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Giovan Battista Marino
(✶1569   †1625)

Il favore di Maria de' Medici
Il Marino a corte questo punto risulta sostenuto da alcuni italianisants, tra cui Louis-Charles de la Valette, conte di Candale, e da un'intimissima della regina Maria, la principessa di Conti, amata da Enrico IV, dal 1614 vedova di Francesco di Borbone. Ma a quest'altezza, informa il degli Asini, il Marino non ha smesso di accarezzare l'idea di passare in Inghilterra, e in Fiandra. Il mese dopo, il 31 luglio 1615, nuovamente degli Asini informa che al Marino è stato assegnato un onorevole trattamento, o provvigione, di 100 scudi al mese, erogati però come pensione, in modo che il poeta è immediatamente pagato per i sei mesi precedenti, come se gli fosse stata assegnata al principio dell'anno; più 1000 franchi di donativo "per mettersi all'ordine". Scrivendo allo Scoto due lettere nello stesso mese di luglio, il Marino informa:

«Insomma sono stato costretto a fermarmi qui per qualche mesi. La regina me n'ha pregato a bocca: la cosa è seguìta con mia somma riputazione. Centro scudi d'oro del sole il mese di pensione ben pagati, oltre cinquecento altri di donativo, che mi si sborseranno dimane, sono tremilla scudi in circa di moneta l'anno.»

Il sogno inglese
Ma nemmeno il generoso, ed evidentemente interessato, trattamento riesce a far dimenticare l'Inghilterra al Marino, che continuerà a cercare agganci tramite Giacomo Castelvetro ancòra nel marzo 1616; il Marino, nella sua lettera a costui, si mostra perfettamente consapevole sia del trattamento assai meno generoso che otterrebbe presso l'austera corte di Giacomo I, sia dei rischi inerenti al passaggio nel paese anticattolico, dopo il quale tornare in Italia sarebbe molto difficile. Non inutile è ricordare che secondo Paolo Sarpi il nipote del grande Ludovico era un imprudente («Castelvetro è uomo da bene compitamente, ma non ha dramma di prudenza, e non vi è in Venezia uomo più osservato da li romani di lui», lettera a Francesco Castrino del 3 agosto 1610), che nel settembre 1611 era stato imprigionato dall'Inquisizione e che, liberato grazie ad un intervento dell'ottimo Wotton (con gran dispetto delle autorità ecclesiastiche e del nunzio Gessi), era scampato alla condanna riuscendo poi a riparare in Inghilterra. Una frase di questa preziosa lettera è in particolar modo da tener da conto:

«Vo temporeggiando con discostarmi, quanto più posso, da Roma, finché il tempo, o la morte mi faccia sicuro di ritornarvi.»
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Quando vi ritornerà, non molto tempo sarà passato; più probabilmente sarà qualche avvisaglia della malattia che lo porterà alla tomba a farlo decidere per questo al momento vitando rientro. Questa scelta del Marino costituisce uno schieramento piuttosto impegnativo. Ci si può riferire a due missive, del luglio e dell'ottobre 1615, del Bentivoglio per valutare esattamente questo suo ostinato sogno: nel 1615 Giacomo I aveva dato alle stampe A remonstrance for the Right of the Kings, col quale dava pubblica voce ad una politica ormai risolutamente anticattolica, la quale concretamente, secondo il nunzio, doveva portare a «seminar turbolenza dentro la Francia» e indurre il popolo francese «a levarsi dalla fede cattolica». Prima che Spagna e Francia tornassero a rinsaldare i vecchi equilibri con il Ducato di Savoia dopo la soluzione della questione del Monferrato si era vociferato di accordi tra il ducato e l'Inghilterra, nel segno del progetto londinese «che Savoia sia per fondare in Italia come una nuova Olanda». Tutto, all'altezza dell'ultima lettera del Marino, ha nuovamente mutato aspetto; ma il poeta non ha ancòra abbandonato il suo sogno di trasferirsi a Londra, preferendo un'austera permanenza là che non la dorata prigione parigina.

