Pericolo di sopravvivenza
I lettori che ci onorano di seguirci con assiduità e affetto sanno benissimo che nelle nostre noterelle grammaticali o linguistiche non risparmiamo colpi a nessuno, grandi firme comprese, quando notiamo che ciò che scrivono cozza contro le leggi grammaticali o contro il buon senso linguistico. La carta stampata ci ha abituati, ormai da tempo immemorabile, a leggere madornali marronate, ma noi non ci stiamo e le denunciamo.
Giorni fa, un quotidiano locale (che non citiamo per amor di patria) riferiva, nella cronaca cittadina, di un incidente automobilistico in cui le persone coinvolte erano state tutte ricoverate all'ospedale civico in pericolo di vita.
Se fossimo stati al posto di quei poveretti avremmo fatto tutti gli scongiuri possibili e immaginabili: il cronista — stando alla lingua — aveva scritto che sussiste il pericolo che possano vivere, quindi debbono morire. Ci spieghiamo meglio.
Pericolo di vita — se si conosce un pochino la madre lingua — significa pericolo di sopravvivenza, pericolo che (si) possa vivere. Si deve dire, per tanto, pericolo di morte, non di vita.
Sui tralicci dell'alta tensione i cartelli che indicano il pericolo recano scritto, infatti, pericolo di morte, non pericolo di vita. O siamo in errore?
Alcuni pseudolinguisti sostengono che pericolo di vita è la forma ellittica di pericolo di (perdere la) vita. Ci sembra un'aberrazione linguistica. Ma tant'è.
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