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Giuseppe Garibaldi
(✶ 1807   †1882)

Il 4 giugno chiamò esercito meridionale i suoi uomini, mentre il 13 sciolse i gruppi dei picciotti. Era rimasto senza adeguate risorse ma giunsero i vari rinforzi a partire da Carmelo Agnetta giunto il 1º giugno con i suoi 89 uomini, Salvatore Castiglia, Enrico Cosenz e Clemente Corte. Le donne palermitane tessono la nuova bandiera dell'esercito: un drappo nero ornato di rosso con l'effigie di un vulcano al centro.

Giunge il generale Tommaso Clary e invia il colonnello Ferdinando Beneventano del Bosco, vice in passato di Von Mechel, a Milazzo, il 20 luglio ci fu lo scontro. Inizialmente Garibaldi dava ordini dal tetto di una casa, poi scese nella mischia e infine salì sull'unica loro nave a disposizione, la Tükory e cannoneggiando la città ottenne il ritiro delle truppe nemiche. La vittoria costò ai soldati di Garibaldi 800 fra morti e feriti.

Il 27 luglio Garibaldi giunse a Messina. Lo stesso giorno ricevette una lettera dal conte Giulio Litta-Modignani il mittente era Vittorio Emanuele, nella missiva si leggeva una richiesta a desistere nell'impresa di sbarcare sul territorio napoletano, a questa prima seguì una seconda, letta a voce o consegnata un suggerimento di non seguire l'ordine impartitogli. in ogni caso Garibaldi rispose, sempre il 27 luglio, negativamente alla richiesta espressa.

Il 1º agosto anche Siracusa e Augusta vennero liberate. Tempo prima aveva formato un governo con 6 dicasteri che divennero 8. Il 7 giugno, abolì la tassa sul macinato, pretese che parte del demanio dei comuni venisse diviso fra i combattenti, istituì un istituto militare dove venivano raccolti i ragazzi abbandonati e diede un sussidio alle famiglie in povertà della città di Palermo, cercando nel frattempo l'appoggio dei ceti dominanti. Chiese l'invio di Agostino Depretis a cui venne affidato l'amministrazione civile, mentre Cavour si preoccupava per le intenzioni del nizzardo.

I contadini di Bronte insorsero contro i possidenti, uccidendone una quindicina nell'attacco; il console inglese a Catania si interessò della questione, per cui venne inviato il colonnello Giuseppe Poulet che risolse il tutto pacificamente. Il console non gradì il gesto, e venne inviato Bixio in quella che definirà in una lettera alla moglie come «missione maledetta» portando l'arresto di 300 persone, una multa imposta alle famiglie, anche le più abbienti, e la fucilazione di 5 persone, il 10 agosto.

Garibaldi tentò i primi attacchi alla penisola senza successo: l'8 agosto Benedetto Musolino attraversò lo Stretto a capo di una spedizione di 250 uomini, ma l'assalto al forte di Altafiumara venne respinto e i garibaldini costretti a rifugiarsi sull'Aspromonte, mentre la Tükoy fallì l'arrembaggio al Monarca che si trovava ancorato al porto di Castellammare di Stabia il 13 agosto 1860. A bordo dei due piroscafi, giunti dalla Sardegna, il Torino e il Franklin Garibaldi e i suoi uomini sbarcarono a Mèlito Porto Salvo (vedi: Sbarco a Melito), vicino Reggio (Calabria), il 19 agosto 1860.

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Aggirarono e sconfissero i borbonici, comandati dal generale Carlo Gallotti, nella battaglia di Piazza Duomo a Reggio Calabria il 21 agosto. I due generali borbonici Fileno Briganti e Nicola Melendez forti di quasi 4.000 uomini, senza l'appoggio di Giuseppe de Ballesteros Ruiz, si arresero a Garibaldi il 23 agosto 1860. Briganti venne ucciso dai suoi stessi soldati. Il 30 agosto ebbero la meglio sul generale Giuseppe Ghio. Il 2 settembre l'Esercito meridionale arrivò in Basilicata a Rotonda (la prima provincia continentale del regno a insorgere contro i Borboni), e cominciò una rapida marcia verso nord, che si concluse, il 7 settembre, con l'ingresso in Napoli.

La capitale era stata abbandonata dal re Francesco II il 5 settembre, mentre quasi tutta la sua flotta si era arresa. Garibaldi aveva scelto Caserta per dispiegare le sue forze; nel frattempo, in una sua breve assenza, il 19 settembre 1860 Turr inviò trecento uomini a Caiazzo; il dittatore, tornando, decise di rinforzare il presidio con altri 600 uomini, contro i 7.000 soldati borbonici che attaccarono il 21 settembre; non saranno sufficienti: le perdite ammonteranno fra morti, feriti e prigionieri a circa 250. Il generale Giosuè Ritucci prese il comando delle truppe borboniche. Utilizzerà circa 28.000 soldati nell'attacco sferrato il 1º ottobre Il nizzardo nella battaglia utilizzò strategicamente la ferrovia, viaggiava in carrozza e quando il veicolo venne attaccato lui continuò a piedi per dare ordini alle truppe. Luca Von Mechel, ora generale, che doveva appoggiare con le sue truppe quelle di Ritucci, venne fermato da Bixio, e si ritirarono, mentre le truppe di Giuseppe Ruiz fermarono la loro avanzata. Garibaldi decise di richiamare circa 3.000 soldati stanziati a Caserta e divise gli uomini inviandone una metà a Sant'Angelo attaccando i borbonici alle spalle comandati da Carlo Afan de Rivera, respingendo l'assalto. La battaglia del Volturno vide perdite maggiori fra le file dei garibaldini: quasi 1.900 contro i 1.300, ma il giorno dopo vennero catturati poco più di 2.000 soldati borbonici, disorientati, non avendo ricevuto nuove istruzioni.

