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Giuseppe Garibaldi
(✶ 1807 †1882)
Il rientro in Italia e la seconda guerra d'indipendenza
Ritornato in Europa, l'11 febbraio 1854 a Londra incontrò nuovamente Mazzini, poi viaggiando giunge prima a Genova il 6 maggio, e poi a Nizza. Compra il 29 dicembre 1855 una parte dei terreni di Caprera, (isola dell'arcipelago sardo di La Maddalena) Partendo dalla casa di un pastore costruì, insieme a 30 amici, una fattoria, in seguito l'isola divenne interamente di sua proprietà. Dopo la Terza Guerra di Indipendenza, venne chiamato a Caprera per amministrare i beni del Generale, il colonnello e amico Giovanni Froscianti (Collescipoli, 1811 – Collescipoli, 1885) che fu al fianco di Garibaldi durante la Spedizione dei Mille.Nell'agosto del 1855 gli venne concessa la patente di capitano di prima classe: navigò con il "Salvatore", un piroscafo a elica; in seguito prese un cutter inglese chiamato Anglo French, a cui diede il nome del suo nuovo amore, Emma. Dopo che la nave si arenò, Garibaldi abbandonò l'attività di marinaio per dedicarsi all'agricoltura, lavorando come contadino e allevatore: possedeva un uliveto con circa 100 alberi d'ulivo, oltre a un vigneto, con cui produceva vino, e allevava 150 bovini, 400 polli, 200 capre, 50 maiali e più di 60 asini.
Il 4 agosto rese pubblico il suo pensiero distanziandosi dalle prese di posizioni Mazziniane. Il 20 dicembre 1858 incontrò Cavour. Divenne vicepresidente della Società Nazionale mentre si pensava di metterlo a capo di truppe: il 17 marzo 1859 vennero istituiti, grazie a un decreto reale, i Cacciatori delle Alpi, e Garibaldi ebbe il grado di maggiore generale. Si contavano circa 3200 uomini, i quali vestivano l'uniforme dell'esercito sardo. Si formarono 3 gruppi: oltre al nizzardo, al comando vi erano Enrico Cosenz e Giacomo Medici.
Marciò verso Arona: i suoi uomini erano convinti di pernottarvi, Garibaldi comunicò a Torino l'intenzione di giungervi, al che ordinando l'assoluto silenzio, raggiunse Castelletto, fermò due reggimenti e con il terzo avanzò; il 23 maggio, superato il Ticino, con le barche attaccò Sesto Calende riuscendo ad avere la meglio sugli austriaci e entrando in Lombardia.
Occupata Varese, venne affrontato il 26 maggio dal barone Karl Urban, noto anche come il Garibaldi austriaco inviato da Ferencz Gyulai; nell'occasione il comandante ordinò di sparare soltanto quando il nemico si trovasse alla distanza di 50 passi, lo scontro è noto come battaglia di Varese. Si conteranno fra i cacciatori la perdita di 22 uomini contro 105 austriaci, a cui si aggiungeranno 30 prigionieri. Il giorno seguente, dopo aver attaccato frontalmente e vinto gli austriaci nella battaglia di San Fermo, nonostante fosse in netta inferiorità numerica, occupò la città di Como. Il 29 ripartì con i suoi uomini dalla città, volendo conquistare il fortino a Laveno, raggiunto il 31 maggio. Questo attacco non ebbe esito favorevole, e nel frattempo, essendo Urban rientrato a Varese, ritornò a Como per presidiare la città, riprendendo poi Varese in seguito alla vittoria dei francesi a Magenta.
