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Giambattista Vico
(✶1668 †1744)
«Si potrebbe […] presentare la storia ulteriore del pensiero come un ricorso delle idee del Vico.»
(Benedetto Croce, La filosofia di Giambattista Vico, Laterza, Bari 1922, p. 251)
Giambattista Vico (Napoli, 23 giugno 1668 – Napoli, 23 gennaio 1744) è stato un filosofo, storico e giurista italiano.
Molte delle notizie riguardanti la vita di Giambattista Vico sono tratte dalla sua Autobiografia (1725-28) scritta sul modello letterario delle Confessioni di sant'Agostino. Da quest'opera Vico cancellerà ogni riferimento ai suoi interessi giovanili per le dottrine atomistiche e per il pensiero cartesiano che avevano cominciato a diffondersi a Napoli ma subito repressi dalla censura delle autorità civili e religiose che le consideravano moralmente perniciose e in violazione dell'Indice dei libri proibiti.
L'infanzia e la formazione
Nato nel 1668 in una famiglia di modeste condizioni – il padre Antonio era un povero libraio, la madre, Candida Masulla, era figlia di un lavorante di carrozze – Vico fu un bambino molto vivace, ma, a causa di una caduta verificatasi forse nel 1675, si procurò una frattura al cranio che gli impedì di frequentare la scuola per tre anni e che, pur non alterando le sue capacità mentali, quantunque «il cerusico ne fe' tal presagio: che egli o ne morrebbe o arebbe sopravvissuto stolido», contribuì a sviluppare «una natura malinconica ed acre». Ammesso agli studi di grammatica presso il Collegio Massimo dei Gesuiti di Napoli, li abbandonò intorno al 1680 per dedicarsi al privato approfondimento dei testi di Pietro Ispano e Paolo Veneto, i quali, tuttavia, rivelandosi superiori alle sue capacità, provocarono l'allontanamento dall'attività intellettuale per un anno e mezzo.Ripresa la via degli studi, si recò nuovamente dai gesuiti per seguire le lezioni di padre Giuseppe Ricci, ma, rimasto ancora una volta insoddisfatto, si appartò nuovamente a vita privata per affrontare la metafisica di Francisco Suárez. Successivamente, per secondare il desiderio paterno, Vico fu «applicato agli studi legali», frequentando per circa due mesi le lezioni private di Francesco Verde e, dal 1688 al 1691, iscrivendosi alla facoltà di giurisprudenza presso l'Università di Napoli, senza, tuttavia, seguirne i corsi, cimentandosi invece, come di consueto, in privati studi di diritto civile e canonico. Conseguita la laurea, forse a Salerno, fra il 1693 e 1694, si appassionò subito ai problemi filosofici che il diritto pone, segno «di tutto lo studio che aveva egli da porre all'indagamento de' princìpi del diritto universale».
L'autoperfezionamento a Vatolla e l'insegnamento universitario
Il periodo di tempo intercorrente fra il 1689 e il 1695 fu denominato dell'«autoperfezionamento». Difatti, dal 1689-1690, nonostante l'Autobiografia riporti indietro la data d'inizio del suo magistero al 1686, svolse attività di precettore dei figli del marchese Domenico Rocca presso il castello di Vatolla (oggi frazione del Comune di Perdifumo) nel Cilento e colà, usufruendo della grande biblioteca padronale, ebbe modo di studiare Platone e il platonismo italiano (Ficino, Pico, Patrizi), appassionandosi al problema della grazia in Sant'Agostino. Approfondisce gli studi aristotelici e scotisti, nonostante la dichiarata avversione per Aristotele e la Scolastica. Legge le opere di Botero e di Bodin, scoprendo al contempo Tacito (che diverrà, insieme a Platone, Bacone e Grozio, uno dei quattro maestri cui s'ispirerà il suo pensiero maturo) e la sua «mente metafisica incomparabile [con cui] contempla l'uomo qual è». Affronta per un breve periodo studi di geometria e, nel 1693, pubblica la canzone Affetti di un disperato, d'ispirazione lucreziana.Ritornato a Napoli nell'autunno del 1695, all'età di ventisette anni, affetto dalla tisi, rientra nella misera dimora paterna. A causa delle grosse difficoltà economiche, Vico è costretto a tenere ripetizioni di retorica e grammatica. Durante l'anno 1696 pubblica un discorso proemiale a una crestomazia poetica dedicata alla partenza di Francisco de Benavides, viceré spagnolo e conte di Santo Stefano. Nel 1697 compone un'orazione funebre in memoria di Catalina de Aragón y Cardona, madre del nuovo viceré, e nel dicembre del medesimo anno, tenta vanamente di ottenere un posto di lavoro come segretario al Municipio di Napoli.
