Indietro Indice Autori Italiani

Giovan Battista Marino
(✶1569   †1625)

Il rientro in Italia e la morte (1623-1625)

A 1623 inoltrato, grosso modo in primavera, rientra in Italia, senza curarsi nemmeno di riscuotere l'ultima rata della regia pensione, facendosi precedere dai suoi libri e dalla sua pinacoteca, ed è accolto festosamente dalle più importanti accademie del paese. Scendendo la penisola, punta decisamente verso Roma, dove giunge nel giugno, ed è ospitato da Crescenzio Crescenzi, fratello dell'antico mecenate Melchiorre Crescenzi (mancato intanto nel 1612). Proprio a quest'altezza è ormai agli sgoccioli, o più verosimilmente è portato a rapida conclusione, il lungo processo aperto dall'Inquisizione nel 1609. Il Marino, tosto giunto, è messo agli arresti domiciliari in attesa della sentenza, che è emessa il 9 novembre: il Sant'Uffizio gl'impone la dimora coatta nella capitale, gli commina l'abiura de levi e l'obbligava a correggere i suoi scritti "osceni ed empii". Nulla di che, e soprattutto nulla di paragonabile a quello che si va nel frattempo preparando contro l’Adone.

Stanco e probabilmente già malato, il Marino conta comunque di rimanere nella città eterna, ma la situazione politica, in seguito alla morte di Gregorio XV Ludovisi, si rovescia drammaticamente con l'elezione al soglio pontificio di Urbano VIII. Ragioni complesse, soprattutto di natura culturale ed estetica non meno che etica, pongono il nuovo pontefice su una linea opposta rispetto a quella del 'poeta lascivo'; ma l'inimicizia, particolarmente veemente da parte del Barberini, col Marino, datava già dalla feroce polemica del 1614 a proposito del sonetto "Obelischi pomposi a l'ossa alzâro" del Marino, circostanza nella quale il futuro papa avrebbe dato del Marino l'icastica definizione di "grandissimo ignorante e malcreato". Poeta a sua volta, il Barberini è attestato, come la gran parte dei letterati toscani dell'epoca, su posizioni classiciste e petrarchiste, e vede per molte ragioni con forte antipatia la diffusione della maniera marinesca, fondata sull'autonomia dell'arte e sul "disimpegno" - quanto di più remoto rispetto al programma politico-culturale (ben rappresentato dalla Roma di Gian Lorenzo Bernini) che il nuovo papa intende attuare, e che deve sostenere e promuovere la posizione di preminenza e guida che sogna per la sua Chiesa.

La condanna di Urbano VIII
L'intervento del Barberini contro il Marino è uno dei primi atti del suo pontificato, ed è finalizzato innanzitutto a far piazza pulita di tutte le ambigue relazioni intrattenute fino allora dalla Chiesa cattolica con parti dell'intellettualità, e parallelamente a scoraggiare il diffondersi di determinati atteggiamenti culturali; si può ritenere che questo sia il primo passo del lungo e doloroso percorso che porterà nel 1633 alla terribile condanna di Galileo Galilei, vero eroe e martire del pensiero (due etichette che al duttile Marino si addicono in verità pochissimo). Una serie di provvedimenti sono presi contro l’Adone in primis, e poi via via contro le altre opere.
- È il cardinale Giannettino Doria, ironicamente il dedicatario di Lira III, che il 22 aprile 1624 sporge denuncia contro il poema. Il papa (che sarà il firmatario di tutti e tre i decreti contro il poema maggiore), condannandolo assai tempestivamente l'11 giugno concede per ora la possibilità di apportare correttivi, lasciando aperta la possibilità di una stampa romana, cui il Marino tiene moltissimo, ma non lasciando più d'un mese di tempo. Il poeta apporta alcuni correttìvi, dopodiché, per ragioni non direttamente precisabili ma abbastanza comprensibili, decide di abbandonare Roma per Napoli, lasciando ad Antonio Bruni e a Girolamo Preti l'incarico di correggere il capolavoro secondo le disposizioni di un tal p. Vincenzo Martinelli, socius del Maestro del sacro Palazzo (massima autorità pontificia per la censura libraria), presumibilmente inadeguato all'uopo.