A novembre 1616, la firma della dedica del primo Adone a Concino Concini (detto Adone1616) segna la scelta definitiva del Marino in favore di Parigi. Di mezzo, come già detto, c'è anche la diffidenza dello stesso Giacomo I, che inutilmente una lettera dello stesso Marino al Wotton ha cercato di fugare, cercando di cancellare la pessima impressione dell'invettiva contro Elisabetta I con la pessima accoglienza riservata da Paolo V alla dedica delle Dicerie sacre, tanto iperbolica e insieme tanto affettuosa da parere una presa in giro; né a gran cosa pare sia servito un sonetto al re stampato in una sede prestigiosa come le opere di William Alexander, I conte di Stirling. In questa faccenda il Marino non può dipendere solamente dalla propria inclinazione: laddove l'accoglienza di Maria de' Medici è stata cordialissima, e il trattamento veramente regale, Giacomo I continua a mostrarsi pochissimo entusiasta all'idea di riceverlo; senza trascurare che per un Marino ormai più che quarantacinquenne il passaggio ad una corte regolata secondo ben altri equilibri sarebbe stato quantomeno traumatico. Come "papalino" in un paese latino e cattolico può stampare opere in italiano e continuare in grande stile la sua vita di poeta cortigiano; ma quale sarebbe il suo futuro in Inghilterra, proprio negli anni in cui il modello latamente umanistico italiano sta perdendo tutto il suo prestigio, e l'Italia stessa comincia ad essere tagliata fuori dai percorsi classici dei viaggiatori colti inglesi?

La morte del Concini (1617)
A fine 1616 Guido Bentivoglio assume la carica di nunzio pontificio e non è inverosimile che, nella catastrofe sfiorata dal Marino un anno dopo, il Bentivoglio abbia avuto una funzione salvifica. Nel novembre il Marino sembra aver definitivamente rinunciato all'idea dell'Inghilterra. I marescialli d'Ancre, molto vicini alla regina, ma odiati e disprezzati da Luigi XIII e dalla nobiltà francese, cadono atrocemente in disgrazia: l'8 luglio 1617 il Concini è fatto uccidere dal re, e la Galigai, sottoposta a processo per stregoneria, è giustiziata entro poche settimane. Il Marino non rimane tuttavia coinvolto nella catastrofe, e la regia pensione continua ad essergli versata. Con gli auspicii del Bentivoglio, il Marino scrive la sua unica opera di militanza cattolica, il libello polemico antiugonotto La sferza, densamente anfibologico, che però si rivela inutile a garantire il lealismo del Marino e, abbandonato dall'autore, sarà pubblicato postumo. L'Adone, che doveva andare alle stampe con la dedica al Concini, viene fermato (lo stato del poema a questo punto dei lavori è in parte conservato in due manoscritti a Parigi e Madrid, detti Adone1616).

