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Giuseppe Garibaldi
(✶ 1807   †1882)

La Repubblica Romana

Infastidito dai reumatismi di cui soffriva, si ritirò a Rieti il 19 febbraio e, per breve tempo, ebbe la compagnia di Anita. Grazie al suo appello, giunsero molti giovani che portarono il totale a 1.264 uomini, oltre ad aiuti, vestiti e armi seppur in numero insufficiente; stazionarono poi ad Anagni mentre Francesco Daverio chiedeva l'invio di altre armi. Il 23 aprile il nizzardo venne nominato generale di brigata dal ministro della guerra della Repubblica Romana Giuseppe Avezzana mentre Carlo Alberto aveva abdicato in favore di Vittorio Emanuele II.

Garibaldi partecipò ai combattimenti in difesa della Repubblica Romana, minacciata dalle truppe francesi e napoletane che difendevano gli interessi del papa Pio IX. Luigi Napoleone fece sbarcare a Civitavecchia un corpo di spedizione francese, guidato dal generale Nicolas Oudinot. Il 25 aprile, dopo averla occupata, ne fece la sua base. Il 27 aprile giunse a Roma passando per Porta Maggiore. Contava di bloccare il nemico di 2.500 uomini e l'appoggio di altri 1.800 guidati dal colonnello Bartolomeo Galletti.

Scrutando il territorio decide di far occupare Villa Doria Pamphilj e Villa Corsini; il 30 aprile i francesi attaccarono, ma imprecisioni tattiche portarono lo scontro al colle Gianicolo: alla fine si ritirarono verso Castel di Guido; le perdite furono maggiori per i francesi (500 fra morti e feriti contro i 200 dei difensori). Fra i feriti vi era Garibaldi, colpito al fianco da una fucilata francese che impattò il manico del pugnale permettendogli di salvarsi miracolosamente.

Intanto Ferdinando II, re delle Due Sicilie, inviò i suoi uomini, guidati dal generale Ferdinando Lanza e dal colonnello Novi, che giunsero verso le 12 del 9 maggio Palestrina; a respingerli furono il nizzardo e Luciano Manara; dopo un combattimento di tre ore, i borbonici si ritirarono, perdendo 50 dei loro uomini.

Il 16 maggio, nei pressi di Velletri, disobbedì agli ordini di Pietro Roselli; nell'occasione Garibaldi venne travolto dai cavalieri, cadde a terra dove fu alla mercé di cavalli e nemici, ma venne salvato per intervento del patriota Achille Cantoni: seguirono aspre critiche sul suo operato. Il 26 maggio 1849 Giuseppe Garibaldi giungeva a Ceprano ordinando a Luciano Manara di entrare con i suoi bersaglieri nel Regno di Napoli, per combattere i borbonici che si erano attestati nella Rocca d’Arce. Mazzini voleva però concentrarsi sulla difesa dell'Urbe e, anche perché era giunta notizia dell'arrivo di forze spagnole a Gaeta e di un esercito austriaco, richiamò Garibaldi.

Fra la notte del 2 e del 3 giugno 1849 Oudinot guidò i suoi verso Roma, e conquistò dopo continui capovolgimenti i punti chiave Villa Corsini e Villa Valentini; rimase in mano ai difensori Villa Giacometti. Morirono 1.000 persone fra cui Francesco Daverio, Enrico Dandolo, Goffredo Mameli, che, ferito, morirà in seguito per gangrena; verrà incolpato Garibaldi della sconfitta; i francesi potevano contare su circa 16.000 uomini Garibaldi circa 6.000. Il 28 giugno 1849 i legionari di Garibaldi tornarono a indossare le loro tuniche rosse di lana.

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La fuga da Roma e la morte di Anita

L'assemblea che si era costituita diede i poteri a Garibaldi e Roselli: la sera del 2 luglio 1849, da piazza San Giovanni, con 4.700 uomini, partì deciso a continuare la guerra, non più di posizione ma di movimento. Pochi giorni prima si era aggiunta Anita che, incinta, decise di seguirlo per tutta la durata del viaggio.

