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Giovan Battista Marino
(✶1569 †1625)
La chiusura dell'Accademia è decisa in seguito a indagini dell'Inquisizione; la figura del principe, il Cortese, è una delle più cospicue tra i telesiani di Napoli, e il suo nome ricorre in una dichiarazione (settembre 1599, quando il Cortese è morto da un anno) di Tommaso Campanella, insieme con quello di Nicola Antonio Stigliola e di Giovanni Paolo Vernalione, durante una deposizione del filosofo al processo intentatogli per congiura contro lo Stato; il Cortese avrebbe informato il grande stilita di un imminente rivolgimento politico. Nel pensiero e nell'opera del Cortese il Marino ha sicuramente trovato svariate suggestioni, e la stessa condotta del principe degli Svegliati nei confronti delle istituzioni statali ed ecclesiastiche, improntata sempre più a doppiezza, ha influito notevolmente sulla sua carriera. Tra i testi cortesiani importanti per il Marino devono essere citati almeno il Discorso fatto intorno alle forze del senso e dell'intelletto, e alle Regole per fuggire i vizii dell'elocuzione del 1592.
In essi, rifacendosi anche ad una perduta Poetica, l'intellettuale, segnando una frattura con il manierismo, sostiene che la poesia è uno strumento conoscitivo della realtà - sempre rifacendosi ad Aristotele - e teorizza una scienza dell'espressione poetica. Nonostante combatta taluni aspetti involutìvi ("l'oscurità, la durezza, l'anfibologia, la viltà, la superfluità, la stranezza") a cui la poesia mariniana non sarà affatto estranea, è importante il peso speculativo dato alla parola poetica di contro al mero edonismo a cui il classicismo rinascimentale la confinava, e il primato della comunicazione contro lo splendido isolamento che era cifra del poeta manierista, chiuso nel suo mondo di bizzarrie. Per quanto riguarda il Cortese politico, anche qui si trovano espressi taluni concetti della massima rilevanza per quanto riguarda la futura carriera mariniana; nonostante il sempre più accentuato conformismo del Cortese degli ultimi anni, specialmente in seguito all'aggravarsi delle condizioni di salute, è in una delle ultime opere, una Oratione alle potenze italiane per lo soccorso della Lega germana (1594) che il Cortese aveva ipotizzato una doppia normazione religiosa: una per il popolo, impartita dalla chiesa con finalità di controllo e creazione del consenso agli Stati; e l'altra per i dotti, nella quale possono entrare elementi neoplatonici, cabalistici, sensismo telesiano e sperimentalismo dellaportiano.
Questa parte della sua produzione sembra essere la più significativa per il Marino, mentre non certo lo stesso si può dire della sfiduciata De Deo et mundo (1595), dominata da una tetra diffidenza nei confronti delle possibilità euristiche umane e da uno stanco fideismo cattolico. L'Accademia degli Svegliati consente al giovane poeta di fare le sue prime esperienze innanzitutto come redattore, ciò che potrebbe spiegare la sua estrema attenzione agli aspetti tecnici della stampa quando si tratterà delle sue proprie opere. In primo luogo è incaricato dal Cortese di curare una raccolta di componimenti poetici di accademici, che tuttavia rimane inedita; dopodiché, ciò ch'è più importante, è il Manso a dargli l'incarico prestigioso di approntare la stampa de Il Manso, o dell'amicizia, dialogo fino allora inedito del Tasso. Il Marino deve aver conosciuto il grande poeta, o lo conoscerà di persona, sia pure di sfuggita, o presso l'Accademia degli Svegliati o, più verosimilmente, presso il Manso (e non presso il principe di Conca, come le più antiche biografie sostengono); tra i due c'è lo scambio di un sonetto, che si legge tra le Rime I con la risposta).
Il dialogo, scritto nel 1592 a Roma, era stato donato in allegato ad una lettera datata 9 marzo 1593 dal Tasso al Manso; la stampa, un omaggio alla memoria del sorrentino, è del 1596, per i tipi di Gio: Giacomo Carlino ed Antonio Pace, Napoli. Tra le altre personalità, pure significativa per il Marino è la benevola amicizia di Camillo Pellegrino, primicerio di Capua, già amico del Tasso e autore, in onore di questi del dialogo Il Carrafa overo della epica poesia, in cui il Tasso è anteposto all'Ariosto. Il Marino stesso è protagonista di un altro dialogo del prelato, Del concetto poetico (1598), in cui è sostenuta la maggiore importanza, nella poesia, del concetto espresso rispetto alla presunta purezza dello stile.
