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Paolo Giovio
(✶~1483 †1552)
Proprio in questi anni (1537/1543) dedicati all'edificazione del Museo, egli rinsalda i rapporti con Alfonso d'Avalos, marchese del Vasto, e Ferrante I Gonzaga, figure tra le più in vista del partito favorevole a Carlo V. Da ultimo, di non poco rilievo nel deterioramento dei rapporti con la sede papale, fu il costante e reiterato rifiuto di Giovio a partecipare ai lavori conciliari, sebbene formalmente come medico. Si tratta di una pagina controversa nella vita dell'umanista che per molto tempo ha gettato discredito sul vescovo comense. A lungo si è sostenuto che "Giovio si sarebbe mostrato incomprensivo delle profonde motivazioni del Concilio, per il rifiuto di prendere atto che la stagione del mecenatismo pontificio, dei papi umanisti era ormai tramontata definitivamente: presa d'atto a cui una "penna d'oro", uno storico venale come Giovio si sarebbe mal adattato".
Quest'ultima è una tesi diffusa e che ha trovato ampio credito. Tuttavia essa non tiene conto della sostanziosa testimonianza fornita dagli scritti editi dall'umanista. Le opere rivelano, infatti, la piena cognizione, da parte di Giovio "della posta in gioco, e dell'epistolario, nel quale (...) si mostra giudice attento, informatissimo ed esatto delle questioni all'ordine del giorno, attestando negli anni compresi tra il 1537 e il 1546 una convergenza di punti di vista, di affinità e di repulsioni, con lo schieramento del cosiddetto evangelismo italiano, e in particolare con la ecclesia viterbese stretta intorno al cardinale inglese Reginald Pole, che tentò a più riprese di tessere il filo della ragionevolezza nella discussione dottrinale con il mondo riformato (e, forse, a una medesima genesi è da ricondurre la pubblicazione, nel 1548, della Descriptio Britanniae parte di un progetto di corografia, il De imperiis et gentibus cogniti orbis, delineato già dal 1535).
Il Concilio di Trento: una voce silenziosa fuori dai cori e l'impegno di collezionista
Il diretto distacco dalle dispute e dalle vicende conciliari da parte dello studioso sono piuttosto dettate da un atteggiamento scettico, dovuto alla piena consapevolezza di quanto in esse fossero preponderanti logiche meramente politiche e che, in entrambe le fazioni, avessero la meglio forze che, in ogni caso, avrebbero anteposto chiusure dogmatiche alla sincera ricerca delle condizioni per una reciproca comprensione. Quelle stesse forze che avevano già fatto fallire i colloqui di Ratisbona nel 1541.
"La posizione gioviana pare, al contrario, coincidere con l'atteggiamento psicologico di chi ha a cuore il mantenimento di aperture intellettuali, dentro e fuori il mondo cattolico, la conservazione della possibilità di discussione con i presunti 'devianti senza l'intromissione di un rigorismo ferocemente repressivo, alla teatina, e tra i valori umanistici è interessato innanzitutto a salvaguardare l'ammissione della legittimità teorica di una pluralità di punti di vista. Alla base, un'attiva (talora perfino smodata e famelica) curiosità intellettuale, il riconoscimento del gioco intelligente che sottostà alle posizioni di chi ha di fronte: una disposizione, tuttavia, che uno spirito erasmiano arma di insofferenza verso la ben diversa 'curiosità', tutta intellettualistica, degli scolastici", per non dire dell'imposizione di un autoritarismo religioso dogmatico come quella perseguita dalla Curia Romana nei confronti dei riformati, anche con l'ausilio della punta di spade più spuntate di quanto immaginato. Un'assenza di pregiudizi intellettuali, che lo studioso non tarda a esprimere apertamente nei primi Elogia, destinati a commentare, accompagnandoli, i ritratti conservati nel suo Museo. In conclusione, è ragionevole sostenere che il raffreddamento dei rapporti tra l'umanista e la cerchia pontificia, che si consuma nei primi anni quaranta e fino alla pubblicazione dei primi Elogia (1546), sia dovuta all'insieme delle citate concause (alcuni hanno attribuito, piuttosto strumentalmente, questo allontanamento anche alla mancata nomina dello studioso, in vista di un cardinalato, a vescovo di Como da parte di Paolo III, nel 1549) che hanno, in ogni caso un comune denominatore: "all'origine del disincanto sembra sia da porre la consapevolezza (da parte di Giovio) che si andavano progressivamente chiudendo tutti gli spazi di esercizio della libertà intellettuale o, se si vuole, della impunità della quale il vecchio storico aveva fino allora goduto". A partire dal 1542, Giovio frequenta l'Accademia della Virtù, nata per iniziativa del senese Claudio Tolomei, con il patrocinio del cardinale Ippolito de' Medici, e presieduta dall'umanista Marcello Cervini, che diverrà papa nel 1555, con il nome di Marcello II. L'accademia dei virtuosi aveva come fine principale l'approfondimento della "questione vitruviana", ossia quell'insieme di studi, di grande attualità tra gli intellettuali del tempo, tesa al pieno recupero dell'eredità greco-romana e della cultura architettonica classica, incentrati su il "De Architectura" dell'antico architetto romano, tradotto nel 1521 da Cesare Cesariano.