Dopo aver rifiutato l'offerta fatta dall'ambasciatore degli Stati Uniti d'America, sulla strada di Tivoli affidò una parte dei soldati a Gaetano Sacchi e un reggimento della cavalleria al colonnello Ignazio Bueno compagno del Sud America, con lui il polacco Emilio Müller. Fece credere al nemico di dirigersi verso gli Abruzzi mentre andava a nord, divise in piccoli gruppi la cavalleria che mandava in esplorazione facendo pensare che potesse contare su un numero maggiore di soldati. Intanto atti criminali commessi dal suo gruppo lo preoccupavano, giunse, il 5 luglio, a minacciare di morte chiunque commettesse furto e uccise un ladro colto in flagrante.

A Terni l'8 luglio si aggiunsero altri 900 volontari guidati dal colonnello Hugh Forbes e rifornimenti. Fece circolare false voci sul suo itinerario, puntava in realtà su Venezia, la Repubblica di San Marco di Daniele Manin. I soldati diedero i primi segni di cedimento, Müller li tradì e Bueno, il 28, fuggì con parte dei denari raccolti. Il nizzardo non riusciva a sostenere il gruppo.

Erano rimasti 1.500 uomini, ridotti pochi giorni dopo a qualche centinaio. Lungo la strada pernottarono due notti presso Todi, i soldati alloggiati presso il convento dei Cappuccini; Garibaldi e Anita incinta ospiti invece presso la casa di Antonio Valentini, fervente Garibaldino, a Palazzaccio. Il 30 luglio si ritrovava a Montecopiolo nella parte più alta del Montefeltro dove passò la notte, proseguì la sua fuga attraverso sentieri impervi e macchie fitte di vegetazione facendo certamente tappa per abbeverarsi presso una sorgente in Località Casalecchio sempre nel comune di Montecopiolo ma già in direzione della Repubblica di San Marino, dove Garibaldi arrivò con gli altri superstiti il giorno dopo, il 31 luglio, e qui si rifugiò dopo che la Repubblica di San Marino concesse asilo. Contemporaneamente Garibaldi con un ordine del giorno sciolse il gruppo. I coniugi erano alloggiati presso Lorenzo Simoncini. Gli austriaci, guidati da d'Aspre, che comandava il corpo di occupazione austriaco in Toscana volevano che Garibaldi fosse imbarcato a forza per gli Stati Uniti, lui rifiutò. Fugge da San Marino di notte con duecento uomini al seguito, alcuni abbandonano come Gustav Hoffstetter.

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Continuano gli aiuti trovati per strada: vengono guidati dall'operaio Nicola Zani mentre Anita ha la febbre alta. Giunti a Cesenatico prendono dai pescatori 13 bragozzi (barche da pesca), partono alla volta di Venezia, il 2 agosto. Arsi dalla sete a circa 80km dall'obiettivo, all'altezza della punta di Goro, vengono avvistati e attaccati da un brigantino austriaco l'Oreste, che con rinforzi li insegue catturando l'equipaggio di 8 bragozzi, più di 160 prigionieri che verranno condotti a Pola. Garibaldi con Anita in braccio guada per circa 400 metri giungendo infine sulla spiaggia, saluta i rimasti fra cui Ugo Bassi e Giovanni Livraghi, fucilati a Bologna e Angelo Brunetti insieme ai due figli, fucilati in seguito anch'essi. Garibaldi era vicino a Magnavacca nelle Valli di Comacchio, con lui Anita morente e Giovanni Battista Culiolo detto Leggero. Aiutati dall'umile Battista Barillari riescono a dissetare la moglie dell'eroe. Il 4 agosto ripartono, in seguito salgono sul biroccino guidato da Battista Manelli, giunti alle Mandriole si fermarono alla fattoria Ravaglia, il medico Nannini non fa in tempo a salvarla, muore.

