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Leonardo da Vinci
(✶1452 †1519)
A Roma
Nell'incertezza della situazione il 24 settembre 1514 Leonardo partì per Roma, portandosi gli allievi più vicini, il Melzi e il Salaì. Qui Giuliano de' Medici, fratello del papa Leone X gli accorda il suo favore, ottenendo per lui un alloggio negli appartamenti del Belvedere al Vaticano. Qui l'artista si dedicò ai suoi studi scientifici, meccanici, di ottica e di geometria e cercò fossili sul vicino Monte Mario, ma si lamentò con Giuliano che gli venissero impediti i suoi studi di anatomia nell'Ospedale di Santo Spirito. Non ottenne commissioni pubbliche, ma ebbe modo di rivedere Bramante e Giuliano da Sangallo, che si stavano occupando della fabbrica di San Pietro, Raffaello, che affrescava gli appartamenti papali, e forse anche Michelangelo, dal quale lo divideva l'antica inimicizia.
Si occupò del prosciugamento delle Paludi pontine, i cui lavori erano stati appaltati da Giuliano de' Medici - il progetto venne approvato da Papa Leone X il 14 dicembre 1514, ma non fu eseguito per la morte sia di Giuliano che del papa di lì a pochi anni - e della sistemazione del porto di Civitavecchia. Con Giuliano e il papa fece un viaggio a Bologna, dove ebbe modo di conoscere direttamente Francesco I di Francia.
Secondo il Vasari, durante questa sua breve permanenza a Roma, fece «per messer Baldassarre Turini da Pescia, che era datario di Leone, un quadretto di una Nostra Donna col figliuolo in braccio con infinita diligenza e arte» e ritrasse «un fanciulletto che è bello e grazioso a maraviglia, che sono tutti e due a Pescia», ma delle due opere si è persa ogni traccia, unitamente alla Leda col cigno, celebre al tempo, e vista ancora da Cassiano dal Pozzo nel 1623 a Fontainebleau: «una Leda in piedi, quasi tutta ignuda, col cigno e due uova al piè della figura».
A Roma cominciò anche a lavorare a un vecchio progetto, quello degli specchi ustori che dovevano servire a convogliare i raggi del sole per riscaldare una cisterna d'acqua, utile alla propulsione delle macchine. Il progetto però incontrò diverse difficoltà soprattutto perché Leonardo non andava d'accordo con i suoi lavoranti tedeschi, specialisti in specchi, che erano stati fatti arrivare apposta dalla Germania. Contemporaneamente vennero ripresi i suoi studi di anatomia, già iniziati a Firenze e Milano, ma questa volta le cose si complicarono: una lettera anonima, inviata probabilmente per vendetta dai due lavoranti tedeschi, l'accusò di stregoneria. In assenza della protezione di Giuliano de' Medici e di fronte ad una situazione fattasi pesante, Leonardo si trovò costretto, ancora una volta, ad andarsene. Questa volta aveva deciso di lasciare l'Italia. Era anziano, aveva bisogno di tranquillità e di qualcuno che l'apprezzasse e l'aiutasse.
L'ultima notizia del suo periodo romano data all'agosto 1516, quando misurava le dimensioni della basilica di San Paolo fuori le mura, dopodiché dovette accettare gli inviti del re di Francia.
In Francia, al servizio di Francesco I
Nel 1517 Leonardo partì per la Francia, dove arrivò in maggio, insieme con Francesco Melzi e il servitore Battista de Vilanis, venendo alloggiato dal re nel castello di Clos-Lucé, vicino ad Amboise, e onorato del titolo di premier peintre, architecte, et mecanicien du roi, con una pensione di 5000 scudi. Francesco I era un sovrano colto e raffinato, amante dell'arte soprattutto italiana, come dimostrò anche negli anni successivi accogliendo con onori altri artisti (Primaticcio, Rosso Fiorentino, Andrea del Sarto, Benvenuto Cellini).
Gli ultimi tre anni passati in Francia furono sicuramente il periodo più sereno della sua vita, assistito dai due fedeli allievi e, sebbene indebolito dalla vecchiaia e da una probabile trombosi cerebrale che gli paralizzò la mano destra, poté continuare con passione e dedizione i propri studi e le ricerche scientifiche.
L'alta considerazione di cui godette è dimostrata anche dalla visita ricevuta, il 10 ottobre, del cardinale d'Aragona e del suo seguito: Leonardo gli mostrò «tre quadri, uno di certa donna Fiorentina facta di naturale ad istantia del quondam mag.co Juliano de Medici, l'altro de San Joane Bap.ta giovane et uno de la Madona et del figliolo che stan posti in grembo di S.ta Anna tucti perfectissimi, et del vero che da lui per esserli venuta certa paralesi ne la dextra, non se ne può expectare più bona cosa. Ha ben facto un creato Milanese chi lavora assai bene, et benché il p.to M. Lunardo non possa colorir con quella dulceza che solea, pur serve a far disegni et insegnar ad altri. Questo gentilhomo ha composto de notomia tanto particularmente con la demonstratione de la pictura sì de membri come de muscoli, nervi, vene, giunture, d'intestini tanto di corpi de homini che de done, de modo non è stato mai facto anchora da altra persona [...] Ha anche composto la natura de l'acque, de diverse machine et altre cose, secondo ha riferito lui, infinità di volumi et tucti in lingua vulgare, quali se vengono in luce saranno proficui et molto dilectevoli».
