tritoni, di delfini e di conche in triplice ordine, dandole l'acqua, ecco che il narratore Claudio immagina la voluttà della pietra invasa dalla fresca e fluida vita: e finge in sé medesimo «l'impossibile brivido.
Le buccine dei tritoni soffiavano, dice Claudio, le fauci dei delfini gorgogliavano. Dalla sommità uno zampillo eruppe sibilando, lucido e rapido come un colpo di stocco vibrato contro l'azzurro; si franse, si ritrasse, esitò, risorse più diritto e più forte; si mantenne alto nell'aria, si fece adamantino, divenne uno stelo, parve fiorire. Uno strepito breve e netto come lo schiocco di una frusta echeggiò da prima nel chiuso; poi fu come uno scroscio di risa poderose, fu come un rovescio di pioggia... - Senti, esclamò Antonello che guardava quel trionfo con occhi di nemico - ti sembra tollerabile a lungo questo frastuono ? - «Ah, io starei ore e giorni ad ascoltarlo - parvemi dicesse Violante mettendo su la sua voce un velo più grave - nessuna musica vale questa per me».»
(G. D'Annunzio, Le vergini delle rocce)

L'opera poetica, infine, è tutta permeata da una musicalità eccezionale, riscontrabile in maniera molto chiara anche nella prosa dannunziana. Le liriche dell'Elettra, invece, contengono alcuni omaggi ai grandi ingegni musicali dell'Italia (Giuseppe Verdi e Bellini). L'Alcyone, però, è il capolavoro della musicalità lirica di D'Annunzio: basti pensare alla grandezza de La pioggia nel pineto, il più grande esempio di partitura musicale dannunziana.

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D'Annunzio e Wagner

«… Nell'orchestra parlavano tutte le eloquenze, cantavano tutte le gioie, piangevano tutti i dolori, che mai voce umana espresse. Su dalle profondità sinfoniche le melodie emergevano, si svolgevano, si interrompevano, si sovrapponevano, si mescevano, si stemperavano, si dileguavano, sparivano per riemergere. […] Nell'impeto delle progressioni cromatiche era il folle inseguimento d'un bene che sfuggiva ad ogni presa pur da vicino balenando. Nelle mutazioni di tono, di ritmo, di misura, nelle successioni di sincopi era una ricerca senza tregua, era una bramosia senza limiti, era il lungo supplizio del desiderio sempre deluso e mai estinto.»
(Il trionfo della morte)
«Nel preludio del Tristano e Isolda l'anelito dell'amore verso la morte irrompeva con una veemenza inaudita, il desiderio insaziabile si esaltava in una ebrezza di distruzione. Per bere laggiù in onor tuo la coppa dell'amore eterno, io voleva consacrarti con me sul medesimo altare alla morte.»
(Il trionfo della morte)

D'Annunzio pubblicò tre articoli nel 1893: gli articoli apparsi su “La Tribuna”, il 23 luglio, il 3 e il 9 agosto, erano dedicati a Il caso Wagner. In questi articoli D'Annunzio prende ufficialmente le difese del compositore e va contro Friedrich Nietzsche, uno dei suoi filosofi d'elezione. D'Annunzio difende il lavoro moderno di Wagner e dice: «Il filosofo si mette fuori del suo tempo, mentre l'artefice rientra nel suo tempo. Ma l'uno, pur glorificando la vita, spazia in un dominio puramente speculativo; mentre l'altro realizza le sue astrazioni nella forma concreta dell'opera d'arte… Pel Nietzsche, quindi, l'autore del Parsifal non è un artefice di musica… egli concede che in questo il Wagner possa a buon diritto apparirci come un creatore e un novatore di primo ordine, avendo infinitamente aumentato la potenza espressiva della musica. Ma la concezione è subordinata all'ipotesi che la musica possa talora non essere musica, sì bene un linguaggio, una specie di ancilla dramaturgica. Togliete la musica wagneriana dalla protezione dell'ottica teatrale - egli dice - e avrete semplicemente della cattiva musica, la peggior musica che sia mai esistita. Qui è il grossolano errore, o la vana ingiustizia. Per me, e per i miei pari, la superiorità di Riccardo Wagner sta appunto in questo: che la sua musica è, in gran parte, bellissima ed ha un alto e puro valore di arte indipendentemente dalla faticosa macchinazione teatrale e dalla significazione simbolica sovrapposta».

La musica di Wagner è riccamente citata nel Trionfo tanto che il Tristano diventa fonte di ispirazione per l'opera ma anche follia per il protagonista. Il fuoco è il romanzo in cui la musica troneggia. Uno dei personaggi è addirittura Richard Wagner stesso, vecchio, prossimo alla morte (nel romanzo si fanno anche riferimenti a Claudio Monteverdi, a Caccini, alla sinfonia dell’Arianna di Benedetto Marcello, ma è il compositore tedesco il vero protagonista musicale). D'Annunzio si identifica col protagonista, Stelio Effrena, come uno dei portatori della bara di Wagner, dopo la sua morte avvenuta a Venezia, fatto che in realtà non avvenne, poiché lo scrittore non era nella città lagunare nel febbraio 1883.

Fonte: Wikipedia, l'enciclopedia libera

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