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Luigi Pirandello
(✶1867 †1936)
Quindi, mentre il comico genera quasi immediatamente la risata perché mostra subito la situazione evidentemente contraria a quella che dovrebbe normalmente essere, l'umorismo nasce da una più ponderata riflessione che genera una sorta di compassione da cui si origina un sorriso di comprensione. Nell'umorismo c'è il senso di un comune sentimento della fragilità umana da cui nasce un compatimento per le debolezze altrui che sono anche le proprie. L'umorismo è meno spietato del comico che giudica in maniera immediata.
«non ci fermiamo alle apparenze, ciò che inizialmente ci faceva ridere adesso ci farà tutt'al più sorridere.»
(Luigi Pirandello)
La poetica dell'Umorismo Pirandelliana, in realtà nasce già quando, nel 1904, pubblica le due premesse de Il fu Mattia Pascal dove richiamandosi a Il Copernico di Leopardi del 1827 nelle Operette morali riprende l'ironia letteraria di Leopardi che attribuiva la scoperta copernicana dell'eliocentrismo alla pigrizia del Sole stanco di girare attorno ai pianeti. Il richiamo a Copernico si ritrova poi nel saggio su L'umorismo(cap. 5 della seconda parte), dove Pirandello vede una notazione umoristica nella contrapposizione di due sentimenti opposti per i quali dopo la scoperta copernicana l'uomo scopre di essere una parte infinitesimale dell'universo e nello stesso tempo la sua capacità di compenetrarsene.
La crisi dell'io
L'analisi dell'identità condotta da Pirandello lo portò a formulare la teoria della crisi dell'io. In un articolo del 1900 scrisse:«Il nostro spirito consiste di frammenti, o meglio, di elementi distinti, più o meno in rapporto tra loro, i quali si possono disgregare e ricomporre in un nuovo aggregamento, così che ne risulti una nuova personalità, che pur fuori dalla coscienza dell'io normale, ha una propria coscienza a parte, indipendente, la quale si manifesta viva e in atto, oscurandosi la coscienza normale, o anche coesistendo con questa, nei casi di vero e proprio sdoppiamento dell'io.
[...] Talché veramente può dirsi che due persone vivono, agiscono a un tempo, ciascuna per proprio conto, nel medesimo individuo. Con gli elementi del nostro io noi possiamo perciò comporre, costruire in noi stessi altri individui, altri esseri con propria coscienza, con propria intelligenza, vivi e in atto. »
Paradossalmente, il solo modo per recuperare la propria identità è la follia, tema centrale in molte opere, come l'Enrico IV o come Il berretto a sonagli, nel quale Pirandello inserisce addirittura una ricetta per la pazzia: dire sempre la verità, la nuda, cruda e tagliente verità, infischiandosene dei riguardi, delle maniere, delle ipocrisie e delle convenzioni sociali. Questo comportamento porterà presto all'isolamento da parte della società e, agli occhi degli altri, alla pazzia.
Abbandonando le convenzioni sociali e morali l'uomo può ascoltare la propria interiorità e vivere nel mondo secondo le proprie leggi, cala la maschera e percepisce se stesso e gli altri senza dover creare un personaggio, è semplicemente persona. Esemplare di tale concezione è l'evoluzione di Vitangelo Moscarda, protagonista di Uno, nessuno e centomila.
La "lanterninosofia"
Ancora sulla crisi dell'identità del singolo impotente con la sua razionalità di fronte al mistero universale che lo circonda, Pirandello, all'inizio del XIII capitolo del romanzo Il fu Mattia Pascal, espone metaforicamente la sua filosofia del "lanternino", tramite il monologo che il personaggio di Anselmo Paleari rivolge al protagonista Mattia Pascal, in cui la piccola lampada rappresenta il sentimento umano, che non riesce ad alimentarsi se non tramite le illusioni di fede e ideologie varie ("i lanternoni"), ma che altrimenti provoca l'angoscia del buio che lo circonda all'uomo, l'animale che ha il triste privilegio di "sentirsi vivere".
«[Il lanternino] che proietta tutto intorno a noi un cerchio più o meno ampio di luce, di là dal quale è l'ombra nera, l'ombra paurosa che non esisterebbe se il lanternino non fosse acceso in noi, ma che noi purtroppo dobbiamo credere vera, fintanto ch'esso si mantiene vivo in noi. Spento alla fine da un soffio, ci accoglierà la notte perpetua dopo il giorno fumoso della nostra illusione, o non rimarremo noi piuttosto alla mercé dell'Essere, che avrà soltanto rotto le vane forme della nostra ragione?»
(Il fu Mattia Pascal, capitolo XIII, Il lanternino)
La sua sfiducia verso la fede religiosa tradizionale lo porta ad accentuare così il proprio vuoto spirituale, che cercò di riempire, come il citato personaggio del Paleari, con l'interesse personale verso l'occultismo, la teosofia e lo spiritismo, che tuttavia non gli daranno la serenità esistenziale.