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L'Adone (1623)
A Parigi il Marino mena una vita perlopiù molto ritirata (ma, se si vuol dar fede al Gédéon Tallemant des Réaux delle Historiettes, dove aneddoti a lui riferiti alla rubrichetta Sodomites italiens) e si dedica ad un appassionato collezionismo di incisioni e opere grafiche dei maggiori artisti del tempo (come Gabriello Chiabrera, anche il Marino è in fitto contatto col pittore genovese Bernardo Castello) e di libri (una biblioteca di 12000 volumi). Nel 1620 stampa La sampogna (comprendente anche l'Idillio di Proserpina che era uscito precedentemente a Lucca), e si dedica interamente a L'Adone, terminato nel 1621 e, dopo due anni di accuratissimi lavori, stampato nel 1623 da Oliviero di Varano (de Varennes, che completa la stampa dopo la morte di Abramo Pacardo). Il primo progetto de L'Adone risale agli anni napoletani. Dalle lettere sappiamo che:
- nel 1584 era un poemetto in 3 canti tra i tanti progetti del Marino;
- poi divenne di 4 (innamoramento, amori, dipartita, morte)
- nel 1616 da Torino scrive a Fortuniano Sanvitale che il poema è in 12 canti ed è lungo quanto la Gerusalemme liberata e di avere intenzione di stamparlo appena arriverà a Parigi. Appena giunto a Parigi, sempre allo stesso, il Marino scrive che il poema è diviso in 24 canti ed è quasi maggiore dell'Orlando Furioso. Qual che sia la verità, metà del poema a questo punto dei lavori, rimane manoscritto a Parigi e a Madrid (detto Adone1616); il poema, a questa data, manca ancora del II canto (il giudizio di Paride) ed è dedicato alla regina e al Concini, due italiani.
- Tuttavia, il mutamento della situazione a corte e la morte del Concini, costrinsero il Marino a rimettere mano al poema che, in cinque anni (1617-1621), divenne l'immensa macchina che leggiamo oggi (42000 versi, l'opera più lunga della letteratura italiana, poco più del Furioso in vero) e fu dedicato a Luigi XIII con l'intercessione di Maria de' Medici; le ottave proemiali prima dedicate al Concini furono spostate, defilate, nel XII canto.
- Da quello che è lecito ricostruire tramite la Lettera Claretti del 1614 e ad alcune indicazioni sparse nelle lettere che ci aggiornano riguardo agli altri progetti poetici del Marino (nel 1620 scrive ancora al Ciotti: "De la Gerusalemme distrutta e le Trasformazioni, non mi occorre parlare per ora [...] ch'io spero di far conoscere se abbiamo ingegno ancor noi atto a [...] una epopeia"), l'Adone, per divenire l'immenso poema che è ora, deve avere inglobato col tempo anche degli altri progetti epici del Marino, quali le Trasformazioni Il Polifemo, Gerusalemme Distrutta (della quale cui resta il solo canto VII, postumo), e Polinnia (che sarebbero stati riciclati variamente nei canti V XIX XX e VI-VIII del poema).
- Di certo da quello che testimoniano alcune lettere (in una lettera del 1619 a Ottavia Magnanini dice che Adone viene ucciso da Marte in forma di cinghiale, cosa che nel poema non accade) e dalla vastità dell'errata corrige (in cui a volte vi sono intere sequenze di strofe aggiunte), il Marino, come l'Ariosto, continuo' a interagire col poema e con la stampa fino all'ultimo, anche durante la stampa stessa.

Durante la sua permanenza, nonostante conduca una vita tutt'altro che mondana, gode di un indubbio prestigio culturale, dovuto alla moda preziosista e libertina, ma la sua posizione di "papalino" rende ambiguo qualunque omaggio alla sua figura. La sua fortuna tramonterà poi in modo rapido coll'affermazione del classicismo, per quanto la sua impronta rimanga sensibile in diverse opere francesi anche dell'età d'oro di Luigi XIV, per esempio nell’Adonis di Jean de La Fontaine, senza trascurare l'attenzione (dimostrata dal catalogo della biblioteca personale) del più "barocco" tra i classicisti francesi, Pierre Corneille, che potrebbe aver meditato non superficialmente gli esiti del Marino declamatorio di certe prosopopee della Galeria o della Lira come anche di taluni monologhi (per es. quello d'Argene, c. XIV.) dell’Adone. Sono notevoli alcune lettere di Jean Chapelain ancòra degli anni Trenta, in cui l'erudito francese, dopo essere stato l'autore della lettera prefatoria che apre L'Adone, si esprime francamente in modo positivo sulle doti di grande descrittore del Marino ma - come Gabriel Naudé a proposito del Campanella - non manca di far notare la superficialità e la disorganicità della sua cultura ("peccato che fosse tanto ignorante").

Fonte: Wikipedia, l'enciclopedia libera

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