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Massimo d'Azeglio
(✶1798 †1866)
Si cimentò anche come scrittore; in linea con la temperie romantica, cui si era mostrato fedele già nei quadri, scrisse il romanzo storico Ettore Fieramosca (1833) ispirandosi quindi anche in letteratura al famoso protagonista della disfida barlettana. Nel 1834 fu tra i primi frequentatori della casa di Clara e Andrea Maffei in via Tre Monasteri, nel primo embrione del salotto che avrebbe animato i successivi decenni della vita artistica e politica milanese. Il 24 agosto 1835 sposò in seconde nozze Luisa Maumary, vedova del proprio zio Enrico Blondel, che era fratello di Enrichetta, prima moglie di Manzoni.
Tornò poi a Torino, dove cominciò a interessarsi di politica attraverso il Re Carlo Alberto, con approccio liberale moderato.
Gli anni della maturità. Le operazioni militari e l'ingresso in politica
Al settembre 1838 risale il primo soggiorno fiorentino, dove si recò per raccogliere il materiale necessario alla stesura del secondo romanzo storico, Niccolò de' Lapi. Nella città toscana, che d'Azeglio amò fin dall'inizio, entrò in contatto con gli intellettuali liberali del Gabinetto Vieusseux, in particolare con il suo fondatore, Gian Pietro Vieusseux, e con Gino Capponi. Lasciò quindi Firenze per Milano, ma vi tornò nel 1840 per un secondo breve soggiorno.Nel 1838, a Firenze, conobbe il marchese Carlo Luigi Torrigiani, cui sarà legato da fraterna amicizia e da ideali patriottici. Torrigiani introdurrà il Nostro alla frequentazione di casa Targioni, composta dal naturalista Antonio, dalla moglie Fanny di leopardiana memoria e dalle loro tre figlie. Stringerà un'amicizia particolarmente intensa con la più giovane, Teresa Targioni Tozzetti, come testimonia il ricco carteggio che ci è pervenuto.
Sincero patriota italiano, cosciente delle grandi differenze tra i vari regni d'Italia, deciso a rispettare i sovrani legittimi, fu contrario ad un'unificazione a sola guida piemontese e auspicava la creazione di una confederazione di stati sul modello dell'Unità tedesca. Fu duramente attaccato per questo dai mazziniani (in quanto essi ritenevano l'assetto federalistico estremamente dannoso, sia perché esponeva l'Italia al fuoco della politica straniera sia a causa del particolarismo che sarebbe perdurato) e definito da Cavour suo "empio rivale" (in seguito, quest'ultimo lo costrinse a dimettersi).
Nel 1848, il Colonnello d'Azeglio fu in prima linea nelle operazioni militari che coinvolsero il settentrione orientale della penisola. Si distinse come capo della difesa di Vicenza, in una missione militare condotta con grande coraggio. Il 10 giugno, ripiegando da Monte Berico, ridotto con una manciata di uomini e munizioni a fronte di un esercito austriaco molto più equipaggiato, fu ferito al ginocchio destro. Si diresse in seguito verso Ferrara, sofferente e col timore di essere arrestato e quindi confinato, con ogni probabilità, in Moravia. Assistito dal Cardinal Legato Luigi Ciacchi, rimase a Ferrara due settimane, prima di recarsi a Bologna, dove soggiornò per tutto il mese di luglio. Il 26 giugno, intanto, era stato eletto a deputato del Parlamento Subalpino, per il collegio di Strambino. Ad agosto era a Firenze, presso villa La Scalère: malgrado fosse ancora convalescente, si impegnò attivamente alla diffusione delle proprie idee scrivendo articoli per La Patria. Verso la fine di novembre partì per rientrare a Torino, con l'intenzione di partecipare ai lavori del Parlamento. Durante il tragitto fu costretto a fermarsi diversi giorni a Genova, colpito da un attacco di febbre. Il 10 dicembre ricevette una chiamata ufficiale del Re, che voleva affidargli la Presidenza del Consiglio del Regno di Sardegna, ma d'Azeglio rifiutò l'incarico durante l'udienza regale del 14. Al suo posto fu Vincenzo Gioberti ad assumere l'incarico.
A Torino diede alle stampe Timori e Speranze, pamphlet antirepubblicano composto durante la permanenza a villa La Scalère. L'opera, rifiutata dall'editore Le Monnier, fu pubblicata dai librai locali Gianini e Fiore, cui d'Azeglio confidò anche l'opuscolo Ai suoi elettori, scritto dopo aver considerato la necessità di candidarsi per la nuova legislatura. Ai suoi elettori colpì per la sincerità e la purezza d'intenti, ed aveva tutti i crismi per essere considerato un capolavoro di letteratura politica, se è vero che fu definito «ciò che di più perfetto è uscito dalla piuma di d'Azeglio». Il risultato, però, fu diverso, perché venne rieletto Vincenzo Gioberti.
