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Leonardo da Vinci
(✶1452   †1519)

La Battaglia di Anghiari
Dal marzo 1503 fu nuovamente a Firenze, scampando per poco al crollo dei domini del Borgia. Ad aprile Pier Soderini gli affidò l'incarico di decorare una delle grandi pareti del nuovo Salone dei Cinquecento in Palazzo Vecchio, opera grandiosa per dimensioni e per ambizione, a cui avrebbe atteso nei mesi successivi. In luglio, intanto, la Repubblica gli affidò un complesso progetto idraulico-militare per lo sbarramento dell'Arno in modo da farlo deviare contro la ribelle Pisa: Leonardo si recò nella città assediata dai fiorentini, insieme a Gerolamo da Filicaja e Alessandro degli Albizzi, ma il suo progetto fallì per un errore di calcolo, che mandò su tutte le furie il gonfaloniere Soderini.

Tornato in città, si dedicò allora al progetto in Palazzo Vecchio. Nel Salone dovevano essere raffigurate alcune vittorie militari dei fiorentini, celebranti il concetto di libertas repubblicana contro nemici e tiranni. A Leonardo venne affidato un episodio degli scontri tra esercito fiorentino e milanese del 29 giugno 1440, la Battaglia di Anghiari, mentre sulla parete opposta avrebbe dovuto lavorare Michelangelo Buonarroti, con la Battaglia di Cascina (29 luglio 1364, contro i Pisani). Per ragioni diverse nessuna delle due pitture murali venne portata a termine, né si sono conservati i cartoni originali, anche se ne restano alcuni studi autografi e copie antiche di altri autori.

Leonardo in particolare studiò una nuova tecnica che lo sollevasse dai tempi brevi dell'affresco, recuperando dalla Naturalis historia di Plinio il Vecchio l'encausto. Come per l'Ultima Cena anche questa scelta si rivelò drammaticamente inadatta quando era ormai troppo tardi. La vastità del dipinto non permise infatti di raggiungere coi fuochi una temperatura sufficiente a far essiccare i colori, che colarono sull'intonaco, tendendo ovvero ad affievolirsi, se non a scomparire del tutto. Nel dicembre 1503 l'artista interruppe così il trasferimento del dipinto dal cartone alla parete, frustrato da un nuovo insuccesso.

Tra le migliori copie tratte dal cartone di Leonardo c'è quella di Pieter Paul Rubens, oggi al Louvre. Perduto anche il cartone, le ultime tracce dell'opera furono probabilmente coperte nel 1557 dagli affreschi del Vasari.

La Gioconda
In questo periodo iniziò il capolavoro che lo rese celebre nei secoli, la Gioconda.

Identificata tradizionalmente come Lisa Gherardini, nata nel 1479 e moglie di Francesco Bartolomeo del Giocondo (da cui il nome "Gioconda"), il dipinto, considerato il ritratto più famoso del mondo, va ben oltre i limiti tradizionali del genere ritrattistico. Come scrisse Charles de Tolnay (1951) «nella Gioconda, l'individuo - una sorta di miracolosa creazione della natura - rappresenta al tempo stesso la specie: il ritratto, superati i limiti sociali, acquisisce un valore universale. Leonardo ha lavorato a quest'opera sia come ricercatore e pensatore sia come pittore e poeta; e tuttavia il lato filosofico-scientifico restò senza seguito.

Ma l'aspetto formale - l'impaginazione nuova, la nobiltà dell'atteggiamento e la dignità del modello che ne deriva - ebbe un'azione risolutiva sul ritratto fiorentino delle due decadi successive [...] Leonardo ha creato con la Gioconda una formula nuova, più monumentale e al tempo stesso più animata, più concreta, e tuttavia più poetica di quella dei suoi predecessori. Prima di lui, nei ritratti manca il mistero; gli artisti non hanno raffigurato che forme esteriori senza l'anima o, quando hanno caratterizzato l'anima stessa, essa cercava di giungere allo spettatore mediante gesti, oggetti simbolici, scritte. Solo nella Gioconda emana un enigma: l'anima è presente ma inaccessibile.»

