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Giovan Battista Marino
(✶1569 †1625)
Le rime (1602)
Nel 1601-1602 viaggia per l'Italia: fine del viaggio è Venezia, dove esordisce nella stampa con le Rime (2 voll., Ciotti), che sono anche specchio di un'intensissima vita relazionale. L'opera raccoglie presumibilmente il meglio della sua produzione dall'esperienza ancora adolescenziale, ma comprende anche, con grande tempestività, rime encomiastiche dedicate a personalità incontrate pochi mesi prima. La raccolta, notevolmente ampliata e divisa in 3 parti (la terza parte è già annunciata in queste Rime 1602, c.10v), sarà ristampata poi nel 1614 col titolo di La Lira, e testimonia pienamente dell'indole essenzialmente lirica e delicata dell'ispirazione mariniana. In una libreria veneziana, secondo quanto racconta il Loredano, gli è indicato Guido Casoni in conversazione con altri letterati; presentatosi, recita il sonetto Apre l'uomo infelice allor che nasce, e sparisce senza aspettare né lode né biasimo. Il Casoni, che all'epoca è un'autorità, rimane molto favorevolmente impressionato, e da lì nasce un'amicizia destinata a durare fino alla morte del Marino. Lungo il percorso visita le accademie e le personalità letterarie di Siena, Firenze, Bologna, stringendo relazioni importanti - specialmente a Bologna con Claudio Achillini), che è una delle città "mariniste" per eccellenza con Napoli, Venezia e per molti aspetti, almeno fino al pontificato di Urbano VIII, Roma. Di questi anni è la concezione e la prima elaborazione dell’Adone, che per più d'un ventennio sarà al centro dei pensieri del Marino insieme con altri due "poemi grandi", progettati e continuamente annunciati e mai realizzati: una Gerusalemme distrutta sulla conquista della terra santa da parte di Tito Vespasiano, in diretto rapporto d'emulazione col Tasso; e Le trasformationi, di marca ovidiana, di cui sopravvive solo lo scheletro, peraltro riportato da una fonte indiretta (Bajacca), apparentemente d'impianto organicistico-naturalistico, il cui argomento sarà poi verosimilmente assorbito da L'Adone:
«(...) curioso e giovevole sarebbe stato il poema voluminoso delle Trasformationi, il cui argomento, come egli confidò con Baldassarre Bonifaccio, archidiacono di Trevigi, amico suo di molt'anni, era tale. S'introducevano quattro bellissime principesse figliuole d'una potentissima regina, delle quali fossero innamorati quattro nobilissimi e valorosissimi cavalieri; s'intendea per la madre la Terra, per le figliuole l'Africa, l'Asia, l'Europa e l'America, per li cavalieri Ercole, Alessandro, Cesare e Colombo. Scorrevano questi con le loro vittorie, ed illustravano con la fama delle loro imprese tutto l'universo, e vedeano in ciascuna parte le varie trasformationi che si fanno di tutte le cose per opera de l'arte e de la natura, così ne gli huomini come ne gli animali e ne le piante e ne' minerali e ne' cieli e ne gli elementi. E qui si spiegavano tutti gli arcani della occulta filosofia sotto l'amenità di forse otto mila favole tratte in qualche numero da gli autori greci, latini e toscani, ma per la maggior parte cavate dal suo proprio cervello ricchissimo d'invenzioni. E si chiudeva il poema con le nozze d'Ercole in Africa, d'Alessandro in Asia, di Cesare in Europa, e di Colombo in America.»
Il servizio presso l'Aldobrandini
Nel 1603 entra al servizio del cardinale Pietro Aldobrandini, nipote di papa Clemente VIII, grazie ai buoni uffici, secondo un anonimo, di Ferrante della Marra, futuro duca della Guardia. Per sue manovre oscure, l'Aldobrandini, d'accordo con Ferdinando Taverna governatore di Roma, fa cadere su Onofrio Santacroce l'accusa di istigazione per quanto riguarda il matricidio compiuto da Paolo, e l'innocente nobiluomo è condotto al patibolo il 31 gennaio 1604. Lo Stigliani non mancherà di insinuare che il Marino v'abbia qualche parte; secondo il Borzelli non ne ha alcuna, ma non dà conto delle vantate "indagini accurate" in questo senso; comunque sia il coinvolgimento del Marino è, salvo nuovi ritrovamenti, completamente indimostrabile. Il Taverna è, in ricompensa, creato cardinale da Clemente VIII proprio su richiesta dell'Aldobrandini.