Il contrasto tra vita e forma
Pirandello svolge una ricerca inesausta sull'identità della persona nei suoi aspetti più profondi, dai quali dipendono sia la concezione che ogni persona ha di sé, sia le relazioni che intrattiene con gli altri. Influenzato dalla filosofia irrazionalistica di fine secolo, in particolare di Bergson, Pirandello ritiene che l'universo sia in continuo divenire e che la vita sia dominata da una mobilità inesauribile. L'uomo è in balia di questo flusso dominato dal caso, ma a differenza degli altri esseri viventi tenta, inutilmente, di opporsi costruendo forme fisse, nelle quali potersi riconoscere ma che finiscono con il legarlo a maschere in cui non può mai riconoscersi o alle quali è costretto a identificarsi per dare comunque un senso alla propria esistenza. Se l'essenza della vita è il flusso continuo, il perenne divenire, quindi fissare il flusso equivale a non vivere, poiché è impossibile fissare la vita in un unico punto. Questa dicotomia tra vita e forma, accompagnerà l'autore in tutta la sua produzione evidenziando la sconfitta dell'uomo di fronte alla società, dovuta all'impossibilità di fuggire alle convenzioni di quest'ultima se non con la follia. Solo il "folle", che pure è una figura sofferente ed emarginata, riesce talvolta a liberarsi dalla maschera, e in questo caso può avere un'esistenza autentica e vera, che resta impossibile agli altri in quanto non è fattibile denudare la maschera o le maschere, la propria identità (Maschere nude è infatti il titolo della raccolta delle sue opere teatrali).Questa riflessione, che si rispecchia nelle varie opere con accenti ora lievi ora gravi e tragici, è stata, ad opera soprattutto dello studioso Adriano Tilgher, interpretata come un sistema filosofico basato sul contrasto tra la Vita e la Forma, che talvolta ha fatto esprimere alla critica un giudizio negativo delle ultime opere precedenti al "teatro dei miti", accusate a volte di "pirandellismo", cioè di riproporre sempre lo stesso schema di lettura.
Il relativismo psicologico o conoscitivo
«La verità? è solo questa: che io sono, sì, la figlia della signora Frola - Ah! - E la seconda moglie del signor Ponza - Oh! E come? - Sì; e per me nessuna! nessuna! - Ah, no, per sé, lei, signora: sarà l'una o l'altra! - Nossignori. Per me, io sono colei che mi si crede. (...) Ed ecco, o signori, come parla la verità.»
(Dialogo finale di Così è (se vi pare))
Dal contrasto tra la vita e la forma nasce il relativismo psicologico che si esprime in due sensi: orizzontale, ovvero nel rapporto interpersonale, e verticale, ovvero nel rapporto che una persona ha con se stessa.
Gli uomini nascono liberi ma il Caso interviene nella loro vita precludendo ogni loro scelta: l'uomo nasce in una società precostituita dove ad ognuno viene assegnata una parte secondo la quale deve comportarsi.
Ciascuno è obbligato a seguire il ruolo e le regole che la società impone, anche se l'io vorrebbe manifestarsi in modo diverso: solo per l'intervento del caso può accadere di liberarsi di una forma per assumerne un'altra, dalla quale non sarà più possibile liberarsi per tornare indietro, come accade al protagonista de Il fu Mattia Pascal.
L'uomo dunque non può capire né gli altri né tanto meno se stesso, poiché ognuno vive portando - consapevolmente o, più spesso, inconsapevolmente - una maschera dietro la quale si agita una moltitudine di personalità diverse e inconoscibili.
Queste riflessioni trovano la più esplicita manifestazione narrativa nel romanzo Uno, nessuno e centomila:
- Uno perché ogni persona crede di essere un individuo unico con caratteristiche particolari;
- Centomila perché l'uomo ha, dietro la maschera, tante personalità quante sono le persone che ci giudicano;
- Nessuno perché, paradossalmente, se l'uomo ha 100.000 personalità invero non ne possiede nessuna, nel continuo cambiare non è capace di fermarsi nel suo vero "io".
L'incomunicabilità
Il relativismo conoscitivo e psicologico su cui si basa il pensiero di Pirandello si scontra con il conseguente problema dell'incomunicabilità tra gli uomini: poiché ogni persona ha un proprio modo di vedere la realtà, non esiste un'unica realtà oggettiva, ma tante realtà quante sono le persone che credono di possederla e dunque ognuno ha una propria "verità".L'incomunicabilità produce quindi un sentimento di solitudine ed esclusione dalla società e persino da se stessi, poiché proprio la crisi e frammentazione dell'io interiore crea diversi io discordanti. Il nostro spirito consiste di frammenti che ci fanno scoprire di essere "uno, nessuno, centomila".
I personaggi dei drammi pirandelliani, come il Vitangelo Moscarda del romanzo Uno, nessuno e centomila e i protagonisti della commedia Sei personaggi in cerca di autore, di conseguenza avvertono un sentimento di estraneità dalla vita che li fanno sentire «forestieri della vita», nonostante la continua ricerca di un senso dell'esistenza e di un'identificazione di un proprio ruolo, che vada oltre la maschera, o le diverse e innumerevoli maschere, con cui si presentano al cospetto della società o delle persone più vicine.
Fonte: Wikipedia, l'enciclopedia libera
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