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La morte del padre e il Trattato delli uccelli
Il 9 luglio 1504 morì il padre Piero; Leonardo annotò più volte la circostanza, in apparente agitazione: «Mercoledì a ore 7 morì ser Piero da Vinci, a dì 9 luglio 1504, mercoledì vicino alle ore 7» e ancora, «Addì 9 di luglio 1504 in mercoledì a ore 7 morì Piero da Vinci notaio al Palagio del Podestà, mio padre, a ore 7. Era d'età d'anni 80. Lasciò 10 figlioli maschi e due femmine». Il padre non lo fece erede e, contro i fratelli che gli opponevano l'illegittimità della sua nascita, Leonardo chiese invano il riconoscimento delle sue ragioni: dopo la causa giudiziale da lui promossa, solo il 30 aprile 1506 avvenne la liquidazione dell'eredità, dalla quale Leonardo fu escluso.

Nei primi anni del Cinquecento Leonardo dedica particolare attenzione allo studio del volo e al progetto di una nuova macchina volante. Riuscire a realizzare l'impresa del volo umano rappresenta la sfida più ambiziosa e Leonardo coltiva l'idea di scrivere un trattato sul volo diviso in quattro capitoli. Al foglio 3r del Manoscritto K Leonardo annota:

Dividi il trattato degli uccelli in quattro libri, de' quali il primo sia del volare per battimento d'alie: il secondo del volo sanza battere d'alie, per favor di vento, il terzo del volare in comune, come d'uccelli, pipistrelli, pesci, animali, insetti; l'ultimo del moto strumentale.

Leonardo non completerà mai la stesura del Trattato sul volo ma nel 1505 compila il Codice sul volo degli uccelli, oggi custodito presso la Biblioteca Reale di Torino. Il Codice del volo è la raccolta del pensiero più maturo di Leonardo inerente allo studio del volo, ed è nelle pagine di questo prezioso manoscritto che Leonardo progetta la sua macchina volante più evoluta: il Grande Nibbio.

Nei tre anni successivi Leonardo sviluppò ulteriormente i suoi studi sull'anatomia dei volatili e sulla resistenza dell'aria e, attorno al 1515, sulla caduta dei pesi e sui moti dell'aria. Da queste conoscenze cercò poi di costruire originali macchine volanti, in alcuni casi messe in opera, come sembra confermare un appunto autografo di data imprecisata: «Piglierà il primo volo del grande uccello sopra del dosso del suo magno Cecero empiendo l'universo di stupore, empiendo di sua fama tutte le scritture e gloria eterna al luogo dove nacque». Si crede che Leonardo abbia fatto sperimentare il volo a un suo attendente fidato, Tommaso Masini detto "Zoroastro", dalla collina di Fiesole, senza però ottenere un successo: pare infatti che il malcapitato cadde rovinosamente rompendosi anche una gamba.

Leonardo e Michelangelo
Il rapporto tra i due geni del Rinascimento, Leonardo e Michelangelo, fu difficile, spesso teso, a causa della differenza generazionale (Michelangelo era di 23 anni più giovane di Leonardo), dei caratteri diversi e degli ideali artistici inconciliabilmente lontani: il primo fu riflessivo, poliedrico e interessato al mondo naturale; il secondo più impulsivo, notoriamente riottoso e idealista. Non vi sono prove dirette della loro inimicizia, ma svariati indizi e testimonianze indirette. Nel Trattato della pittura, ad esempio, Leonardo condannò gli "eccessi anatomici e la retorica muscolare" che fanno parte dello stile michelangiolesco e dei suoi seguaci, pur senza mai citare direttamente il rivale.

L'Anonimo Gaddiano li ricorda in una novella, in cui i due artisti, presso piazza Santa Trinita, si incontrarono e Michelangelo, sprezzante e polemico, incalzò Leonardo circa l'interpretazione di un verso dantesco, oggetto della discussione. La reticenza di Leonardo nell'accettare la provocazione generò l'ira di Michelangelo, che lo dileggiò circa il fallito progetto del cavallo di bronzo terminando: "et che t'era che creduto da que' caponi de' Milanesi?"