Nel gennaio 1699 vince, con striminzita maggioranza, il concorso per la cattedra di eloquenza e retorica presso l'Università di Napoli, da cui non riuscì, con suo grande rammarico, a passare a una di diritto. Nel corso del 1699 è aggregato all'Accademia Palatina fondata dal viceré Luis Francisco de la Cerda y Aragón, duca di Medinaceli. Anche dopo la nomina accademica per il mantenimento del padre e dei fratelli, totalmente dipendenti da lui, deve aprire uno studio privato dove dà lezioni di retorica e di grammatica elementare, e impegnarsi a lavorare su commissione alla stesura di poesie, epigrafi, orazioni funebri, panegirici, ecc.
Nel 1699 può finalmente prendere in affitto in vicolo dei Giganti una casa di «tre camere, sala, cucina, loggia ed altre comodità, come rimessa e cantina» e prendere in moglie la giovane donna, Teresa Caterina Destito dalla quale ebbe otto figli. Da quel momento non avrà più la tranquillità necessaria per condurre gli studi, ma proseguirà ugualmente le sue meditazioni «tra lo strepitio de' suoi figlioli». A questo periodo risale, inoltre, la conoscenza col filosofo Paolo Mattia Doria e l'incontro con il pensiero del Bacone. Nel 1703 il governo partenopeo commissiona al Vico la scrittura del Principum neapolitanorum coniuratio e, nel 1709, in una cena a casa del Doria, espone le sue idee sulla filosofia della natura che lo condurranno, fra il novembre e il dicembre del medesimo anno, alla composizione del perduto Liber physicus.
Fra il 1699 e il 1706 pronunzia in latino le sei Orazioni inaugurali, ossia le prolusioni all'anno accademico (che al tempo iniziava il 18 ottobre), e, durante il 1708, se ne aggiunge una settima, più ampia e importante, recante il titolo di De nostri temporis studiorum ratione, la quale si concentra molto sul metodo degli studi giuridici, poiché «il Vico sempre aveva la mira a farsi merito con l'università nella giurisprudenza per altra via che di leggerla ai giovinetti». Nel De ratione, inoltre, è contenuta la critica al razionalismo cartesiano e l'elogio dell'eloquenza, della retorica, della fantasia, nonché dell'«ingegno» produttore di metafore.
Fra il 1708 e il 1709, l'insieme delle prolusioni universitarie sono rielaborate per essere raccolte in un unico volume mai pubblicato, dal titolo di De studiorum finibus naturae humanae convenientibus. È aggregato, dal 1710, all'Accademia dell'Arcadia e, nel novembre, pubblica il primo libro dell'opera dedicata al Doria, De antiquissima italorum sapientia ex linguae latinae originibus eruenda, recante il sottotitolo Liber primus sive metaphysicus. Accanto al Liber metaphysicus l'opera vichiana avrebbe dovuto comprendere anche il perduto Liber physicus e un mai composto Liber moralis. Un anonimo recensisce l'opera nel Giornale de' letterati d'Italia del 1711, cui seguirà la Risposta del Vico, accompagnata dal «ristretto» (un riassunto) del Liber metaphysicus.
Nell'agosto 1712, a seguito di nuove obiezioni prodotte dall'anonimo recensore, Vico replica con una Seconda risposta. Nel 1713 pubblica un trattatello perduto sulle febbri ispirato alle bozze del Liber physicus, recante il titolo di De aequilibrio corporis animantis, e, inoltre, si dedica alla stesura del De rebus gestis Antonii Caraphaei, una biografia del maresciallo Antonio Carafa, che vedrà la luce nel marzo 1716. Durante i lavori dell'opera biografica del maresciallo Carafa, Vico si dedica alla rilettura del suo quarto «auttore», l'olandese Ugo Grozio, cui dedicherà, nel 1716, un perduto commento al De iure belli ac pacis.
Fonte: Wikipedia, l'enciclopedia libera
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