Il 15 giugno, seguendo l'ordine di Della Rocca che l'invia a Lonato sul lago di Garda, si mosse verso est. A Rezzato, nel bresciano, avrebbe dovuto congiungersi con le truppe di Sambuy, che però non giunsero in quanto l'operazione era stata annullata, ma di ciò non era stato avvertito e continuò ad avvicinarsi al nemico in ritirata. Enrico Cosenz, dopo aver fermato un attacco nemico, si fermò, mentre il colonnello Stefano Turr continuò l'attacco, raggiunto poi dallo stesso Cosenz; Garibaldi, notando la situazione sfavorevole, inviò Medici a loro sostegno e organizzò le truppe, limitando il danno: 154 fra i cacciatori, contro i 105 degli austriaci. in quella che venne chiamata battaglia di Treponti. Ricevette quindi l'ordine di spostarsi in un teatro secondario bellico: in Valtellina, per respingere alcune truppe austriache verso il passo dello Stelvio; l'armistizio di Villafranca terminò gli scontri. Durante tutta questa campagna il numero di volontari al suo seguito crebbe da circa 3000 a un numero non ben quantificato: 12.000 secondo Trevelyan, 9500 secondo la Riall che si basa su uno scritto di Garibaldi stesso.
Manfredo Fanti ebbe il comando mentre Garibaldi venne retrocesso come comandante in seconda, ricevendo il comando di una delle tre truppe, le altre due saranno agli ordini di Pietro Roselli e Luigi Mezzacapo, dopo litigi diede le dimissioni.
Da Quarto al Volturno
Rinunciò alla Società Nazionale (aveva ottenuto il comando a ottobre), diventando poi presidente della Nazionale Armata, una nuova associazione che presto fallì. Intanto Nizza era passata ai francesi, e Garibaldi, eletto deputato, tenne un discorso a tal proposito il 12 aprile 1860 senza esiti. Si dimise il 23, dopo il risultato della votazione.Il 27 aprile 1860 dall'isola di Malta Nicola Fabrizi inviò un telegramma cifrato: l'unico ad avere il codice per decifrare lo scritto era Francesco Crispi, che tradusse inizialmente in maniera negativa il messaggio, deludendo Garibaldi che stava preparando il suo ritorno a Caprera. A nulla valsero i consigli di La Masa, Bixio e Crispi che premevano affinché il nizzardo partisse lo stesso. Crispi ritornò due giorni dopo affermando di aver ricevuto in realtà buone notizie, e la spedizione ebbe inizio.
Nel settembre 1859 fu promotore di una raccolta volta all'acquisto di un milione di fucili, dando il compito a Enrico Besana e Giuseppe Finzi. Riuscirono a comprare dei fucili Enfield e Colt inviò dei suoi revolver. Per la spedizione non vennero utilizzate le armi raccolte, ma quelle messe a disposizione da Giuseppe La Farina che provenivano da quelle utilizzate nella campagna passata, simili a quelli raccolti.
La sera del 5 maggio venne simulato il furto delle due navi Piemonte e il Lombardo: si raccolsero una quarantina di persone al cui comando vi era Bixio che prese possesso delle imbarcazioni Garibaldi salì sul Piemonte capitanato da Salvatore Castiglia, con lui circa 300 persone. Bertani gli consegnò la somma raccolta, circa 90.000 lire. Sull'altra nave rimane Bixio con 800 uomini circa.
Garibaldi indossò per la prima volta le camicia rossa e non la solita veste di Montevideo, lo faranno in 150, tante erano le divise messe a disposizione. Si contavano 250 avvocati, 100 medici, 50 ingegneri, e fra i 1000 vi era una donna, Rosalia Montmasson, moglie di Crispi. Partirono da Quarto, presso Genova. Cavour il 7 maggio ordinò con un dispaccio di fermare le due navi solo se avessero ormeggiato in un porto della Sardegna, gli ordini giunsero all'ammiraglio Carlo Pellion di Persano il 9 maggio e chiedendone chiarimenti e riassicurazioni le ottenne il giorno 10.