continua sotto




Sta di fatto che fin quasi alla fine dell'anno nulla è fatto: non solo il Marino non continua con la correzione, ma né il p. Martinelli né i due poeti amici sembrano aver riscritto un solo verso; ed è da ricordare che è il Martinelli quello ufficialmente incaricato di correggere l'opera. Evidentemente sia gli amici del Marino, sia i lettori del Sant'Uffizio hanno avuto modo di approfondire la conoscenza del complicato poema, per rendersi conto, infine, che le "lascivie", oltre ad avere un peso minimale nell'economia generale dell'opera, sono tra i luoghi incriminabili sicuramente i meno gravi, anche per i criteri di allora (tesi del Pozzi); piuttosto la materia sacra continuamente allusa dietro la vicenda erotica di Adone avrà infastidito l'élite cattolica. Sicché il 27 novembre il poema è condannato, in quanto «morum corruptivus ob eius oscoenitatem quam maximam»; in più, per motivi ignoti ma immaginabili, la dura sentenza non è resa pubblica; è il cardinale amico Carlo Emanuele Pio di Savoia che si assume il caso dell’Adone.

Una seconda condanna è decretata il 17 luglio 1625, quando il maestro è già morto, provocando la mobilitazione (che durerà decennii, nel complesso) di numerosi amici e letterati influenti, specie gravitanti intorno all'Accademia degli Umoristi, che si propongono a vario titolo di trovare soluzioni di compromesso, rivolgendosi a questo scopo al Sant'Uffizio. Nulla di concreto ci rimane, però, di quello che eventualmente sarà poi fatto sul corpo dell’Adone; si sa che i sodali si muovono su più binarii, innanzitutto con una serie d'agiografie, e poi concentrando via via le energie nella querelle scatenata dall’Occhiale dello Stigliani, giunto alle stampe nel 1627.
- La terza condanna, del 5 novembre 1626, è quella definitiva. È vero che l’Adone continuerà ad essere ristampato per tutto il secolo, non solamente all'estero (in particolare dagli Elsevier) ma anche a Venezia (e una volta, nel 1789, a Livorno con la falsa indicazione "Londra"), e questo si spiega col prestigio del Marino, che era universale, e con la conseguente scarsa aggirabilità della sua figura e della sua opera; ma la condanna della chiesa, e di Urbano VIII in particolare, riveste un significato ulteriore e più ampio, trascendente anche le esigenze di quella temperie e di quel pur lungo papato.
- Nuovamente ad Urbano VIII è dovuto un secondo e distinto gruppo di condanne, riguardanti in blocco altre opere del Marino (12 aprile 1628: Gli amori notturni, I baci, Il camerone prigione horridissima in Napoli, ove fu carcerato, Il padre Naso, La prigionia in Torino, Ragguaglio de' costumi della Francia, I trastulli estivi - testi in cui le solite "lascivie" sono punite insieme con le sortite blasfeme, come per esempio il ricco apparato di citazioni evangeliche con cui il Marino, presentandosi come una specie di figura cristologica, o quantomeno un martire, descrive la propria carcerazione al Serrato di Torino).
- Ancora più rilevante sarà la terza e ultima condanna del 27 settembre 1678, sotto il rigido Innocenzo XI Odescalchi, che travolgerà il Duello amoroso, alcune ottave inserite in Lira III anche se non presenti in tutte le stampe, la Venere pronuba e La Lira, rime, ciò che vorrà dire voler liquidare in toto l'altro corno maggiore della produzione mariniana, contribuendo a una severissima limitazione nella loro diffusione. Né è senza significato che l'Odescalchi, nel 1680 fulmini una bolla contro i "fiori di belle lettere" sparsi dai predicatori, tuttora ispirati dalle Dicerie sacre del Marino (pur non direttamente colpite, come si vede, da condanne), in anni che vedono il trionfo della piramidale predicatoria di Francesco Fulvio Frugoni e soprattutto di Giacomo Lubrano; questi provvedimenti ne fanno, con il predecessore Urbano VIII, il papa antimarinista per eccellenza, e dimostrano quanto longevo e quanto direttamente antagonistico alla politica culturale ecclesiastica sia stato nel corso del Seicento il portato culturale rappresentato dal Marino.

