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Galileo Galilei
(✶1564 †1642)
Riabilitazione da parte della Chiesa cattolica
Al di là dal giudizio storico, giuridico e morale sulla condanna a Galileo, le questioni di carattere epistemologico e di ermeneutica biblica che furono al centro del processo sono state oggetto di riflessione da parte di innumerevoli pensatori moderni, che spesso hanno citato la vicenda di Galileo per esemplificare, talora in termini volutamente paradossali, il loro pensiero in merito a tali questioni. Ad esempio, il filosofo austriaco Paul Feyerabend, sostenitore di una teoria anarchica della conoscenza, sostenne:«La Chiesa dell'epoca di Galilei si attenne alla ragione più che lo stesso Galilei, e prese in considerazione anche le conseguenze etiche e sociali della dottrina galileiana. La sua sentenza contro Galilei fu razionale e giusta, e solo per motivi di opportunità politica se ne può legittimare la revisione»
(P. Feyerabend, Wider den Methodenzwang, FrankfurtM/Main 1976, p. 206.)
Nel corso dei secoli che seguirono la Chiesa modificò la propria posizione nei confronti di Galilei: nel 1734 il Sant'Uffizio concesse l'erezione di un mausoleo in suo onore nella chiesa di Santa Croce in Firenze; Benedetto XIV nel 1757 tolse dall'Indice i libri che insegnavano il moto della Terra, con ciò ufficializzando quanto già di fatto aveva fatto papa Alessandro VII nel 1664 con il ritiro del Decreto del 1616. La definitiva autorizzazione all'insegnamento del moto della Terra e dell'immobilità del Sole arrivò con un decreto della Sacra Congregazione dell'inquisizione approvato da Papa Pio VII il 25 settembre 1822.
Nel 1968 papa Paolo VI fece avviare la revisione del processo e con l'intento di porre una parola definitiva riguardo a queste polemiche Papa Giovanni Paolo II il 3 luglio 1981, auspicò che fosse intrapresa una ricerca interdisciplinare sui difficili rapporti di Galileo con la Chiesa e istituì una Commissione Pontificia per lo studio della controversia tolemaico-copernicana del XVI e del XVII secolo, nella quale il caso Galilei si inserisce.
Dopo ben tredici anni di dibattimento, il 31 ottobre 1992, la Chiesa chiarì la sua interpretazione sulla questione teologica scientifica galileiana riconoscendo che la condanna di Galileo Galilei fu dovuta alla sua ostinazione nel non voler accogliere l'invito della Chiesa a considerare le sue scoperte come semplici ipotesi non comprovate e, d'altra parte, alla «mancanza di perspicacia», ovvero di intelligenza e lungimiranza, dei teologi che lo condannarono. Come disse infatti Giovanni Paolo II:
«[...] Il giudizio pastorale che richiedeva la teoria copernicana era difficile da esprimere nella misura in cui il geocentrismo sembrava far parte dell’insegnamento stesso della Scrittura. Sarebbe stato necessario contemporaneamente vincere delle abitudini di pensiero e inventare una pedagogia capace di illuminare il popolo di Dio.»
(Giovanni Paolo II ai membri della Pontificia Accademia delle Scienze, 31 ottobre 1992)
Galilei e la scienza
«La storia del pensiero scientifico del Medioevo e del Rinascimento, che si comincia ora a comprendere un po’ meglio, si può dividere in due periodi, o meglio, perché l’ordine cronologico corrisponde solo molto approssimativamente a questa divisione, si può dividere, grosso modo, in tre fasi o epoche, corrispondenti successivamente a tre differenti correnti di pensiero: prima la fisica aristotelica; poi la fisica dell'impetus, iniziata, come ogni altra cosa, dai Greci ed elaborata dalla corrente dei Nominalisti parigini del XIV secolo; e infine la fisica moderna, archimedea e galileiana.»Fra le maggiori scoperte che Galilei fece guidato dagli esperimenti, si annoverano il principio di relatività, la scoperta delle quattro lune principali di Giove, dette appunto satelliti galileiani (Io, Europa, Ganimede e Callisto), il principio di inerzia.
Compì anche studi sul moto di caduta dei gravi e riflettendo sui moti lungo i piani inclinati scoprì il problema del tempo minimo nella caduta dei corpi materiali, e studiò varie traiettorie, tra cui la spirale paraboloide e la cicloide.
Nell'ambito delle sue ricerche di matematica si avvicinò alle proprietà dell'infinito introducendo il celebre paradosso di Galileo. Nel 1640 Galilei incoraggiò il suo allievo Bonaventura Cavalieri a sviluppare le idee del maestro e di altri sulla geometria con il metodo degli indivisibili, per determinare aree e volumi: questo metodo rappresentò una tappa fondamentale per l'elaborazione del calcolo infinitesimale.
