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Galileo Galilei
(✶1564 †1642)
Eliocentrismo, scienza e teologia
La dottrina galileiana delle due verità
Convinto della correttezza della cosmologia copernicana, Galileo era ben consapevole che essa era ritenuta in contraddizione con il testo biblico e la tradizione dei Padri della Chiesa, che sostenevano invece una concezione geocentrica dell'universo. Poiché la Chiesa considerava le Sacre Scritture ispirate dallo Spirito Santo, la teoria eliocentrica poteva essere accettata, fino a prova contraria, soltanto come semplice ipotesi (ex suppositione) o modello matematico, senza alcuna attinenza con la reale posizione dei corpi celesti. Proprio a questa condizione il De revolutionibus orbium coelestium di Copernico non era stato condannato dalle autorità ecclesiastiche e menzionato nell'Indice dei libri proibiti, almeno fino al 1620.Galileo, intellettuale cattolico, si inserì nel dibattito sul rapporto fra scienza e fede con la lettera a padre Benedetto Castelli del 1613. Egli difese il modello copernicano sostenendo che esistono due verità necessariamente non in contraddizione o in conflitto fra loro. La Bibbia è certamente un testo sacro di ispirazione divina e dello Spirito Santo, ma comunque scritto in un preciso momento storico con lo scopo di orientare il lettore verso la comprensione della vera religione. Per questa ragione, come già avevano sostenuto molti esegeti tra i quali Lutero e Keplero, i fatti della Bibbia sono stati necessariamente scritti in modo tale da poter essere compresi anche dagli antichi e dalla gente comune. Occorre quindi discernere, come già sostenuto da Agostino d'Ippona, il messaggio propriamente religioso dalla descrizione, storicamente connotata ed inevitabilmente narrativa e didascalica, di fatti, episodi e personaggi:
«Dal che seguita, che qualunque volta alcuno, nell'esporla, volesse fermarsi sempre nel nudo suono litterale, potrebbe, errando esso, far apparire nelle Scritture non solo contraddizioni e proposizioni remote dal vero, ma gravi eresie e bestemmie ancora: poi che sarebbe necessario dare a Iddio e piedi e mani e occhi, e non meno affetti corporali ed umani, come d'ira, di pentimento, d'odio ed anco tal volta la dimenticanza delle cose passate e l'ignoranza delle future [...]»
(Galileo Galilei, Lettera a Madama Cristina di Lorena granduchessa di Toscana)
Il noto episodio della richiesta di Giosuè a Dio di fermare il Sole per prolungare il giorno era usato in ambito ecclesiastico a sostegno del sistema geocentrico. Galileo sostenne invece che in quel modo il giorno non si sarebbe allungato, in quanto nel sistema tolemaico la rotazione diurna (giorno/notte) non dipende dal Sole, ma dalla rotazione del Primum Mobile. La Bibbia deve essere reinterpretata e «bisogna alterar il senso delle parole, e dire che quando la Scrittura dice che Iddio fermò il Sole, voleva dire che fermò 'l primo mobile, ma che, per accomodarsi alla capacità di quei che sono a fatica idonei a intender il nascere e 'l tramontar del Sole, ella dicesse al contrario di quel che avrebbe detto parlando a uomini sensati». Invece, secondo Galileo, nel sistema copernicano la rotazione del Sole sul proprio asse provoca sia la rivoluzione della Terra attorno al Sole, sia la rotazione diurna (giorno/notte) della Terra attorno all'asse terrestre (ipotesi poi mostratesi entrambe errate). Quindi, scrive Galileo, l'episodio biblico «ci mostra manifestamente la falsità e impossibilità del mondano sistema Aristotelico e Tolemaico, e all'incontro benissimo s'accomoda co 'l Copernicano». Infatti se Dio avesse fermato il Sole assecondando la richiesta di Giosuè, ne avrebbe necessariamente bloccato la rotazione assiale (unico suo movimento previsto nel sistema copernicano), provocando di conseguenza - secondo Galileo - l'arresto sia della (ininfluente) rivoluzione annuale, sia della rotazione terrestre diurna prolungando quindi la durata del giorno.
Galileo fece analoghe considerazioni in lettere indirizzate al fiorentino monsignor Piero Dini e alla granduchessa Cristina di Lorena, le quali destarono preoccupazione negli ambienti conservatori per le idee innovative, il carattere polemico e l'ardimento coi quali lo scienziato sosteneva che alcuni passi della Bibbia dovessero venir reinterpretati alla luce del sistema copernicano, all'epoca non ancora dimostrato.
