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Giovan Battista Marino
(✶1569   †1625)

Il cavalierato e l'attentato del Murtola
Si tratta tuttavia di un periodo turbolento, funestato dalla rivalità con il poeta genovese Gaspare Murtola, segretario del duca, col quale il Marino si scambia i sonetti ingiuriosi poi stampati col doppio titolo Marineide, risate / Murtoleide, fischiate. Sembra fatale che il Marino, deciso a rimanere alle dipendenze del duca ma ancora privo di un incarico ufficiale, debba scalzare il Murtola, sia per il maggior prestigio di "caposcuola", sia per la maggior attitudine a prender parte all'intensa politica culturale voluta dal duca. Che i timori del Murtola siano fondati è dimostrato dal fatto che un mazzo di componimenti satirici colpisca il Marino praticamente già al suo arrivo a Torino; il manoscritto contenente i 29 sonetti della Bastonatura al cavallier Marino risale al febbraio 1608 (non riportati in nessuna stampa della Murtoleide, saranno pubblicati la prima volta nel 1898 da Angelo Borzelli). L'11 gennaio 1609, circa un anno dopo il suo arrivo a Torino, il Marino è insignito dal granduca dell'cavalierato dei SS. Maurizio e Lazzaro, massima onorificenza sabauda (donde il titolo da allora quasi incorporato al nome, "il cavalier Marino"). Il Murtola, pazzo di gelosia, esasperato dallo scherno del rivale, nella notte tra il 1 e il 2 febbraio 1609 attenta alla sua vita nella via Dora Grossa, oggi via Garibaldi, scaricandogli addosso cinque colpi di pistola. Il Marino, rimasto illeso (mentre il suo giovane amico Aurelio Braida rimane colpito ben più gravemente), ha parte preponderante nella successiva scarcerazione dello sventurato rivale. L'episodio è rievocato dal Marino stesso nel X canto de L'Adone.

L'apertura del processo inquisitorio
Tornato nell'estate (probabilmente nel mese d'agosto) dello stesso 1609 a Ravenna, il Marino torna a Torino ad inizio dicembre, entrando definitivamente al servizio del duca e rimpiazzando il Murtola come segretario; di fatto, se non ufficialmente, dal momento che il suo unico compenso consiste in «due razioni o siano livre ordinarie di pane, vino e companatico», che alla sua partenza per la Francia saranno riassegnate all'amico e "virtuoso" Aurelio Braida. A questo punto ci sarebbe da pensare che la permanenza torinese del Marino prosegua senza intoppi, ma nel 1611 a sua volta, per motivi mai del tutto chiariti ma a cui il Murtola e probabilmente anche lo Stigliani non sono estranei, finisce incarcerato. La causa, nominalmente, è la diffusione da parte del Marino di una serie di componimenti ingiuriosi nei confronti del duca, prodotti opportunisticamente dai suoi nemici per screditarlo; ma sono noti anche componimenti, evidentemente non mariniani, di contenuto blasfemo che già nel 1609, su segnalazione di Tommaso Stigliani, l'Inquisizione ha inserito in un nuovo fascicolo dedicato al poeta, avviando un processo che si concluderà solo nel 1623, poco prima della morte.

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La carcerazione
Da questo momento i documenti compromettenti, veri ed autentici, continueranno ad accumularsi, fornendo abbondanti motivi per la condanna all'Indice dei libri proibiti. In particolare il duca, che reca i segni d'un'infanzia cagionevole nella postura un po' curva della schiena, sarebbe rimasto offeso da una Gobbeide (secondo lo pseudoBoccalini), o da una Cucagna (che è un modo per definire la gobba, metaforicamente - letteralmente significa "altura tondeggiante") come sostiene il Marino, o da certe Scrignate contro Tiberio Bucca (personaggio con cui il Marino aveva scambiato versi ingiuriosi a Napoli) secondo lo Stigliani, non necessariamente di mano del Marino o comunque non dirette al duca. Altri componimenti satirici, invece, sicuramente di mano del poeta, risalgono ancora agli anni napoletani, e il Marino deve rivolgersi all'amico e antico protettore Manso per dimostrare che i componimenti non possono avere come oggetto il duca e la corte torinese. L'Aldobrandini, pregato dal Marino, scrive al duca che i versi incriminati sono stati scritti dieci anni prima (intorno al 1601) in Roma (e dunque non a Napoli). Dev'essere tuttavia detto che incidenti del genere non sono affatto infrequenti, e che quasi mai il Marino, pur così diplomatico, è innocente; le carte inquisitoriali contengono il riferimento preciso ad un sonetto romano dedicato al card. Giovan Battista Deti, giovanissimo e di costumi reprensibili, una creatura degli Aldobrandini: mentre includeva tra le Rime del 1602 un gentile sonetto di complimento per l'elevazione alla dignità del giovane vizioso, il Marino avrebbe fatto circolare un altro sonetto, rapidamente diffusosi (ed attualmente da dare per disperso), una sorta di palinodia in cui erano messe alla gogna le reali qualità del prelato. Un atto abbastanza sconsiderato, dal momento che il sonetto mordace non metteva solo in ridicolo un principe della Chiesa, ma rischiava di mettere in pericolo lo stesso rapporto, del tutto vitale, coll'Aldobrandini. La stessa dinamica si ripresenta nelle modalità impiegate per scarcerarlo: dove l'intervento di potenti e amici risulta nullo, interviene efficacemente Henry Wotton, ambasciatore inglese: con al seguito anche Giovan Francesco Biondi, letterato di area marinista, dal 1608 in contatto con ambienti eterodossi e importatore a Venezia di molta letteratura antipapista, in tempi non troppo lunghi riesce a far rendere al Marino (1612) la libertà. Attratto dalla prospettiva di passare in Inghilterra, rifugio di molti spiriti irrequieti come Giacomo Castelvetro e Giulio Cesare Vanini, il Marino si vedrà a suo tempo rifiutare l'assenso di Giacomo I per via d'un componimento ingiurioso dedicato ad Elisabetta I.

