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Paolo Giovio
(✶~1483   †1552)

Rimessosi in forze, Giovio torna a Roma, convinto che la lontananza dall'Urbe non avrebbe giovato al mantenimento dei benefici acquisiti presso la corte papale, e vi arriva nel maggio del 1534, alla vigilia della morte di Papa Clemente. "Con toni e considerazioni molto simili a quelle di Machiavelli, Giovio considerò la personalità del defunto papa come quella di un uomo buono ma debole, aggiungendo che, nella sua posizione e per le sue responsabilità, la bontà senza la forza non erano molto diverse dal vizio e dalla malvagità. La forza e la capacità di giudizio, che pure in qualche misura possedeva, erano indebolite dalla mancanza di rapidità nella decisione e dall'avarizia; mentre si attardava a decidere come, quando e quanto doveva spendere, il più delle volte perdeva le occasioni di agire che gli si presentavano". Allo stesso tempo, allo scrittore, come ad altri, non sfugge che i colloqui di Marsiglia hanno gettato le basi per una nuova guerra in Italia; in particolare lo sposalizio che imparenta la famiglia de' Medici con la dinastia regnante francese, che si inserisce nel quadro di una politica matrimoniale di alleanze attraverso la quale Carlo V e Francesco I cercano di raggiungere la supremazia su buona parte dei territori europei che non hanno ottenuto sul campo di battaglia, che avvantaggia non poco la Corona transalpina, spingendola a riprendere l'iniziativa militare contro l'imperatore e la Spagna. Iniziativa che si spinge fino a raggiungere un accordo con il Sultano di Costantinopoli, che prevede l'apertura di un secondo fronte di aggressione nel Mediterraneo contro l'Impero da parte Ottomana, condotta soprattutto per iniziativa di Khayr al-Din, meglio conosciuto come pirata (in realtà corsaro) Barbarossa, tesa a costringere l'Asburgo a cedere ai transalpini parte dei territori italiani sotto la sua influenza più o meno diretta. Per queste e altre ragioni è altrettanto chiaro, per Giovio, che Clemente lascia un'eredità politica assai complicata e difficile, al pari dei suoi predecessori.

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Al servizio della famiglia Farnese: i rapporti con le corti italiane e l'Impero nel periodo di preparazione al Concilio

Nel 1534, alla morte di Clemente VII, e con la successiva scomparsa a breve del cardinale Ippolito de' Medici, Giovio viene a trovarsi in una difficile posizione, non godendo più dell'appoggio dei potenti protettori. Dapprima cerca di ottenere il pagamento di una pensione che Francesco I, durante il soggiorno a Marsiglia, gli aveva prospettato. Alla fine rimane al servizio della corte del nuovo papa, Paolo III, il quale «...in gioventù era stato allievo di uno dei più famosi umanisti della scuola romana, e dunque condivideva con il vescovo-scrittore una parte dello stesso percorso intellettuale.» Con abilità, ma non meno convinzione, riesce dunque a entrare nella cerchia del sedicenne cardinale Alessandro Farnese, nipote dell'omonimo principe della Chiesa da poco nominato pontefice, di cui l'esperto cortigiano diviene ben presto ascoltato consigliere. In ciò gli è di grande aiuto la sua rara e profonda conoscenza degli ambienti diplomatici europei, con cui il giovane prelato deve imparare a relazionarsi. Con non meno convinzione, si diceva, perché Giovio, non si lega alla famiglia Farnese solo per opportunismo, ma spera, con ragione fondata che il nuovo Pontefice riprenda con forza la politica filo-imperiale abbandonata dal suo predecessore, così come si augura che egli si adoperi per la riunificazione religiosa della Chiesa e del mondo cristiano, promuovendo il tanto atteso concilio ecumenico. Riconciliazione che appare palesemente sempre più ardua, giudicata con pessimismo da molti, tra cui Giovio, sebbene venga ritenuta la condizione indispensabile per il rilancio della lotta contro i Turchi, che si profilano sempre più come una concreta e forte minaccia (come detto, le pressioni esercitate dagli Ottomani nel Mediterraneo a partire dal 1520 e sui confini orientali del Sacro Romano Impero, dopo la fallita crociata clementina, si intensificano notevolmente in questo periodo, grazie all'azione di flotte di pirati e alla lenta erosione di territori nell'est europeo che porterà, nell'estate del 1541 all'invasione dell'Ungheria da parte di Suleyman II, detto il Legislatore o il Magnifico).

