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Giovan Battista Marino
(✶1569 †1625)
Giovan Battista Marino (Napoli, 14 ottobre 1569 – Napoli, 25 marzo 1625) è stato un poeta e scrittore italiano.
È considerato il massimo rappresentante della poesia barocca in Italia, identificata, dal suo nome, anche come marinismo. La sua influenza su letterati italiani e stranieri del Seicento fu immensa. Egli era infatti il rappresentante di un movimento che si stava affermando in tutta Europa, come il preziosismo in Francia, l'eufuismo in Inghilterra (dal romanzo di John Lyly Euphues), il culteranismo in Spagna. Di lui, il celebre critico Francesco de Sanctis scrisse: "Il re del secolo, il gran maestro della parola, fu il cavalier Marino, onorato, festeggiato, pensionato, tenuto principe de' poeti antichi e moderni, e non da plebe, ma da' più chiari uomini di quel tempo."
Napoli (1569-1600)
Gli anni della formazione napoletana sono molto importanti per la maturazione della sua poetica, anche se la sua carriera si svolgerà prevalentemente al Nord, e poi in Francia, pur considerando che fino ai trentun anni il Marino non metterà piede fuori dal Regno di Napoli. Soprattutto il critico letterario Giovanni Pozzi, il primo studioso organico dell'opera mariniana, ha eccessivamente enfatizzato una presunta influenza esercitata su di lui da parte degli ambienti culturali settentrionali, portando a qualche squilibrio valutativo la critica letteraria successiva. In seguito, altri studiosi (come Marzio Pieri) più consapevoli del più ampio contesto culturale in cui si mosse il giovane Marino, hanno messo l'accento sul fatto che la Napoli di quest'epoca, per quanto gravata dal dominio spagnolo, è tuttora ben lontana dall'aver perso la sua eminente posizione tra le capitali d'Europa; e hanno dimostrato come la "rivoluzione" mariniana abbia avuto riconoscibili e dimostrabili presupposti nella cultura napoletana e meridionale del tempo (per una comprensione del contesto è sicuramente utile rifarsi al polemico Ragguaglio XII, nella Prima centuria dei Ragguagli di Parnaso di Traiano Boccalini, dove si discute se Roma o Napoli avesse il primato tra le città d'Italia. Di fatto all'epoca Roma era semispopolata e in grave crisi, e Napoli, ancòra lontana dalla decadenza, era oltre ogni possibilità di dubbio la città più popolosa e ricca d'Italia, e una delle più prestigiose capitali europee). Il padre è Giovanni Francesco, notaio ("scrivano di vicaria") del medio ceto, non facoltoso - casa Marino è piccola, sita in piazza della Selleria, dove secondo Francesco De Pietri era nato anche Jacopo Sannazaro - ma di ottima cultura e forti inclinazioni letterarie; stranamente il nome della madre (oggetto di una rigida e dolente ode funebre in strofe complesse, nelle Rime, poi Lira II, canz. XIV, "Torno piangendo a riverir quel sasso", da cui si può solo dedurre che è morta prima del 1600) non è stato tramandato. Da una sorella maggiore, Camilla, coniugata Chiaro, nascerà Francesco Chiaro, poi canonico a Napoli grazie all'interessamento del famoso zio, e suo biografo ed esecutore testamentario e letterario, in contrasto con Giovan Battista Manso.La famiglia
La famiglia è forse oriunda calabrese. Giovan Francesco Marino è un frequentatore del cenacolo di Giovanni Battista Della Porta. Sembra che presso le "Due Porte" sia il notaio sia il figlio adolescente partecipino alle messinscene domestiche delle commedie dell'illustre "mago" e scienziato; il giovanetto Giambattista probabilmente recita travestito ne La fantesca, ma soprattutto in quest'àmbito vive a contatto diretto con la filosofia naturale del maestro, in rapporto di scambio continuo con i sistemi filosofia di Giordano Bruno e Tommaso Campanella.
Se proprio il Campanella mostrerà di avversare il marinismo (pur non prendendo direttamente di mira il Marino), dev'essere tenuta da conto questa comune matrice speculativa, dalle forti implicazioni panteistiche e quindi eterodosse o neopagane, alle quali il Marino, prestando loro sfoggiate vesti cortigiane, si serberà fedele tutta la vita; da una parte ottenendo grande successo presso i dotti più conformisti, dall'altra incontrando continue difficoltà per i contenuti "sapienziali" delle sue opere, le quali, ritenute infine direttamente in contrasto con l'ortodossia controriformista, saranno nel giro di qualche decennio messe quasi tutte all'Indice dei libri proibiti.