Gli arresti
Durante gli anni napoletani, il Marino finisce arrestato per ben due volte. Ma sulla vita del Marino si stende persistentemente l'ombra di qualche mistero, specialmente per quanto riguarda le vicende di questo periodo, per le quali le uniche pezze d'appoggio sono fornite soprattutto da racconti biografici, e di rado da fonti documentarie dirette. Sembra verosimile, grazie ad un tardo racconto di Camillo Minieri Riccio basato su documenti oggi irreperibili, che il primo degli arresti, che si verifica nel 1598 e secondo Francesco Chiaro dura un anno, sia dovuto al procurato aborto ad un'Antonella Testa, figlia di un ricco mercante siciliano, o uno dei sindaci della città di Napoli, ingravidata non si sa se dal Marino o se da un suo amico e morta in sèguito alla sconciatura; mentre un secondo guaio con la legge, nel 1600, probabilmente coinvolto in un duello risoltosi fatalmente: il Marino avrebbe falsificato le bolle per far passare il suo caso dal tribunale laico a quello ecclesiastico nonostante non avesse i titoli per godere dei privilegi spettanti agli ecclesiastici. Di fatto il tentativo è inutile, il D'Alessandro è condannato a morte e giustiziato nell'ottobre dell'anno 1600; il Marino verosimilmente non conosce il carcere, in questa seconda occasione, circostanza nella quale assai difficilmente si sarebbe potuto salvare, ma fugge prima di essere catturato. Non è naturalmente da escludere che qualche amico influente ne favorisca la fuga; ripara comunque a Roma, di lì a poco, in condizioni fisiche pessime.
Ma diversi testimoni, tanto fra i detrattori quanto fra gli apologeti hanno attribuito con grande certezza al Marino, molta della cui lirica è al riguardo pesantemente ambigua, amori omosessuali. Altrimenti, la reticenza delle fonti su questa materia è ovviamente dovuta alle persecuzioni di cui le "pratiche sodomitiche" (o "vizio nefando") erano fatte oggetto in special modo durante la Controriforma. L'accusa, allora particolarmente grave, ricorrerà nelle rime satiriche del Murtola durante il soggiorno torinese, mentre lo Stigliani alluderà in vario modo e a più riprese alla stessa questione in varie sedi (attraverso un "falso" mariniano, le postille alla Vita del Bajacca e in molti altri luoghi). Ma interessante è anche il riferimento all'amore del Marino per un non meglio precisato "giovinetto Aprile", provenzale, di cui si parla in una tarda biografia a cura di Antonio Bulifon (1699) in calce ad una ristampa di rime.
Roma (1600-1605)
Il Marino, dunque, fuggito dal capoluogo campano, si trasferisce a Roma. Visto che Napoli non era sede (caso unico in Italia) di ufficio dell'Inquisizione "alla maniera di Spagna", l'interesse del poeta teoricamente sarebbe quello di rimanere a Napoli, e non certo quello di gettarsi direttamente incontro a qualche rogo. La protezione di cui ha goduto a Napoli, quindi, continua ad essere efficace anche a Roma; come si vedrà, anche nella città del papa si farà assai rapidamente molti amici influenti. Ma soprattutto è giocoforza ravvisare sin da quest'altezza cronologica come il Marino intrattenga, nonostante tutta la sua irrequietudine, ottimi rapporti con la chiesa cattolica: un favore che sostanzialmente non perderà prima dell'avvento di Urbano VIII. Come detto, il Marino giunge a Roma completamente debilitato, e qui cade gravemente malato. Ma, nonostante una parentesi di stenti secondo l'avversario Tommaso Stigliani paragonabile agli anni immediatamente seguenti la cacciata di casa (per cui riparerebbe presso il dormitorio per i poveri dell'Ospedale della Consolazione), il Marino, in capo a qualche mese, risulta già benissimo raccomandato. Alcuni biografi, tra cui il Bajacca, favoleggiano di un precedente soggiorno del Marino a Roma, nello stesso anno 1600, per il giubileo, in occasione del quale avrebbe conosciuto Gasparo Salviani in casa del card. Ascanio