continua sotto




La scoperta dell'iter processuale mariniano (dovuto al fondamentale contributo di Clizia Carminati) getta nuova luce sulla natura effettiva della fortuna goduta da Marino presso i contemporanei. Quanto alla sospirata, e dal Marino finché visse inutilmente incoraggiata, correzione del poema, è interessante notare che, non indipendemente forse dalla corposa complessità dell'opera, né il Preti né il Bruni interverranno mai fattivamente sul testo; mentre tentatìvi di correzione, doppiamente concilianti tanto verso l'estetica barberiniana quanto verso l'etica ortodossa cattolica, saranno dovuti parecchio tempo dopo la morte del Marino a due letterati per diversi aspetti, anche cronologici, distanti da lui come Anton Giulio Brignole Sale e Vincenzo Armanni.

A Napoli
Prima che giunga a Napoli, il Manso gli viene incontro in carrozza all'altezza di Capua; l'ingresso del maestro in Napoli è trionfale. Rifiuta di farsi accogliere dalle sorelle o da altri parenti, ed accetta l'ospitalità dei Teatini presso la chiesa dei Santi Apostoli, che gli riservano regali trattamenti. Nel suo appartamento presso i religiosi riceve continue visite di notabili e letterati, ed è violentemente conteso dalle due più importanti accademie locali, tra le quali sceglie quella degli Oziosi; qui pronuncia gli ultimi discorsi accademici (ne sopravvive a stampa uno, molto interessante, sui diritti degli animali, in appendice ad una stampa della Strage degl'innocenti, Venezia 1633), che attirano un concorso di folla eccezionale. Risiede peraltro dai Teatini solo in occasione delle attività accademiche, abitando per il resto del tempo in una casa sulla spiaggia di Posillipo, dove approfitta del gentile omaggio del viceré, il duca d'Alba, per sistemare Francesco Chiaro come canonico della sede arcivescovile di Napoli.

La morte e le esequie
Avendo fatto testamento, rogato venerdì 22 marzo, muore di lì a poco, il martedì santo 25 marzo 1625, alle 9.00, per le conseguenze di una stranguria curata male, o probabilmente per cancro all'apparato genitale (che è quanto sostiene lo Stigliani, che tiene a precisare che poco prima della morte il poeta è sottoposto a castrazione totale nel disperato tentativo di salvarlo). Poco prima della morte, volendo trapassare piamente, ha fatto dare alle fiamme una serie di scritti, non solo lascivi ma anche, contro il parere conciliante degli amici e del confessore, semplicemente amorosi. Lo Stigliani non mancherà di notare che si tratta di materiale già dato alle stampe; di fatto molti manoscritti, anche di opere appena abbozzate, non sono del tutto arsi, e sono saccheggiati con finalità diverse dagli amici e dai frati di cui il Marino è ospite. Né può essere vero che tutte quelle carte siano solo i manoscritti di opere date in stampa, dato che dal materiale salvato dal rogo verranno fuori parecchie extravaganti e un poema del tutto ortodosso come La strage degl'innocenti.

Fonte: Wikipedia, l'enciclopedia libera

Pagina precedente
6/10
Pagina successiva
Indietro Indice Autori Italiani