Quattro chiacchiere con il signor Zaffíro
Incontriamo il sig. Zaffíro negli studi di una televisione privata: sta per essere venduto all’asta a un prezzo che egli non ritiene “adeguato” alla sua persona.
Ma non è questo che lo irrita tanto, quanto il fatto che la maggior parte delle persone (anche quelle “acculturate”) pronunciano il suo nome in modo errato: con l’accento sulla ‘a’ anziché sulla ‘i’.
Ciò lo rende nervoso e scostante, ma vista la nostra garbata insistenza accetta di riceverci.
- Allora, signor Zàffiro, mi scusi Zaffíro, ha fatto una ricerca particolare sul suo nome? Come mai si irrita se la chiamano Zàffiro, con l’accento sulla ‘a’?
- Lei al mio posto che farebbe? Accetterebbe con serenità il fatto che tutti, o quasi, pronunciano in modo scorretto il suo nome? Non si sentirebbe offeso vedendo calpestata la sua “personalità”?
- Ci parli della sua ricerca. Perché la pronuncia corretta è piana, ossia con la ‘i’ tonica, vale a dire accentata?
- Come lei certamente saprà, la maggior parte dei vocaboli della nostra lingua sono piani; ma non è questo il “vero” motivo: la mia discendenza è nobile vengo, infatti, dalla lingua classica, dall’aristocratico latino “sapphírus”, con tanto di ‘i’ lunga che in italiano si deve sentire e, per questo, deve essere accentata nella pronuncia. Naturalmente nella lingua parlata, non in quella scritta. Per essere estremamente chiaro aggiungerò che il latino “sapphírus” non è altro che l’adattamento del greco “sàppheiros” derivato, a sua volta, dal semitico “sappír”.
- Se può esserle di consolazione, sappia che altri signori, al pari di lei, vedono il loro nome “storpiato”: il verbo ‘valutare’, per esempio. Tutti dicono io vàluto e non valúto, con l’accentazione sdrucciola invece di quella corretta piana.
- Sí, lo so. Ho fondato un’associazione cui possono iscriversi tutti coloro che ritengono errata la pronuncia del proprio nome. Lo scopo è quello di sensibilizzare la gente sul problema dell’esatta pronuncia delle parole.
- Può prendersi la responsabilità di spiegarci il motivo per il quale il signor Valutare, durante la sua coniugazione, deve avere l’accentazione piana?
- Senz’altro. I motivi sono due. Il primo, che potremmo definire “logico”, si richiama all’accentazione dell’infinito: se un verbo, all’infinito, ha l’accentazione piana non si capisce perché deve cambiarla nel corso della coniugazione. Questa regola, però, ha le sue brave eccezioni che in questa sede non è il caso di citare. L’altro motivo è rappresentato dal fatto che un verbo conserva l’accento che ha il sostantivo corrispondente. Questa semplice regoletta è molto piú “sicura” della precedente. Qualche esempio renderà tutto piú chiaro. Il sostantivo corrispondente del verbo valutare è la valúta (moneta). Diremo, quindi, io valúto perché si dice la valúta, non la vàluta. Io dèrogo perché si dice la dèroga e non la deròga. Da ricordare, inoltre, che in linea di massima un verbo composto mantiene l’accento del verbo sul quale è formato.
- La ringraziamo per la sua gentilezza e per le sue preziosissime delucidazioni.
- Mi consenta ancora due parole.
- Prego…
- Perché nei casi dubbi la gente non ricorre all’ausilio di un buon vocabolario?
- Ha perfettamente ragione.
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