Il Nostro decise allora di abbandonare la città, e già a fine gennaio prese la volta di Genova, sostandovi una decina di giorni. Proseguì verso la Toscana, giungendo a Pisa, ospite della famiglia Giorgini, con l'intenzione di continuare fino a Firenze per riprendere la figlia, che studiava nella città retta dal governo Guerrazzi. Nei medesimi giorni il Granduca Leopoldo II era stato costretto alla fuga, mentre Guerrazzi, memore degli articoli azegliani apparsi su La patria e dell'ancor fresca invettiva antirepubblicana di Timori e Speranze, dispose l'arresto del d'Azeglio. Questi riuscì però a mettersi in salvo, grazie a un avvertimento segreto che l'amico Marco Tabarrini gli fece pervenire, riparando a Sarzana.
Presidente del Consiglio
Raggiunse quindi La Spezia, in uno stato di profondo rammarico per l'evolversi della situazione italiana e ancora sofferente al ginocchio destro. Il 23 marzo ci fu la disfatta di Novara, che gettò il d'Azeglio in uno sconforto ancora maggiore, addolorato inoltre dalla morte del diciottenne Ferdinando Balbo – il fratello di Prospero – cui era legato da sincera amicizia. Inviperito con gli esponenti della Giovine Italia, contro la Camera e contro lo stesso Carlo Alberto, pensò di ritirarsi a vita privata e ritornò a Sarzana, ma il 25 aprile ricevette la chiamata del nuovo Re, Vittorio Emanuele II, e d'Azeglio si vedeva nuovamente proposta la presidenza del Consiglio. Il Nostro fece di tutto per rifiutare, conscio di dover assumere le redini in un momento estremamente difficile, ma dovette piegarsi alla volontà del sovrano quando questi, il 6 maggio, firmò il decreto di nomina del nuovo Primo Ministro.Divenne Primo Ministro del Regno di Sardegna dal 1849 al 1852, costituendo quindi il cosiddetto Governo d'Azeglio I, in uno dei momenti più drammatici della storia del paese, al termine della Prima guerra d'Indipendenza. Nei primi mesi si adoperò per concludere la pace con l'Austria, lavorando assieme al Re ai celebri proclami di Moncalieri, la cui ratifica definitiva avvenne con quello del 20 novembre. Emanuele d'Azeglio, nipote dello statista, ricorderà più avanti che «[D'Azeglio aveva] consigliato al Re d'atterrare i Titani, egli lo considerava come il fatto più importante» della sua vita politica, «ed il più segnalato servizio che aveva reso alla Dinastia ed al Paese».
L'anno successivo d'Azeglio si dimostrò favorevole alle famose leggi Siccardi, che abolirono i privilegi del clero e attirarono sul Gabinetto le feroci critiche della Chiesa, incarnatesi con particolare veemenza negli articoli del sacerdote sanremese Giacomo Margotti e nelle clamorose manifestazioni di rabbia dell'arcivescovo di Torino Luigi Fransoni, che arrivò a negare, in punto di morte, i sacramenti al Ministro dell'Agricoltura Santarosa. In sostituzione del Santarosa, d'Azeglio fece il nome di Cavour, cui era legato da amicizia dai tempi in cui il conte aveva fondato Il Risorgimento. Nonostante le reticenze di Vittorio Emanuele, Camillo Benso fu nominato ministro con un decreto dell'11 novembre.
La vita politica, però, non piaceva al Nostro, il quale rimpiangeva i tempi della giovinezza, delle conversazioni nei salotti e, soprattutto, del libero esercizio della pittura. Il carteggio con Teresa Targioni, nel suo stile confidenziale, è ancora una volta rivelatore degli stati d'animo del presidente del Consiglio.
Nella seduta parlamentare del 12 febbraio 1851 d'Azeglio pronunciò un discorso politico in cui esprimeva la propria concezione della carica che era stato chiamato a ricoprire, facendo risaltare l'importanza della rettitudine e della gentilezza, ritenute come qualità somme per chi voglia condurre una politica di giustizia. Gino Capponi lodò la relazione, mentre il Bersezio si spinse fino a definire le parole espresse come le più nobili «che si udissero mai pronunziare da un ministro degli esteri in Parlamento».
Nell'estate del 1851, approfittando di un momento di relativa quiete, ebbe la possibilità di rinfrancarsi con una vacanza nell'amata riviera ligure. Verso la metà di luglio raggiunse quindi villa Oneto, a Sestri Ponente. Tornato a Torino, dopo altri mesi di calma, il Gabinetto si trovò a dover fronteggiare una situazione molto delicata. Cavour stava prendendo in mano le redini del Governo, e aveva cominciato ad avvicinarsi al centrosinistra, sostenendo la candidatura di Urbano Rattazzi, avversario del d'Azeglio, alla presidenza della Camera. Quando Rattazzi fu eletto nonostante l'assoluta opposizione del Primo Ministro, la Legislatura piombò nella crisi più nera.
Non vedendo via d'uscita, d'Azeglio si dimise il 12 maggio 1852, ma Vittorio Emanuele II volle rinnovargli la fiducia e 4 giorni dopo destituì il Consiglio rimettendo in carica d'Azeglio, che ricompose il Gabinetto in cinque giorni, estromettendo Cavour, Farini e Galvagno, facendoli sostituire da Cibrario, Boncompagni e La Marmora. Rieletto quindi Primo Ministro, visse per pochi mesi l'avventura del cosiddetto Governo d'Azeglio II, dal 21 maggio fino al 4 novembre 1852.
Fonte: Wikipedia, l'enciclopedia libera
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