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Paolo Giovio
(✶~1483   †1552)

Lo stesso anno, uno dei capi della Riforma, lo svizzero Ulrico Zwingli viene ucciso, nell'ottobre, durante la battaglia di Kappel, vinta dai cantoni cattolici svizzeri su quelli protestanti. Inoltre, il movimento luterano investe con forza i paesi nordici europei (Paesi Bassi e Scandinavia), mentre soprattutto il calvinismo si diffonde anche in Inghilterra. In questo periodo i rapporti tra il sovrano inglese Enrico VIII, che pure si era guadagnato dal Papa il titolo di Difensor Fidei nel 1521 divengono tesi per l'ipotesi di annullamento (grazie all'intervento spagnolo) della Bolla pontificia con cui si autorizzava lo scioglimento del matrimonio del re con Caterina d'Aragona, dalla quale non aveva avuto figli, per consentirgli di sposare Anna Bolena; così come si raffreddarono quelli con Carlo V, di cui la stessa Caterina era la zia. In questo clima di tensioni religiose e politiche che scuote l'Europa cristiana divisa da un ormai insanabile frattura e attraversata dall'inizio di una crisi monetaria e inflativa di notevoli proporzioni (dovuta al riversarsi "incontrollato" sui mercati dell'oro e dell'argento spagnolo provenienti dal Centro-Sud America, dove la conquista procede a ritmi rapidissimi), si assiste al consolidamento delle piazzeforti ottomane nei Balcani e nell'Adriatico, a danno di Venezia e dell'Impero, così come prosegue l'espansione turco-araba verso il cuore dell'Africa.

È soprattutto la minaccia rappresentata dagli Ottomani, acuita dalle divisioni nell'Occidente cristiano, su cui si appunta l'interesse di Giovio in questo periodo, indagata dall'umanista con grande attenzione e affrontata da posizioni analitiche piuttosto originali. L'atteggiamento di apertura culturale verso altri "mondi", che l'umanista viene maturando dalla metà degli anni venti, è confermato, infatti, dalla stesura tra il 1530 e il 1531 (la pubblicazione è dell'anno successivo) del Commentario delle cose de' turchi dedicato a Carlo V, cogliendo in parte l'occasione di una crociata che Clemente VII decide di bandire nel 1531, dopo l'assedio ottomano di Vienna. Si vuole che, anche grazie a questo scritto, "l'imperatore nomini Giovio conte palatino, consentendogli la facoltà di aggiungere le colonne d'Ercole allo stemma di famiglia per i servizi resi alla causa imperiale così come per la sua posizione nei confronti del papa e per la sua nascente reputazione di storico contemporaneo" Questo scritto "pone in luce non solo quanto fosse eccezionale la conoscenza gioviana della politica turca - ben al di sopra dei comuni livelli di consapevolezza dell'epoca - ma anche l'equanimità del suo giudizio nell'elogiare le qualità che rendevano i Turchi antagonisti tanto temibili. Sarà anche stata, la sua, una conoscenza funzionale all'esigenza di combatterne meglio l'avanzata: resta che da nessun autore della prima metà del Cinquecento essi si videro tributare un'attenzione rispettosa e uno sguardo penetrante nelle loro istituzioni di lunga durata, quanto da Giovio".

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"Frutto di 'lunga et singular diligentia nel raccogliere su di loro notizie dalle fonti più diverse, dirette (mercanti, soldati o girovaghi) o indirette (corrispondenze e relazioni)" l'opera è redatta in lingua volgare. In essa l'analisi della storia e dei costumi di questo popolo permette allo studioso di concludere che il pericolo da esso rappresentato non è per nulla fantasioso, ma anche affrontabile. La decisione di Carlo V di aderire alla crociata contro i turchi comporta per Giovio, che nel frattempo si era trasferito a Como nella primavera del 1532, dedicandosi soprattutto al progetto di realizzare, sulla base di una suggestione letteraria, un'adeguata collocazione fisica per la collezione di immagini, nonché di motti e di imprese, che nel frattempo aveva raccolto,in cui ritirarsi una volta lasciati i propri uffici, di recarsi in Germania. Egli viene chiamato a far parte della delegazione che il pontefice invia all'imperatore per consegnarli il tributo di 50.000 ducati a sostegno della campagna militare contro gli Ottomani.

L'intraprendenza del cardinale Ippolito de' Medici «che intendeva sperimentare personalmente il valore dei suoi soldati», porta Giovio a trovarsi coinvolto direttamente nella spedizione militare contro l'esercito della Sublime Porta. Nel frangente "lo scrittore si trovò nella condizione di un moderno corrispondente di guerra" "La campagna militare viene descritta da Giovio nei minimi particolari, anche se, come sempre, emergono soprattutto le annotazioni sulle persone, la tendenza a identificare il racconto con la storia dei protagonisti" Il resoconto della crociata, sostanzialmente fallita, occupa per intero il libro XXX delle Historiae.