Ravenna-Bologna-Venezia (1605-1608)
L'Aldobrandini gli garantisce durante il pontificato dello zio una potente protezione; ma alla morte di Clemente VIII, nel marzo 1605 (tralasciando il brevissimo e non influente pontificato di Leone XI, morto nell'aprile, a cui il Marino, con inutile tempestività, dedica il panegirico Il Tebro festante), succede per lunghi anni Camillo Borghese, il papa dell'Interdetto Paolo V. Nel quadro di una politica rigorista, il pontefice stabilisce sùbito che i principi della Chiesa risiedano fisicamente nelle sedi cui sono stati assegnati. L'Aldobrandini, oltre a perdere una serie di privilegi dovuti alla compiacenza nepotista dell'illustre parente, avendo avuto assegnata da costui la sede di Ravenna, deve obbligatoriamente trasferirvisi. Il Marino, come parte della famiglia, è tenuto a seguirlo. Come descriverà in una lettera, a parte il viaggio disagevole, il poeta deve così confinarsi in una città arretrata, povera e insalubre; è del tutto comprensibile che il poeta pensi sùbito ad una differente sistemazione, possibilmente sotto diverso padrone. Ciononostante Giovanni Francesco Loredano sosterrà che in questo parziale isolamento il Marino componga e pianifichi tutte le opere più importanti. Sicuramente, però, la residenza ravennate gli consente di raggiungere sovente due città hanno un ruolo di primo piano nella formazione del poeta in questi anni e destinati a divenire centrali: Bologna, tra cui gl'indefessi seguaci Claudio Achillini e Ridolfo Campeggi, sia, soprattutto, Venezia, centro della stampa europea.L'incontro con Nonno di Panopoli (1606)
A questi anni fra Ravenna e Bologna risale la traduzione integrale latina (il Marino non conosceva il greco, come Gabriello Chiabrera) a cura dell'umanista Jakob Lect ("Jacobus Lectius", 1556 ca.-1611) delle Dionisiache di Nonno di Panopoli la cui lettura fu per il Marino importantissima e che modificherà profondamente L'Adone. Per quanto riguarda la tecnica poetica, a livello macrostrutturale le Dionisiache presuppongono un doppio binario allegorico, per cui le vicende epiche di Dioniso e la diffusione della vite nel mondo servono costantemente a 'spiegarsi' a vicenda, con un effetto parallelo di innalzamento e abbassamento del tono poetico, ciò che si osserva anche ne L'Adone, in cui nella filigrana del racconto mitologico può essere letta una spregiudicata concezione cristologica (intenti parodistici e satirici, anche se non sono quasi mai centrali per il Marino, sono tuttavia costanti nella sua opera). Naturalmente dev'essere sempre tenuto conto che il dettato appassionato, travolgente, teso, espressionistico 'titanico' di Nonno non ha nulla che fare con la maniera del Marino, aggraziata, flebile, cerebrale, lambiccata e tenue, che tende a risolversi per quadri lirici isolati. Per quanto riguarda lo svolgimento, poi, della carriera mariniana, di contro all'idea che si è indotti a formarsi in base all'accumulo ingenuo delle non mantenute promesse mariniane, e cioè quella di una costante distorsione di un progetto originario, velleitario o comunque non così linearmente realizzabile come quello che il poeta aveva vagheggiato, proprio partendo dal confronto con Nonno è forse possibile operare un totale ribaltamento: anche il Marino, come Nonno, è autore di due "epiche" eterodosse, una pagana, e l'altra cristiana, dove l'equilibrio paradossale rappresentato dall'asse Dionisiache / Parafrasi di s. Giovanni troverebbe un equivalente nel rapporto L'Adone con la Strage degl'innocenti, l'altro poema mariniano. Sempre tenuto conto che, dai primi padri in poi, sia Dioniso sia Adone sono figure (pre)cristologiche (Adone/Adonai); donde si potrebbe anche inferire un asse Napoli-Roma come Panopoli (o Tebe)-Bisanzio. Ugualmente paragonabile è il tentativo di sostituire il non-epos mitologico all'epos vero e proprio, tramite un ironico esercizio di emulazione e superamento, per quanto riguarda Nonno rispetto ad Omero, e per quanto riguarda il Marino rispetto al Tasso. Questo potrebbe portare a correggere l'idea che si ha, dall'Errico in poi, del rapporto problematico del Marino con il poema epico "puro": non un'incapacità, o una scarsa congenialità, ma una tappa che, per quanto teoricamente "obbligata", avrebbe portato, quella sì, allo snaturamento di un progetto.
Torino(1608-1615)
Nel 1608, forse il 29 gennaio, accompagna l'Aldobrandini (nella sua qualità di protettore del Piemonte) presso la corte di Carlo Emanuele I a Torino, in occasione delle nozze delle infante, Isabella di Savoia con Alfonso d'Este e Margherita di Savoia con Francesco Gonzaga. Intorno alla corte girano personaggi quali Gabriello Chiabrera Lodovico d'Agliè Emanuele Tesauro Federigo della Valle Lorenzo Scoto che scriverà le Allegorie per L'Adone. Nello stesso anno il Marino, assai interessato a passare al servizio del duca, pubblica a Torino un elegante poemetto panegiristico dedicato al duca, Il ritratto, nel raro metro della sestina narrativa, della cui frettolosità di composizione testimonia il fitto tessuto di citazioni da Claudiano (altro autore centrale, assieme a Nonno, per L'Adone), fonte principale se non l'unica di questa sua fatica. La velocità di composizione, di cui il diretto interessato ovviamente ignora il segreto, ha modo d'impressionare assai favorevolmente il gran signore.Fonte: Wikipedia, l'enciclopedia libera
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