Ma che bello schifo!
Il nostro idioma, gentil sonate e puro, per dirla con l’Alfieri, è ricco di parole omofone (stesso suono) e omografe (stessa grafia) ma di significato diverso. Una di queste è lo schifo: ripugnanza, ribrezzo e battello di piccole e modeste dimensioni.
Il primo significato, vale a dire quel senso di ripugnanza, nausea, disgusto, ci riporta al verbo schifare (schivare, evitare). E questo al francese antico eschif che risale al francone skiuhjan (aver riguardo). Colui che ha nausea di una determinata cosa ne ha riguardo, quindi la evita, la schiva.
La seconda accezione del termine, quella di battello, scialuppa, si rifà al longobardo Skif (battello). È interessante, in proposito, notare quanto scrive C.A. Mastrelli:
«Si farà ora accenno sorprendente dell’influsso dei Longobardi (sulla lingua italiana, NdR); sorprendente perché mostra l’incidenza che essi hanno avuto anche per un settore della lingua, e quindi per un aspetto storico-culturale , che poteva non apparire tipico del mondo germanico.
Infatti nei dialetti italiani si riscontra un piccolo manipolo di termini che hanno a che fare con le attività connesse all’acqua (...). Sotto questo profilo si chiariscono forse i prestiti skif, imbarcazione, scafo (...) che vedono i Longobardi, o le popolazioni longobardizzate, impegnati anche nella navigazione specialmente fluviale e lagunare, in un ambito geografico nel quale essi si trovavano ai margini della sfera di influenza bizantina».
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