L'epilogo del papato di Clemente VII: lo scisma anglicano e il riavvicinamento alla Francia

Al termine della campagna militare contro gli Ottomani, Carlo V e il pontefice si incontrano nuovamente a Bologna nell'inverno del 1532, dove i colloqui si protraggono fino al febbraio del 1533. La reciproca diffidenza non consente il ripetersi dell'intesa verificatasi nel 1530. Clemente chiede di ottenere il controllo sulla città di Modena e Reggio Emilia, senza successo. La conseguenza è quella di spingere il papa a conseguire apertamente una rinnovata intesa con Francesco I di Francia, concedendo in sposa Caterina de' Medici al secondogenito del re transalpino, Enrico duca di Orleans. Di fronte a questa iniziativa diplomatica, l'imperatore, che aveva bisogno dell'appoggio del papa per poter realizzare una pacificazione con i Protestanti, non solleva soverchie obiezioni. Tuttavia, ancora una volta, il pontefice, invece di convocare il tanto atteso Concilio, tenta di rabbonire Carlo, aderendo a una delle sue richieste, ovvero dando corso all'annullamento ufficiale del divorzio tra Caterina d'Aragona e il re inglese Enrico VIII, che nel frattempo aveva sposato nel, gennaio 1533, Anna Bolena, che con questo atto viene scomunicato.

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Questa presa di posizione del Pontefice, è giudicata assai negativamente da Giovio, che " vi scorse la solita incapacità di Clemente di prevedere le conseguenze delle proprie azioni". In effetti, come prefigurato da Giovio, la reazione della Corona inglese porterà all'approvazione, il 3 novembre 1534, da parte del Parlamento inglese del Supremacy Act. Provvedimento fortemente voluto da re Enrico per diverse ragioni: non solo il definitivo annullamento papale del divorzio con la precedente moglie, ma anche per la preoccupazione politica del re per la diffusione dei movimenti riformati nel territorio britannico e, non ultimo, per i problemi legati alla successione al trono della dinastia Tudor, non avendo il sovrano ancora avuto eredi maschi. L'atto con cui si riconosce il re come capo supremo della chiesa nazionale, rafforzato subito dopo dall'approvazione parlamentare del Treason Actcollegamento interrotto, che prevede l'accusa di alto tradimento per chi non riconosca la nuova autorità religiosa del sovrano sancisce di fatto la rottura tra Roma e la Corona inglese (sebbene Enrico rimanga temporaneamente pro forma ancora un re cattolico), originando un vero e proprio scisma religioso e la conseguente nascita della Chiesa anglicana. Nel corso dei colloqui bolognesi, "la corte papale venne a conoscenza di un'ambasceria etiopica presso la corte portoghese, che risvegliò in molti la curiosità per il mitico regno cristiano medievale del Prete Gianni. Le notizie riportare dai viaggiatori "suscitarono molta curiosità in Giovio, che nel libro XVIII delle sue Storie, diede una descrizione accurata dell'Etiopia, accurata, anche se ricca di elementi ancora un po' fantastici come la leggenda dell'unicorno". Al termine degli incontri tra Clemente e l'imperatore, in cui si rinnova il patto di alleanza tra il capo della Chiesa romana e Carlo V, il pontefice fa ritorno con la propria corte a Roma, dove Giovio rientra in aprile.

Nel successivo mese di settembre, al seguito della corte pontificia, Giovio si trova a Marsiglia, dove si celebrano le nozze tra il figlio di Francesco I e Caterina de' Medici. In questa città, "continuando nella sua spregiudicata diplomazia a due velocità" Clemente incontra il re di Francia. "Gli scritti dello storico comasco non consentono certo di schierarlo fra i partigiani di una politica filofrancese, tuttavia lo spirito d'indagine e la curiosità di quei giorni permisero a Giovio di valutare positivamente la personalità di Francesco I, che volle conoscere personalmente, anche per chiedergli diretta testimonianza della battaglia di Pavia". Durante il viaggio di ritorno Giovio si ammala e si espone al rischio di un naufragio. Riesce a riparare presso alcuni conoscenti ad Albenga e finalmente rientrare a Como nel mese di dicembre. "Il ritorno in patria fu un evento per la città e la famiglia, che, invece, del giovane medico che avevano lasciato più di dieci anni prima, riconobbero un importante uomo di mondo. Il soggiorno lariano gli riservò più di una soddisfazione, vide come erano stati ampliati i locali della residenza di famiglia, lesse la storia di Como, completata in quegli anni dal fratello cui sottopose i manoscritti della sua storia universale, e apprezzò i tentativi del rinnovato dominio sforzesco nel ripristinare, dopo anni di occupazione militare, il naturale svolgersi della vita economica e civile".

Fonte: Wikipedia, l'enciclopedia libera

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