Il vasto movimento che i lavori dell'Accademia produsse, con l'ambizioso progetto di produrre una sorta di enciclopedia del sapere architettonico del mondo classico, coinvolse anche l'umanista comense, che dalla frequentazione del sodalizio, e dagli studi vitruviani del fratello Benedetto, trae gli spunti fondamentali per realizzare la propria villa in Borgovico. L'invenzione museale di Giovio necessita di un "contenitore" ideale per ospitare il Museo che ormai si appresta a realizzare concretamente, in una sorta di ricerca di un interscambio armonico tra struttura edificatoria e la collezione in essa ospitata, oltre che del suo intero apparato iconografico, che nell'Accademia romana trova i suoi spunti maggiori.
Gli ultimi anni a Firenze sotto la protezione dei de' Medici
Nel 1549, anno della morte di Paolo III, Giovio lascia quindi Roma, preoccupato dal clima controriformista e si stabilisce definitivamente a Firenze, alla corte di Cosimo I de' Medici. Su questa scelta, alla quale per lungo tempo gli storiografi attribuirono motivazioni di partigianeria e di opportunismo, nonché di bassa venalità da parte di un anziano cortigiano, gli studi più recenti "avanzano al contrario l'intelligente e persuasiva ipotesi che il definitivo e doloroso commiato da Roma avesse lo scopo, tutt'altro che senile, di conservare la facoltà di parlare liberamente".
Opere
Elogia virorum edizione stampata a Basilea nel 1577
La data iniziale si riferisce a quella di approntamento per le stampe o (presupposta stesura) del testo, tradotto in italiano; quella riportata nella voce prima edizione è la data di stampa in latino o in volgare; nell'elaborazione si è tenuto conto della strutturazione bibliografica delle opere gioviane (editio princeps) così come riportata da Franco Minonzio in Paolo Giovio, Elogi degli uomini illustri, Einaudi, Millenni, Torino 2006.
1504: Lettera di Paolo Giovio a Pietro Giano Raschio; prima edizione Paulus Iovio P(etro) Iano Raschae S.P.D., in appendice a Stefano Della Torre, L'inedita opera prima di Paolo Giovio e il Museo: l'interesse di un umanista per il tema della villa, in Paolo Giovio. Il Rinascimento e la memoria, Atti del convegno (Como 3-5 giugno 1983), Società a Villa Gallia, Como 1985, pp.296–301;
1508: Notti (Noctes)- Il testo è ancora inedito; il manoscritto Noctes P(auli) Iouii Actae Comi 1508, 25 Iulii, hota I (Serotina) è conservato presso la Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele II a Roma, Fondo Vittorio Emanuele 1303. La pubblicazione è prevista in Pauli Iovi Opera, Istituto Poligrafico dello Stato - Libreria dello Stato, a cura della Società Storica Comense, 1956-1987, vol. XI, Opera minora in corso di completamento;
prob.1521: Consiglio di Monsignor Paolo Giovio per far l'impresa contro gli infedeli; prima edizione Consiglio di Monsignor Paolo Giovio, raccolto dalle consulte di Papa Leone Decimo per fra l'impresa contra infedeli, Bonelli, Venezia 1560 (post.)
Fonte: Wikipedia, l'enciclopedia libera
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