Colonna; anche se questo spiegherebbe (fino ad un certo punto, trattandosi di una retrodatazione solo di qualche mese) la rapidità con cui il Marino passa dalla miseria totale alla prosperità, è praticamente certo che l'ottobre-novembre 1600 sia l'altezza cronologica del suo primissimo viaggio a Roma, e che la sistemazione del poeta, e il suo repentino cambio di condizione, debba spiegarsi in altro modo. Sicuramente le amicizie tra ecclesiastici del Regno, prima tra tutte quella con il Pellegrino, avranno avuto il loro peso; secondariamente, anche il primo periodo, di opacità, può essere servito a lasciar calmare le acque, o a far perdere le sue tracce. Secondo il biografo Ferrari, Antonio Martorani, auditore del card. Innigo d'Avalos, noto come "il cardinal d'Aragona", saputo del suo arrivo, ne avverte Arrigo Falconio e Gasparo Salviani, due nomi poi ricorrenti nell'epistolario mariniano. Grazie ai loro buoni uffici può entrare al servizio di monsignor Melchiorre Crescenzi, cavaliere romano, chierico di camera e coadiutore del camerlengo, raffinato e stravagante signore, la cui cerchia intellettuale il Marino comincia a frequentare intensamente (come anche Piazza Navona, secondo la maligna insinuazione dello Stigliani, notorio ritrovo di sodomiti). La contraddizione tra il delitto blasfemo di cui il Marino s'è macchiato e il rapporto clientelare con un uomo di chiesa è solo apparente, dato lo spirito dei tempi; e il Crescenzi, oggetto d'una ricca aneddotica, è noto per le larghe vedute.L'Accademia degli Umoristi
A Roma entra in contatto con diverse accademie, in primo luogo l'Accademia Romana di Onofrio Santacroce, dove secondo il Bajacca aveva già pronunciato una cicalata sulla "toscana favella" prima ancora di conoscere il Crescenzi. L'accademia, frequentata anche da Tomaso Melchiori, poi dedicatario di Rime II, considerata l'antesignana di quella degli Accademia degli Umoristi, sarà poi chiusa assai per tempo, a causa degli strascichi del matricidio commesso da Paolo Santacroce, fratello di Onofrio, nel 1599. Destinato a durare, invece, tutta la vita il legame con quella prestigiosissima degli Umoristi, che Paolo Mancini, gentiluomo romano appena tornato fresco di studi da Perugia ha fondato (per ora col nome "Belli humori") in occasione del proprio matrimonio, il 7 gennaio 1600, con la collaborazione di Arrigo Falconio e Gasparo Salviani. Frequentatori dell'Accademia, che si riunisce in casa del Mancini stesso, risultano a vario titolo Alessandro Tassoni, con cui il Marino avrà sempre cordiali rapporti e che reincontrerà a Torino, Pietro Sforza Pallavicino, Agostino Mascardi, importante storico e poi suo apologeta, il grande Gabriello Chiabrera, Battista Guarini (che secondo il Ferrari il Marino conoscerebbe, però, soltanto nel corso del primo viaggio veneziano), Girolamo Aleandro (il Giovane), Francesco Bracciolini, il card. Francesco Barberini, Gasparo Simeoni, Antonio Caetani, Filippo Colonna, Giovanni Savelli, Porfirio Feliciani, Antonio Querengo; reincontra Tommaso Stigliani, con cui i rapporti non sono ancora degenerati, e l'altro suo futuro nemico, Gaspare Murtola, con cui si scambia un sonetto poi a stampa nelle Rime. Rapidamente degenera, invece, il rapporto con la fiammeggiante Margherita Sarrocchi, che, a differenza dello Stigliani e del Murtola, è figura di spessore e intellettuale di alto profilo; con lei si vocifera (v. Boccalini) che abbia inizialmente una relazione, la sola che concilii il nome del Marino con una donna e anche quella sospetta, e che dal momento della rottura diventa uno dei suoi acerrimi oppositori. Entra in contatto anche con Guido Casoni, il primo dei suoi presunti antesignani settentrionali importanti insieme al bolognese Cesare Rinaldi e al genovese Angelo Grillo.
Fonte: Wikipedia, l'enciclopedia libera
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