Dopo le votazioni per il plebiscito che si tennero il 21 ottobre, Garibaldi approfittò della vittoria di Enrico Cialdini sul generale borbonico Scotti Douglas per superare il Volturno il 25 ottobre; incontrò Vittorio Emanuele II il 26 ottobre 1860, lungo la strada che portava a Teano, e gli consegnò la sovranità sul Regno delle Due Sicilie. Garibaldi accompagnò poi il re a Napoli il 7 novembre e, il 9 novembre si ritirò nell'isola di Caprera, partendo con il piroscafo americano Washington, dopo aver ringraziato l'ammiraglio George Mundy.

Desideroso di presentare il progetto di istituzione di una guardia nazionale mobile, dove sarebbero confluiti i volontari dai 18 ai 35 anni, si recò nella capitale. Il 18 aprile 1861 giunto alla camera, nel suo discorso, affermò che il brigantaggio nel mezzogiorno era dovuto in parte allo scioglimento dell'esercito meridionale, avvenuto poco tempo prima, e ne chiedeva la ricostituzione. Inoltre Garibaldi ravvisava nel brigantaggio «una questione sociale, la quale non si poteva risolvere col ferro e col fuoco», individuandone i responsabili nel governo e nella borghesia. Amareggiato da questa guerra fratricida, quando gli riferirono che i briganti non accennavano ad arrendersi nonostante le misure drastiche del governo, egli esclamò: «quanto eroismo miseramente sciupato! cotesti uomini, traviati dal delitto, sarebbero stati soldati valorosi all'appello della patria!»; ritornò quindi a Caprera.

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La guerra di secessione americana

Nella primavera del 1861, mentre le truppe unioniste collezionavano una serie di pesanti insuccessi nei confronti delle truppe confederate, il colonnello Candido Augusto Vecchi scrisse al giornalista statunitense Henry Theodore Tuckerman ipotizzando una partecipazione del generale alla guerra civile americana. Il 2 maggio era apparsa sul New York Daily Tribune una lettera scritta in argomento dal Nizzardo. Il console statunitense ad Anversa, James W. Quiggle, l'8 giugno scrisse a Garibaldi, offrendogli un posto di comando nell'esercito nordista. L'ambasciatore statunitense Henry Shelton Sanford volle accertarsi delle vere intenzioni del generale, che intanto aveva scritto su tale questione a Vittorio Emanuele.

Le richieste avanzate dal Nizzardo riguardavano un impegno deciso per l'emancipazione degli schiavi e l'essere nominato comandante in capo di tutto l'esercito: con queste premesse, la trattativa si arenò. Nell'autunno del 1862 Canisius, console americano a Vienna, riprese i contatti; tuttavia Garibaldi, ferito e reduce dall'Aspromonte, si trovava detenuto a Varignano e in caso di accettazione si sarebbe prospettato un delicato caso diplomatico. Seguirono passi da parte di William H Seward, segretario di stato di Abraham Lincoln, per far decadere senza esito la proposta.

La mancata liberazione di Roma

Per l'intera esistenza Garibaldi colse ogni occasione per liberare Roma dal potere temporale; grazie al successo passato, nel 1862, organizzò una nuova spedizione, senza considerare che Napoleone III, l'unico alleato del neonato Regno d'Italia, proteggeva Roma stessa. Il 27 giugno 1862 Garibaldi si era imbarcato sul Tortoli a Caprera per la Sicilia. Durante un incontro commemorativo della spedizione dei mille si convinse a marciare verso Roma, (vedi anche: Roma o morte (frase)) e trovò 3.000 uomini nei pressi di Palermo pronti a seguirlo. Il 19 agosto incontrò la popolazione di Catania a Misterbianco.

Prese due navi, il Dispaccio e Generale Abbatucci, partendo di sera, costeggiando gli scogli, eluse le navi di Giovanni Battista Albini. Il 25 agosto 1862, alle 4 del mattino, sbarcava in Calabria, fra Melito di Porto Salvo e capo dell'Armi. Con duemila uomini, continuò la marcia, non seguendo la costa per via del fuoco di una nave; si inoltrarono quindi per il massiccio dell'Aspromonte. La sera del 28 agosto si contarono 1.500 uomini; il giorno successivo si scontrarono con le truppe di Emilio Pallavicini a cui il governo di Torino aveva affidato circa 3.500 uomini.

I bersaglieri aprirono il fuoco, ma Garibaldi ordinò di non rispondere: tuttavia alcuni dei suoi uomini gli disubbidirono, al che il nizzardo, per far cessare il fuoco, si alzò e venne ferito due volte: nella coscia sinistra e al collo del piede destro, nel malleolo. L'episodio della sua ferita sarà ricordato in una celebre ballata popolare su un ritmo di una marcia dei bersaglieri.

Fonte: Wikipedia, l'enciclopedia libera

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