La nascita della scienza moderna
Il metodo scientifico«Quando Galilei fece rotolare le sue sfere su di un piano inclinato con un peso scelto da lui stesso, e Torricelli fece sopportare all’aria un peso che egli stesso sapeva già uguale a quello di una colonna d’acqua conosciuta [...] fu una rivelazione luminosa per tutti gli investigatori della natura. Essi compresero che la ragione vede solo ciò che lei stessa produce secondo il proprio disegno, e che [...] essa deve costringere la natura a rispondere alle sue domande; e non lasciarsi guidare da lei, per dir così, colle redini; perché altrimenti le nostre osservazioni, fatte a caso e senza un disegno prestabilito, non metterebbero capo a una legge necessaria.»
(Immanuel Kant, Prefazione alla Critica della ragion pura [1787], Laterza, Roma-Bari 2000)
Galileo fu uno dei protagonisti della fondazione del metodo scientifico espresso con linguaggio matematico e pose l'esperimento come strumento a base dell'indagine sulle leggi della natura, in contrasto con la tradizione aristotelica e la sua analisi qualitativa del cosmo:
«Hanno sin qui la maggior parte dei filosofi creduto che la superficie [della Luna] fosse pulita tersa e assolutissimamente sferica, e se qualcuno disse di credere, che ella fusse aspra e muntuosa fu reputato parlare più presto favolusamente, che filosoficamente. Ora io questo istesso corpo lunare [...] asserisco il primo, non più per immaginazione, ma per sensata esperienza e necessaria dimostrazione, che egli è di superficie piena di innumerevoli cavità ed eminenze, tanto rilevate che di gran lunga superano le terrene montuosità.»
(Galileo, Lettera a Gallanzone Gallanzoni, 1611)
Già nella terza lettera del 1611 a Mark Welser a proposito della polemica sulle macchie solari, Galilei si domandava che cosa l'uomo nella sua ricerca vuole arrivare a conoscere.
«O noi vogliamo specolando tentar di penetrar l'essenza vera ed intrinseca delle sustanze naturali; o noi vogliamo contentarci di venir in notizia d'alcune loro affezioni.»
Ed ancora: per conoscenza intendiamo l'arrivare a cogliere i principi primi dei fenomeni o come questi si sviluppano?
«Il tentar l'essenza, l'ho per impresa non meno impossibile e per fatica non men vana nelle prossime sustanze elementari che nelle remotissime e celesti: e a me pare essere egualmente ignaro della sustanza della Terra che della Luna, delle nubi elementari che delle macchie del Sole; né veggo che nell'intender queste sostanze vicine aviamo altro vantaggio che la copia de' particolari, ma tutti egualmente ignoti, per i quali andiamo vagando, trapassando con pochissimo o niuno acquisto dall'uno all'altro.»
La ricerca dei principi primi essenziali comporta dunque una serie infinita di domande poiché ogni risposta fa nascere una nuova domanda: se noi ci chiedessimo quale sia la sostanza delle nuvole, una prima risposta sarebbe che è il vapore acqueo ma poi dovremo chiederci che cos'è questo fenomeno e dovremo rispondere che è acqua, per chiederci subito dopo che cos'è l'acqua, rispondendo che è quel fluido che scorre nei fiumi ma questa «notizia dell'acqua» è soltanto «più vicina e dependente da più sensi», più ricca di informazioni particolari diverse, ma non ci porta certo la conoscenza della sostanza delle nuvole, della quale sappiamo esattamente quanto prima. Ma se invece vogliamo capire le «affezioni», le caratteristiche particolari dei corpi, potremo conoscerle sia in quei corpi che sono da noi distanti, come le nuvole, sia in quelli più vicini, come l'acqua.
Occorre dunque intendere in modo diverso lo studio della natura. «Alcuni severi difensori di ogni minuzia peripatetica», educati nel culto di Aristotele, credono che «il filosofare non sia né possa esser altro che un far gran pratica sopra i testi di Aristotele» che portano come unica prova delle loro teorie. E non volendo «mai sollevar gli occhi da quelle carte» rifiutano di leggere «questo gran libro del mondo» (cioè dall'osservare direttamente i fenomeni), come se «fosse scritto dalla natura per non esser letto da altri che da Aristotele, e che gli occhi suoi avessero a vedere per tutta la sua posterità». Invece «...i discorsi nostri hanno a essere intorno al mondo sensibile, e non sopra un mondo di carta.»
Fonte: Wikipedia, l'enciclopedia libera
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