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Giuseppe Verdi
(✶1813 †1901)
Verdi aveva programmato di tornare in Italia nei primi mesi del 1849, ma gli fu impedito dal lavoro e dalla malattia così come, molto probabilmente, dal suo crescente attaccamento alla Strepponi. Verdi e la Strepponi lasciarono Parigi nel mese di luglio 1849 a causa del verificarsi di un focolaio di colera e Verdi si recò direttamente a Busseto per continuare il lavoro sul completamento della sua opera successiva, Luisa Miller, per una produzione a Napoli che avrebbe avuto luogo nel corso dell'anno.
Nel 1849 venne presentata al pubblico napoletano Luisa Miller, opera meno affascinante di Macbeth, ma importante per l'evoluzione dello stile musicale e della drammaturgia verdiana; l'orchestrazione è più raffinata, il recitativo più incisivo e altrettanto la dimensione psicologia della protagonista. Anche nell'opera successiva, Stiffelio, rappresentata per la prima volta a Trieste nel 1850, Verdi caratterizzò fortemente la psicologia del personaggio centrale, ma l'opera presentava alcune debolezze strutturali, dovute in parte ai drastici tagli operati dalla censura austriaca, che non le permisero di imporsi al grande pubblico italiano ed europeo. Ancora nel ventunesimo secolo Stiffelio è rappresentato raramente. Il fallimento di Stiffelio spinse Verdi a rielaborarlo, ma nemmeno la nuova versione, intitolata Aroldo (1857), riuscirà a soddisfare il pubblico.
La "trilogia popolare"
Nel 1853, a seguito di negoziati con La Fenice, il compositore mise a punto un libretto con Piave e scrisse Rigoletto, melodramma in musica basato sul dramma storico Le Roy s'amuse di Victor Hugo, da rappresentare nel marzo dell'anno seguente. Fu questa la prima di tre opere (seguita da Il trovatore e La traviata) che suggellarono la sua fama. Tuttavia, Rigoletto inscenava un tentato regicidio, presentando situazioni scabrose e sordide, e rischiava di non avere fortuna se fosse intervenuta la mannaia della censura. Per evitare rischi in tal senso, Verdi sostituì il personaggio del Re con quello del Duca; l'opera riscosse un grande successo in tutta Italia e in Europa. Consapevole che l'aria del Duca, La donna è mobile, estremamente orecchiabile, sarebbe diventata un successo popolare, Verdi escluse l'orchestra dalle prove, facendo provare il tenore separatamente. Tratto dalla pièce di Victor Hugo, Rigoletto è un'opera profondamente innovativa sotto il profilo drammaturgico e musicale. Per la prima volta, al centro della vicenda di un'opera si trova un buffone di corte, per di più deforme. Si trattava di un personaggio molto diverso dalle grandi figure storiche, mitologiche o comunque socialmente attraenti dei melodrammi del passato; Rigoletto era di fatto un emarginato sociale. La dimensione profondamente emotiva dei protagonisti fu delineata da Verdi con maestria; azione e musica si rincorrono e si sostengono mutuamente in una vicenda che ha ritmi di sviluppo rapidi, senza cedimenti, né parti superflue.
Rigoletto si rivelò una dura battaglia che Verdi e Piave dovettero condurre contro la censura e una società "prude e ipocrita". Il soggetto si rivelò subito molto difficile da "vendere" e forse troppo all'avanguardia. Rappresentato a Parigi nel 1832, venne proibito dopo appena una recita. Se il pubblico parigino non era riuscito a sostenere questi temi, come avrebbe mai potuto quello in Italia, paese sotto il giogo straniero, tormentato dalla censura austriaca e oggetto dell'influenza della Chiesa cattolica, sopportare, ad esempio, la scena di una seduzione da parte di un sovrano perverso praticamente a sipario aperto?