Progettò il palazzo reale di Romorantin, che Francesco I intendeva erigere per la madre Luisa di Savoia. Si trattava del progetto di una cittadina, per la quale previde lo spostamento di un fiume che l'arricchisse d'acque e fertilizzasse la vicina campagna: «El fiume di mezzo non riceva acqua torbida, ma tale acqua vada per li fossi di fori della terra, con quattro molina dell'entrata e quattro all'uscita [...] il fiume di Villafranca sia condotto a Romolontino, e il simile sia fatto del suo popolo [...] se il fiume mn [Bonne Heure], ramo del fiume Era [Loira] si manda nel fiume di Romolontino, colle sue acque torbide esso grasserà le campagne sopra le quali esso adacquerà, e renderà il paese fertile».
Partecipò alle feste per il battesimo del Delfino e a quelle per le nozze di Lorenzo de' Medici duca di Urbino. Tra i lavori come curatore di feste e apparati si ricorda quello messo in scena a Lione nel 1515 e ad Argenton nel 1517, in entrambi i casi per festeggiare la presenza di Francesco I. Si trattava dell'automa del leone, che era in grado di camminare e poi fermarsi aprendosi il petto "tutto ripieno di gigli e diversi fiori, [...] che fu di tanta meraviglia a quel re".
L'ultima data presente su un manoscritto di Leonardo risale al giugno del 1518: preso da calcoli di geometria, gli studi sono bruscamente interrotti con un "eccetera, perché la minestra si fredda"! Si tratta di una rara annotazione istintiva di vita quotidiana, che rende la dimensione umana del personaggio che, incalzato dai richiami di qualcuno, deve rompere la concentrazione per mangiare.
La morte
Il 23 aprile 1519 redasse il testamento davanti al notaio Guglielmo Boreau, alla presenza di cinque testimoni e dell'inseparabile Francesco Melzi: dispose di voler essere sepolto nella chiesa di San Fiorentino, con una cerimonia funebre accompagnata dai cappellani e dai frati minori, oltre che da sessanta poveri, ciascuno reggente una torcia; richiese la celebrazione di tre messe solenni, con diacono e suddiacono, e di trenta messe "basse", a San Gregorio, a Saint-Denis e nella chiesa dei francescani.
A Francesco Melzi, esecutore testamentario, lasciò «li libri [...] et altri Instrumenti et Portracti circa l'arte sua et industria de Pictori», oltre alla collezione dei disegni e del guardaroba; al servitore De Vilanis e al Salaì la metà per ciascuno di «uno iardino che ha fora de le mura de Milano [...] nel quale iardino il prefato Salay ha edificata et constructa una casa»; alla fantesca Maturina dei panni e due ducati; ai fratellastri fiorentini il suo patrimonio nella città toscana, cioè 400 scudi depositati in Santa Maria Nuova e un podere a Fiesole.
Leonardo morì di lì a poco, il 2 maggio. Francesco I, a Saint-Germain-en-Laye dove si trovava, apprese la notizia della scomparsa direttamente dal Melzi e si lasciò andare a un pianto sconsolato.
Il 12 agosto un registro ricorda come «fu inumato nel chiostro di questa chiesa [Saint-Florentin ad Amboise] M. Lionard de Vincy, nobile milanese e primo pittore e ingegnere e architetto del Re, meschanischien di Stato e già direttore di pittura del duca di Milano». Cinquant'anni dopo, violata la tomba, le sue spoglie andarono disperse nei disordini delle lotte religiose tra cattolici e ugonotti.
Trent'anni prima aveva scritto delle parole che suonano profetiche nel suo caso:
«Sì come una giornata bene spesa dà lieto dormire, così una vita bene usata dà lieto morire.»
(Trattato della pittura, 27 r.)
La pittura e la scienza
Copie di scritti di Leonardo sulla pittura circolavano già nel Cinquecento: il Vasari riferisce di un anonimo pittore milanese che gli mostrò «alcuni scritti di Lionardo, pur di caratteri scritti con la mancina a rovescio, che trattano della pittura e de' modi del disegno e del colorire»; Benvenuto Cellini possedeva scritti di Leonardo sulla prospettiva.Grazie all'impegno di Cassiano dal Pozzo, una raccolta di manoscritti di Leonardo, redazione estremamente abbreviata di quella messa insieme dall'allievo ed erede Francesco Melzi, fu pubblicata per la prima volta a Parigi nel 1651, insieme con la traduzione francese, con incisioni tratte da disegni di Nicolas Poussin; un'altra edizione italiana del Trattato della pittura fu pubblicata a Napoli nel 1733.
La pittura, per Leonardo, è scienza, rappresentando «al senso con più verità e certezza le opere di natura», mentre «le lettere rappresentano con più verità le parole al senso». Ma, aggiunge Leonardo riprendendo un concetto aristotelico, è «più mirabile quella scienza che rappresenta le opere di natura, che quella che rappresenta [...] le opere degli uomini, com'è la poesia, e simili, che passano per la umana lingua». Leonardo utilizzò la tecnica della prospettiva aerea in alcuni suoi capolavori come la Gioconda e la Vergine delle Rocce. L'artista si rifece anche agli studi dello scienziato arabo Alhazen secondo il quale da ogni minuscola particella di un oggetto ipoteticamente osservato, si staccano "scorzettine", cioè informazioni luminose che viaggiano nell'aria fino a raggiungere la nostra retina (dove le immagini si fissano capovolte).
Leonardo studiò anche per primo in Europa la possibilità di proiettare immagini dal vero su un foglio dove potevano essere facilmente ricopiate, con la cosiddetta camera oscura leonardiana. Egli inoltre fu tra i pionieri dell'uso della pittura a olio in Italia, che usava essenzialmente in tecniche miste, soprattutto per i ritocchi.
Fonte: Wikipedia, l'enciclopedia libera
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