Garibaldi, secondo quanto riporta l'uomo di chiesa Falconieri, avrebbe voluto dare degna sepoltura alla moglie e trasportarla alla vicina Ravenna, ma non vi era il tempo e fu scavata frettolosamente una buca nella sabbia. Giorni dopo, il 10 agosto, Pasqua Dal Pozzo, una ragazzina giocando vicino al campo si accorse del cadavere e chiese aiuto. Fu un caso molto discusso anche negli anni successivi. In seguito Garibaldi stesso giunse il 20 settembre 1859 con i figli Teresita e Menotti a Ravenna mostrando l'intenzione di spostare i resti di Anita a Nizza, seppelliti poi accanto a quelli di Rosa, madre dell'eroe. Il giornale di Torino La Concordia intanto il 16 agosto scrisse che Anita e Garibaldi avrebbero raggiunto Venezia, ma la donna era morta 12 giorni prima.

Garibaldi e Leggero fuggono, aiutati da Ercole Saldini, il sacerdote Giovanni Verità e l'ingegnere Enrico Sequi a cui lascerà la fede nuziale di Anita. Il 1º settembre parte sull'imbarcazione di Paolo Azzarini, il 5 settembre Garibaldi si trova a Porto Venere, al sicuro. La Marmora commenterà affermando che era un miracolo il suo salvataggio.

Lo stesso La Marmora, con i poteri di commissario straordinario che godeva all'epoca fece arrestare Garibaldi e lo condusse al Palazzo ducale di Genova, in piazza Matteotti. Seguì, sulla decisione da prendere un dibattito, il 10 settembre, dove intervennero fra gli altri Giovanni Lanza, Urbano Rattazzi e Agostino Depretis, venne liberato. Si parlò anche della possibilità dell'immunità parlamentare attraverso una sua candidatura a Recco, ma rifiutò l'idea.

Gli fu concessa una visita di un giorno ai familiari, in cui salutò la madre per l'ultima volta ed affidò i figli maschi ad Augusto mentre la bambina continuò a rimanere con i Deideri. Dopo vari spostamenti (prima a Tunisi, dove gli fu rifiutata ospitalità, quindi fu riportato alla Maddalena) partì sul brigantino da guerra Colombo, per Gibilterra, giungendovi il 9 novembre, e poi il 14 novembre partì su una nave spagnola, La Nerea dirigendosi a Tangeri, accompagnato dagli ufficiali "Leggero" e Luigi Cocelli, accettando l'ospitalità dell'ambasciatore piemontese in Marocco Giovan Battista Carpenetti. Nel mese di giugno partì nuovamente questa volta in compagnia del maggiore Paolo Bovi Campeggi. Il 22 fu a Liverpool Il 27 giugno 1850 partì per New York con il Waterloo, giungendovi in 33 giorni di viaggio. Il 30 luglio, per i dolori causati dai reumatismi, ebbe bisogno di aiuto per scendere a terra, a Staten Island.

Abitò in compagnia di Felice Foresti con Michele Pastacaldi; Teodoro Dwight lo conobbe e ricevette le Memorie dal nizzardo, ma non doveva pubblicarle, dandogli il consenso solo anni dopo nel 1859 Abitò con Antonio Meucci, che lo fece lavorare nella propria fabbrica di candele. Dopo nove mesi lasciò New York e si imbarcò sulla Georgia per i Caraibi. Continuò a navigare, assumendo il nome di Anzani e l'antico Giuseppe Pane, arrivando il 5 ottobre a Callao nel Perù, poi a Lima dove dopo tanto tempo fu nuovamente capitano di una nave, un brigantino di nome Carmen. Il 10 gennaio 1852 parte alla volta della Cina, e navigò ancora dalle Filippine, costeggiò l'Australia, giunse infine a Boston il 6 settembre 1853, commerciò diversi generi.

Fonte: Wikipedia, l'enciclopedia libera

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