Le incomprensioni e la rivalità dovettero accendersi anche durante la doppia commissione ufficiale in Palazzo Vecchio, ma, forse per la mancata attuazione del progetto, le fonti tacciono al riguardo.

Prima di partire da Firenze ci fu un altro episodio che riguardò i due: Michelangelo aveva infatti completato il suo David e gli artisti fiorentini vennero chiamati in commissione a decidere per la collocazione della statua in piazza della Signoria, il 25 gennaio 1504. Tra Sandro Botticelli, Andrea della Robbia, Simone del Pollaiolo, Filippino Lippi, il Perugino, Lorenzo di Credi, Giuliano e Antonio da Sangallo, Leonardo prese la parola per consigliare, seguendo un'idea di Giuliano, una posizione defilata per la statua, nella Loggia della Signoria, a ridosso della parete breve incorniciata magari da una nicchia "in modo che non guasti le cerimonie delli ufficiali". La sua presa di posizione, che provocò evidentemente la contrarietà del Buonarroti, ebbe un seguito minoritario, prevalendo infine l'ipotesi di Filippino Lippi, per una collocazione di massimo risalto all'aperto, dominante e autorevole davanti a Palazzo Vecchio, l'edificio più importante della città, nonché cuore nevralgico della politica e della vita sociale fiorentina.

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Gli ultimi anni (1508-1519)

Il secondo soggiorno milanese
A Firenze Leonardo iniziò ad essere lusingato dal governatore francese di Milano, Charles d'Amboise, che lo sollecitava, fin dal 1506, ad entrare al servizio di Luigi XII di Francia. L'anno successivo fu lo stesso re a richiedere espressamente Leonardo, che infine accettò di tornare a Milano dal luglio 1508. Il secondo soggiorno milanese, durato fino al 1513, con alcuni viaggi dall'ottobre 1506 al gennaio 1507 e dal settembre 1507 al settembre 1508, fu un periodo molto intenso. Dipinse la Sant'Anna, la Vergine e il Bambino con l'agnellino, completò, in collaborazione col De Predis, la seconda versione della Vergine delle Rocce e si occupò di problemi geologici, idrografici e urbanistici. Studiò fra l'altro un progetto per una statua equestre in onore di Gian Giacomo Trivulzio, quale artefice della conquista francese della città.

Viveva nei pressi di San Babila e sul suo stato finanziario resta l'annotazione di una provvigione ottenuta per quasi un anno di 390 soldi e 200 franchi dal re di Francia. Il 28 aprile 1509 scrisse di aver risolto il problema della quadratura dell'angolo curvilineo e l'anno dopo andò a studiare anatomia con Marcantonio della Torre, giovanissimo professore dell'università di Pavia; allo scopo, scrisse, di dare «la vera notizia della figura umana, la quale è impossibile che gli antichi e i moderni scrittori ne potessero mai dare vera notizia, sanza un'immensa e tediosa e confusa lunghezza di scrittura e di tempo; ma, per questo brevissimo modo di figurarla» - ossia rappresentandola direttamente con disegni, «se ne darà piena e vera notizia. E acciò che tal benefizio ch'io do agli uomini non vada perduto, io insegno il modo di ristamparlo con ordine».

Durante i suoi brevi viaggi visitò Como, poi si avventurò verso le pendici del Monte Rosa, (all'epoca era infatti impossibile salire sino sulla vetta che è alta ben 4.634 metri), poi con il Salaì e il matematico Luca Pacioli soggiornò a Vaprio d'Adda, presso Bergamo, dove gli venne affidato dal padre il giovane Francesco Melzi, l'ultimo e il più caro dei suoi allievi che lo seguì fino alla morte.

Nel 1511 morì il suo sostenitore Charles d'Amboise. L'anno seguente la nuova guerra della Lega Santa scacciò i Francesi da Milano, che tornò agli Sforza.

Fonte: Wikipedia, l'enciclopedia libera

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