Animato da queste convinzioni, e sempre in cerca di una collocazione più stabile, sono diverse le occasioni in cui l'umanista comense si trova coinvolto in vicende cruciali della seconda metà degli anni trenta. Durante l'inverno del 1534, per conto dell'imperatore accetta di svolgere una sorta di operazione di intelligence, in vista di una spedizione militare che Carlo sta progettando contro Tunisi; campagna che si prefigge lo scopo di arginare le conseguenze dell'alleanza franco-turca e rintuzzare le azioni dei corsari barbareschi che hanno base nella città nordafricana e da essa colpiscono con frequenti scorrerie le coste italiane. A tal fine "Giovio raccolse quante più informazioni possibili leggendo il leggibile e interrogando molti viaggiatori e altrettanti mercanti". Come è noto, la spedizione imperiale ha successo e, dopo aver messo un suo rappresentante al potere a Tunisi, Carlo V nell'agosto del 1535 rientra a Napoli, accolto come un trionfatore.

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Nella città partenopea si trova anche lo studioso comense, il quale riesce ad avere un colloquio diretto con l'Asburgo, dal quale ricava moltissime informazioni utili per la stesura del suo resoconto sulla crociata tunisina Nel frattempo, la scomparsa del duca di Milano Francesco II Sforza, nel novembre del 1534, si rivela un ulteriore elemento di incertezza per le ambizioni di carriera di Giovio, così come riduce le speranze dello scrittore nelle possibilità di pacificazione della situazione italiana, in quel momento saldamente sotto l'influenza dell'Asburgo, ma ottenuta al di fuori di un accordo stabile con il Re di Francia che non ha per nulla rinunciato alle sue pretese sui territori della Penisola. In questi anni Giovio si trova spesso al seguito di Paolo III nei suoi incontri con Carlo V ", per esempio a Nizza nel 1538 (dove il papa svolge il ruolo di mediatore per trovare una soluzione al conflitto che oppone il re di Francia Francesco I all'Imperatore a Lucca nel 1541, (durante il passaggio in Italia dell'imperatore intenzionato a organizzare una spedizione militare contro Algeri) e a Busseto nel 1543 (dove il Papa chiede, ma non ottiene dall'imperatore, l'assegnazione del Ducato di Milano per il nipote Ottavio e la città di Siena al figlio Pier Luigi). Dal 1535 al 1541, Giovio è membro della Congregazione dei deputati per la fabbrica di San Pietro e, pur assentandosi da Roma piuttosto spesso, assolve con impegno alle mansioni previste da questo incarico.

Il deterioramento dei rapporti con i Farnese

Tuttavia, nonostante il prestigioso ruolo assegnatogli, nello stesso periodo, le aspettative politiche dell'umanista verso il nuovo Papa vengono sostanzialmente disattese e i suoi rapporti con il Pontefice si raffreddano progressivamente. Le cause di questo deterioramento sono molteplici. In primo luogo, influisce in modo considerevole l'atteggiamento di nepotismo assoluto e la posizione filo-francese per interessi di famiglia tenuta dal Farnese nel complesso scacchiere politico-diplomatico europeo, sconvolto dai movimenti religiosi riformatori e da accese rivalità tra Francia e Impero, sul quale la minaccia ottomana ha riflessi determinanti. Una collocazione strategica su cui poco influirà, almeno ai fini di una riconciliazione vera con il potere imperiale, l'invio di truppe papali (12.000 uomini al comando di Ottavio Farnese) a sostegno della campagna militare di Carlo V contro la Lega di Smalcalda, con la quale, dopo la dieta di Spira del 1542, l'imperatore giunge allo scontro aperto.

Un aiuto che il Papa concesse soprattutto per ottenere dall'imperatore l'appoggio per assicurare il successo al Concilio ecumenico, già convocato a Trento nel 1542, con la Bolla Laetare Jerusalem, ma con scarsi esiti partecipativi, fortemente voluto da Paolo III e altrettanto osteggiato, a suo tempo da Clemente VII e obbligare i protestanti, che nel 1545 avevano indetto un loro Concilio a Worms, a parteciparvi, piuttosto che per un tentativo di riappacificazione strategica con Carlo V. Una seconda ragione, risiede certamente nelle strette frequentazioni di Giovio con gli esponenti più in vista della fazione filo-imperiale. A partire dal 1536, l'umanista progetta la costruzione di una villa pliniana a Borgovico, nelle vicinanze di Como, da adibire a Museo, in cui ospitare la sua immensa collezione di ritratti di uomini illustri (da cui trarrà la "materia" per la stesura degli Elogia). Un luogo che egli identifica "non semplicemente come oraziano angulus (...) ma come templum Virtutis, come complesso apparato simbolico e sistema mnemonico".

Fonte: Wikipedia, l'enciclopedia libera

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