Il 1612 segna in generale un momento estremamente critico per il Ducato di Savoia: la morte di Francesco Gonzaga alla fine dell'anno offre a Carlo Emanuele la possibilità di avanzare pretese sul Monferrato, ma non ha nessuno a sostenerlo nell'impresa, e la tensione con gli altri governi europei giunge rapidamente alle stelle. Per quanto riguarda direttamente il Marino rende accettabile l'idea della carcerazione per via di scritti ingiuriosi (e l'accusa è eccezionalmente grave, di per sé, avendo Carlo Emanuele proibito con pena della vita la diffusione dei cosiddetti "libelli famosi", a chiunque diretti, in tutto il ducato, dopo aver subìto un attacco a mezzo stampa da parte dei Gesuiti) il fatto che al Marino, con la carcerazione nel "Serrato", siano stati sottratti tutti gli scritti in corso d'opera. Una lettera inviperita al duca, che così ha interrotto il lavoro del poeta, può essere presa, secondo i punti di vista, per una straordinaria attestazione di libertà da parte del Marino, di tolleranza sostanziale da parte del duca, oppure, come sostiene Alberto Asor Rosa, per la tipica reazione dello schiavo rivoltato.

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La libertà
Recuperate, faticosamente, le sue carte, il Marino, completata la stampa della Lira con la III parte (per i tipi del solito Ciotti), darà nel 1614 alle stampe le Dicerie sacre, tre finte prediche "d'arte" con cui si ripromette - con ragione - di convertire al bellettrismo estetizzante un clero già piuttosto predisposto alle divagazioni erudite. Dello stesso 1614 è un'altra polemica, scatenata da Ferrante Carli a partire da un sonetto in lode di un poemetto di Raffaello Rabbia su Santa Maria Egiziaca, "Obelischi pomposi all'ossa alzaro", nel quale il Marino ha confuso il leone nemeo con l'idra lernea.

Nella disputa è Ludovico Tesauro a prendere le difese del Marino, sostenendo la liceità dello scambio a partire da un passo di Nonno di Panopoli. Il Marino ha il buon gusto di non cercare giustificazioni, ma interviene privatamente, o semiprivatamente, con una lettera velenosissima al Carli, piena di velata minaccia; la controreplica dell'erudito parmense, Essamina intorno alle ragioni del conte Lodovico Tesauro in difesa d'un sonetto del Cav. Marino, praticamente non riguarda più il Marino, che è nominato solo una volta a p. 90.

Nel frattempo, nell'aprile 1613, Carlo Emanuele ha occupato il Monferrato. Quasi tutti i governi europei gli sono contro, in special modo la Spagna. Alla congiuntura, per il momento estremamente difficile, è attribuita da parte del Marino la necessità di trovarsi un'altra sistemazione. La pace tra Spagna e Savoia sarà stipulata il 21 giugno 1615, un mese soltanto dopo la partenza del Marino, con la mediazione della Francia. Prima di partire, ancòra da Torino, il Marino lascia un'importante traccia delle sue intenzioni in una lettera a Giovan Battista Ciotti:

«L’Adone penso senz'altro di stamparlo la, sì per la correzione, avendovi da intervenir io stesso, sì perché forse in Italia non vi si passerebbono alcune lasciviette amorose. Le so dire che l'opera è molto dilettevole...»

Parigi (1615-1623)

Nella primavera del 1615 lascia Torino, forse in compagnia di Henry Wotton (come anche prospettato da una lettera precedente il viaggio), e si trasferisce in Francia, dove sin dal 1609 la fiorentina Maria de' Medici l'aveva invitato. Il Marino in terra di Francia si muove praticamente senza alcuna raccomandazione: questa scopertura spiega la tempestività (che al contempo dimostra la straordinaria abilità del Marino nel tessere relazioni) della stampa a Lione de "Il tempio", panegirico alla maestà della regina, con dedica a Leonora Dori Galigai, marescialla d'Ancre, moglie di Concino Concini. Come significativo è il fatto che, nello stesso giorno (15 maggio 1615) in cui firma la prefazione all'operetta, egli scriva a Ferdinando II Gonzaga chiedendogli raccomandazioni per la corte di Francia ("Ora l'armi scacciano le Muse", esordisce, riferendosi agli scontri del Monferrato come causa unica della sua partenza). Il racconto del faticoso viaggio, di fatto una pregiata tarsia di citazioni (da Camillo Scroffa, Francesco Berni e altri burleschi), e del primo stabilimento nella grande città è presente in una splendida lettera ad Arrigo Falconio inviata dalla Francia. Del 16 giugno 1615 è una lettera dell'ambasciatore fiorentino a Parigi, Luca degli Asini, nel quale annuncia l'entrata del Marino a corte, la sua introduzione per cura della Galigai, e il colloquio di un'oretta avutosi tra il Marino e la regina nel di lei gabinetto; ma anche della sua intenzione di passare in Inghilterra, e poi in Fiandra (in Fiandra il Marino avrebbe potuto frequentare la corte dell'arciduca Alberto d'Austria, sotto influenza spagnola, in un contesto pacifico dopo la tregua, dal 1609, con le Province unite protestanti, e lì avrebbe potuto incontrare due personalità già note, Ambrogio Spinola e Guido Bentivoglio).

Fonte: Wikipedia, l'enciclopedia libera

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