Riceve i rudimenti grammaticali sotto la guida dell'umanista Alfonso Galeota, stando ai biografi ufficiali (mentre lo pseudoTraiano Boccalini fa il nome di Domenico Peppi) che lo istruisce in latino, ma, dato l'indirizzo legale immediatamente imposto da Gio. Francesco (dal 1583, forse dal 7 gennaio come con molta precisione riporta Francesco Chiaro, il Marino avrebbe seguito svogliatamente per qualche anno gli studii di legge), non gl'impartì nessuna nozione di greco, lingua che il Marino avrebbe ignorato per tutta la vita. Per quanto riguarda poi il latino, è abbastanza sicuro, sulla base anche di un aneddoto risalente ad un viaggio verso Mantova durante il quale il Marino fu interrogato a bruciapelo su questioni grammaticali elementari da un fine latinista come Gaspare Murtola, il poeta ebbe un'ottima comprensione, ma non era in grado di scriverlo.
Le sue caratteristiche di imperfetto umanista sono eloquenti non solo di sue personali manchevolezze, ma anche dei tempi profondamente mutati: può essere significativo un paragone, a questo proposito, con la formazione e la cultura effettive di altre figure importanti della letteratura europea tra XVI e XVII secolo (Lope de Vega, William Shakespeare). Nonostante le pressioni del padre perché intraprenda la stessa professione, anche in considerazione delle condizioni economiche non particolarmente floride della famiglia, il Marino segue prepotentemente la propria disposizione alle lettere, fino a vendersi i testi legali per comprarsi libri di letteratura e poesia.
Visti vanificarsi tutti i tentatìvi, Giovan Francesco Marino - dopo il 1586, anno in cui il Marino pare abbandoni definitivamente gli studi di legge - butta il giovane poeta letteralmente in mezzo alla strada. Non sembra affatto inverosimile che, come sostenuto da Tommaso Stigliani, il Marino rimanga per tre anni senza tetto, ora dormendo all'aperto, ora appoggiandosi a qualche amico o addirittura a qualche ospedale dei poveri, prima che qualcuno lo sovvenga; mentre serenamente da respingere è la tesi (avanzata comunque in forma ipotetica) che il Marino sia stato scacciato dal padre per aver avuto una relazione incestuosa con la sorella. Da quel che lo Stigliani riporta commentando il testo del Bajacca, sembra potersi dire solamente che la Camilla lo difendesse, abbastanza inutilmente, presso il troppo rigido padre, e che il Marino avesse un carattere pestifero.
L'Accademia degli Svegliati
I primi ad accorgersi di lui, e a sostenerlo anche economicamente, sono Ascanio Pignatelli (personaggio brillante, è anche un modello letterario, grazie alle preziose Rime manieriste, in cui la maniera miniaturizzante barocca è largamente e felicemente anticipata), Innigo de Guevara duca di Bovino e Giovan Battista Manso, ma l'incontro più decisivo è quello col ricchissimo mecenate e cultore d'arte Matteo di Capua, principe di Conca e Grande ammiraglio del Regno, già protettore del Tasso, punta di diamante della nobiltà filospagnola napoletana e amico di Giulio Cortese. L'ingresso, per così dire, in società del Marino data a non prima del 1592, quando è attestata la sua frequentazione non occasionale delle due illustri case del Manso e del di Capua.
Nella seconda metà del 1596, come si evince da una lettera di Camillo Pellegrino ad Alessandro Pera, diviene segretario del principe, o sottosegretario come fa notare lo Stigliani, precisando che segretario è all'epoca Giovan Domenico Bevilacqua, poeta, il cui capolavoro relativo, dato alle stampe nel 1586, non può non risultare suggestivo per il lettore del Marino (Il ratto di Proserpina, di Claudiano da Giovan Domenico Bevilacqua, in ottava rima tradotto... Con gli argomenti et allegorie di Antonino Cingale. E con la prima, e la seconda parte delle rime [...], per Gio. Fr. Carrara, Palermo). Oltre a trovare relativa stabilità, il Marino ha modo, perdendosi nella favolosa quadreria del gran signore, di sviluppare il proprio gusto per le arti figurative (il Marino sarà, significativamente, anche lo scopritore di Nicolas Poussin).
Fondamentale nella sua formazione è la frequentazione, a partire dal 1588, anno della fondazione, dell'Accademia degli Svegliati (dove è "L'Accorto"). Lo Stigliani sostiene che non si sia mai trattato di una vera e propria accademia, ma di un gruppo di letterati che si riunivano in modo informale, richiamando, oltre al principe Cortese e al primicerio Pellegrino, personalità del calibro di Giovan Battista Manso, Tommaso Costo, Ascanio Pignatelli, Giulio Cesare Capaccio, P. Regio e diversi altri; risulta affiliato all'accademia anche Torquato Tasso. Sta di fatto che, come riporta anche Michele Maylender, nel 1593 l'accademia, in cui si tratta di letteratura ma anche di scienza ed, evidentemente, di politica, è chiusa con un rescritto del re per attività antispagnole; l'impostazione è sicuramente eterodossa, telesiana, lucreziana e razionalista, e nonostante quello che dice lo Stigliani, dev'essere formalizzata, avendo un nome riconoscibile e non ignoto alle autorità; e gli accademici avevano tutti, come d'uso per le adunanze regolate da statuto, pseudonimi accademici.
Fonte: Wikipedia, l'enciclopedia libera
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