Circa il rapporto tra scienza e teologia, celebre è la sua frase: «intesi da persona ecclesiastica costituita in eminentissimo grado, l'intenzione dello Spirito Santo essere d'insegnarci come si vadia al cielo, e non come vadia il cielo», usualmente attribuita al cardinale Cesare Baronio. Si noti che, applicando tale criterio, Galileo non avrebbe potuto usare il passo biblico di Giosuè per cercare di dimostrare un presunto accordo tra testo sacro e sistema copernicano, e la supposta contraddizione tra la Bibbia e il modello tolemaico. Deriva invece proprio da tale criterio la visione galileiana secondo la quale esistono due sorgenti di conoscenza ("libri"), che sono in grado di rivelare la stessa verità che proviene da Dio. Il primo è la Bibbia, scritta in termini comprensibili al volgo, che ha essenzialmente valore salvifico e di redenzione dell'anima, e richiede quindi un'attenta interpretazione delle affermazioni relative ai fenomeni naturali che in essa sono descritti. Il secondo è «questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi a gli occhi (io dico l'universo), [...] scritto in lingua matematica», che va letto secondo la razionalità scientifica e non va posposto al primo ma, per essere ben interpretato, deve essere studiato con gli strumenti di cui il medesimo Dio della Bibbia ci ha dotati: sensi, discorso e intelletto:
«[...] nelle dispute di problemi naturali non si dovrebbe cominciare dalla autorità di luoghi delle Scritture, ma dalle sensate esperienze e dalle dimostrazioni necessarie: perché, procedendo di pari dal Verbo divino la Scrittura Sacra e la natura, quella come dettatura dello Spirito Santo, e questa come osservantissima esecutrice de gli ordini di Dio [...].»
(Galileo Galilei, Lettera a Madama Cristina di Lorena granduchessa di Toscana)
Sempre nella lettera alla granduchessa Cristina di Lorena del 1615, alla domanda se la teologia potesse ancora essere concepita come la regina delle scienze, Galilei rispose che l'oggetto di cui trattava la teologia la rendeva d'importanza primaria, ma che questa non poteva pretendere di pronunciare giudizi nel campo delle verità della scienza. Al contrario, se un certo fatto o fenomeno scientificamente dimostrato non si accorda con i testi sacri, allora sono questi che devono essere riletti alla luce dei nuovi progressi e delle nuove scoperte.
Secondo la dottrina galileiana delle due verità non vi può essere, in definitiva, disaccordo tra vera scienza e vera fede essendo, per definizione, entrambe vere. Ma, in caso di apparente contraddizione su fatti naturali, occorre modificare l'interpretazione del testo sacro per adeguarla alle conoscenze scientifiche più aggiornate.
La posizione della Chiesa al riguardo non differiva sostanzialmente da quella di Galileo: con molte più cautele, anche la Chiesa cattolica ammetteva la necessità di rivedere l'interpretazione delle sacre scritture alla luce di fatti nuovi e nuove conoscenze solidamente comprovate. Ma nel caso del sistema copernicano, il cardinal Roberto Bellarmino e molti altri teologi cattolici sostennero, ragionevolmente, che non vi fossero prove conclusive a suo favore:
«Dico che quando ci fusse vera demostratione che il sole stia nel centro del mondo e la terra nel 3° cielo, e che il sole non circonda la terra, ma la terra circonda il sole, allhora bisogneria andar con molta consideratione in esplicare le Scritture che paiono contrarie, e più tosto dire che non l'intendiamo, che dire che sia falso quello che si dimostra. Ma io non crederò che ci sia tal dimostratione, fin che non mi sia mostrata»
(Lettera del cardinal Bellarmino a padre Foscarini (Lettera XII, 1110 del 12 aprile 1615))
La mancata osservazione, con gli strumenti allora disponibili, della parallasse stellare (che si sarebbe dovuta riscontrare come effetto dello spostamento della Terra rispetto al cielo delle stelle fisse) costituiva invece, all'epoca, evidenza contraria alla teoria eliocentrica. In tale contesto, la Chiesa ammetteva quindi che si parlasse del modello copernicano solo ex suppositione (come ipotesi matematica). La difesa di Galileo ex professo (con cognizione di causa e competenza, di proposito e intenzionalmente) della teoria copernicana quale reale descrizione fisica del sistema solare e delle orbite dei corpi celesti si scontrò quindi, inevitabilmente, con la posizione ufficiale della Chiesa cattolica. Tale contrapposizione sfociò nel processo a Galileo Galilei del 1633, che si concluse con la condanna per eresia e l'abiura forzata delle sue concezioni astronomiche.
Fonte: Wikipedia, l'enciclopedia libera
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