Il titolo, evidentemente ironico, doveva essere cambiato e Verdi propendeva per La Maledizione, riferendosi a quella lanciata da Vallier (Monterone, nell'opera) in cui ne vedeva la morale. Piave, in realtà, non condivideva questa preferenza, ma ben presto fu la censura a dare ragione al poeta. Il 21 novembre 1850, appena cinque giorni dopo la presentazione del libretto, la censura proibì tutto deplorando
«che il poeta Piave ed il celebre Maestro Verdi non abbiano saputo scegliere altro campo per far emergere i loro talenti, che quello, di una ributtante immoralità ed oscena trivialità, qual è l'argomento del libretto intitolato La Maledizione»
Ben presto, però, come spesso avveniva, i censori tornarono sui loro passi; Piave sapeva come trattarli e iniziò a sostenere, affiancato dalla presidenza de la Fenice spossanti trattative. Le richieste della censura ne rivelarono la cieca ottusità, ma fu anche grazie a questa cecità che possiamo ora leggere uno dei passi che meglio rivelano la drammaticità e il realismo dello stile verdiano.
«Osservo infine che s'è evitato di fare Triboletto brutto e gobbo!!! Un gobbo che canta? Perché no!... Farà effetto? Non lo so; ma se non lo so io non lo sa, ripeto, neppure chi ha proposto questa modificazione. Io trovo appunto bellissimo rappresentare questo personaggio estremamente difforme e ridicolo, ed interamente appassionato e pieno di amore. Scelsi appunto questo soggetto per tutte queste qualità e questi tratti originali, se si tolgo, io non posso più farvi musica. Se mi si dirà che le mie note possono stare anche con questo dramma, io rispondo che non comprendo queste ragioni, e dico francamente le mie note o belle o brutte che siano non le scrivo mai a caso e che procuro sempre di darvi carattere»
Alla fine Verdi uscì ancora una volta vittorioso dal suo scontro con la censura e l'opera venne felicemente rappresentata l'11 marzo 1851. Massimo Mila afferma in uno dei suoi studi verdiani che il compositore di Busseto con Rigoletto, arrivò alla "conquista dell'unità drammatica".
Il successo di Rigoletto si ripeté con Il trovatore, frutto di un accordo con la società Opera di Roma, con l'obiettivo di presentare un'opera per il gennaio 1853. Grazie alle ingenti somme guadagnate, Verdi non necessitava più di commissioni per vivere e quindi poteva permettersi di sviluppare opere per conto proprio senza dover dipendere da richieste di terzi. Il trovatore fu infatti la prima opera, a parte Oberto, che scrisse senza una specifica commissione. L'opera, dall'impianto più tradizionale ma altrettanto affascinante, è oltretutto un dramma di grande originalità perché si struttura su una vicenda povera di avvenimenti e dove i protagonisti o sono proiettati verso un futuro gravido di incognite, o immersi nei ricordi di un passato lontano che ne condiziona l'azione e che li sospinge verso un destino di morte ineluttabile. Con quest'opera Verdi scrisse alcune fra le sue pagine più alte, ricche di patetismo e suggestioni tardo-romantiche che sarebbero nuovamente emerse pochi mesi più tardi. Più o meno nello stesso tempo, infatti, iniziò a prendere in considerazione la creazione di un'opera tratta dal Re Lear di Shakespeare.
Nell'inverno del 1851-1852, Verdi si recò a Parigi con la Strepponi, dove concluse un accordo con l'Opéra per scrivere quella che diventerà Les vêpres siciliennes (I vespri siciliani). A febbraio 1852, la coppia partecipò ad una performance de La signora delle camelie di Alexandre Dumas; Verdi iniziò così a comporre la musica di La traviata.
«La Traviata, ieri sera, fiasco. La colpa mia o dei cantanti?... Il tempo giudicherà»
È così che Verdi annuncia a Muzio l'infausto esito dell'ultima opera della trilogia, registrato il 6 marzo 1853, alla Fenice di Venezia. A lungo maturata e poi scritta di getto, come era solito fare Verdi, l'opera ebbe meno problemi di produzione, ma l'esito fu proprio inglorioso. La traviata, tratta da La signora delle camelie di Alexandre Dumas, venne subito "tacciata d'immoralità e turpitudine", non tanto dalla censura, ma soprattutto dal pubblico stesso. Questo pubblico, però, quello veneziano, fu lo stesso che, il 6 maggio 1854, ora al Teatro San Benedetto, la accolse trionfalmente. Verdi, in una lettera al De Sanctis del 26 maggio, concludeva freddamente:
«Tutto quello che esisteva per la Fenice esiste ora pel S. Benedetto. Allora fece fiasco: ora fa furore. Concludete voi!!!»
Fonte: Wikipedia, l'enciclopedia libera
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