Il 7 maggio si trovano a Talamone. Inviò Stefano Turr a Orbetello per rifornirsi di armi, mentre alcuni decisero di abbandonare la spedizione mentre venne affidata una missione a Callimaco Zambianchi con 64 uomini. I soldati vennero divisi in 8 compagnie che confluirono in due battaglioni ai comandi di Giacinto Carini e Bixio. Ripartiti, durante il viaggio evitarono per poco una collisione fra le due navi. Garibaldi voleva raggiungere Trapani, Sciacca o Porto Palo, solo verso la fine del viaggio cambiò obiettivo dirigendosi su Marsala, ottenendo informazioni da un peschereccio.
Sei navi da guerra borboniche si trovavano nelle acque vicine alle Isole Egadi presidiavano le coste di Marsala - sede del Quartiere Militare Borbonico - che proprio in quegli anni intraprendeva scambi commerciali con l'Inghilterra. Garibaldi, esponendo bandiera inglese, si avvicinò alla costa marsalese facendo finta di essere dei mercanti. Avvenuto lo sbarco a Marsala giunse una pirocorvetta, la Stromboli comandata da Guglielmo Acton dotata di pochi cannoni, non attaccò inizialmente in quanto vi erano nelle vicinanze degli stabilimenti inglesi e due loro navi, la Intrepid e la Argus al cui comando vi era Winnington-Ingram, già conosciuto da Garibaldi ai tempi di Montevideo. Alla prima imbarcazione si aggiunse un'altra, la Partenope con 60 cannoni. Il bombardamento iniziò in ritardo permettendo lo sbarco dei rivoltosi.
L'arrivo in Sicilia delle truppe di Garibaldi era stato previsto dallo stesso Francesco II di Borbone che aveva avvertito il principe di Castelcicala, il rappresentante del re nella Sicilia, intorno a Marsala. Giunti nell'isola, Garibaldi si proclamò dittatore della Sicilia in nome di Vittorio Emanuele II, da lui appellato re d'Italia. Dopo lo sbarco sull'isola, il 12 maggio 1860 lasciarono la città. A Salemi issò personalmente sulla cima di una delle tre torri del castello Arabo-Normanno la bandiera tricolore proclamando Salemi la prima capitale d'Italia, titolo che mantenne per un giorno. In quella città proclamò la dittatura "in nome di Vittorio Emanuele II re d'Italia".
Si uniranno a lui il barone Stefano Triolo di Sant'Anna con circa sessanta persone e i picciotti, circa 500, (che vennero poi chiamati da Garibaldi i Cacciatori dell'Etna). Il generale Francesco Landi, avvertito, con l'aiuto del maggiore Michele Sforza e del VIII battaglione Cacciatori, inviò delle forze in ricognizione e ingaggiò battaglia con gli invasori. La battaglia di Calatafimi vede la ritirata delle truppe borboniche, terminando con perdite pari, fra quelle del camoglino Simone Schiaffino.
Finse di recarsi a Corleone mentre puntava Palermo, ingannando in tal modo il colonnello svizzero Giovan Luca Von Mechel; egli aveva attaccato le truppe di Rosolino Pilo, che perì nello scontro, sconfiggendole. Intanto giunse il generale Alessandro Nunziante in aiuto del nuovo commissario straordinario Lanza.
Il 26 Garibaldi con i suoi uomini, ora circa 750, giunse vicino a Palermo e ricevette i rinforzi di Giuseppe La Masa; la sera stessa attaccò la città entrando da Porta Termini, raggiungendo alle sei del mattino del 27 maggio piazza della Fieravecchia. Si combatté per diversi giorni, e in aiuto avvenne l'insurrezione popolare; poi, iniziati gli incontri fra Garibaldi e il generale Giuseppe Letizia, che rappresentava Landi, dopo vari armistizi il 6 giugno 1860 Landi si arrese lasciando la città ai rivoltosi. Nei giorni trascorsi vari episodi di violenza nella città da parte dei fedeli al nizzardo portarono Garibaldi a decretare la pena di morte per determinati reati.
Fonte: Wikipedia, l'enciclopedia libera
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