Dare una stangata (o essere stangato)
Il ragionier Piombini era fuori di sé: aveva appena appreso che il suo collega di stanza sarebbe stato promosso al grado superiore; mentre lui, più anziano, era fermo al settimo livello.
Era invidioso, quindi, e trascorreva le giornate pensando a come poter stangare il suo “amico”, vale a dire a quale ostacolo frapporre per impedirgli l'avanzamento di carriera. Un giorno fu sorpreso dal figlio mentre ad alta voce diceva fra sé e sé: “devo dargli una stangata, devo dargli una stangata”.
Il figlio corse nel ripostiglio, prese una stanga di legno e, con aria trionfante, la porse al padre: «Ecco la stanga, papà, puoi toglierti la soddisfazione». Ci volle tutta la pazienza del padre per convincere il figliolo che egli intendeva dire una stangata metaforica.
«Donde viene, allora, questo modo di dire?», chiese con evidente interesse il giovinetto. «Innanzi tutto — cominciò il padre — essere o venire stangato significa ricevere un colpo, in senso figurato, da cui è molto difficile risollevarsi; subire un rovescio di fortuna; essere fermato da un ostacolo o da un provvedimento che taglia le gambe in una determinata attività.
Per esempio, tuo fratello ha ricevuto una stangata a scuola perché è stato bocciato; la stangata, vale a dire la bocciatura, è l'ostacolo che non ha permesso a Giulio di essere ammesso alla classe superiore».
L'espressione si rifà a un'usanza antica: un tempo nei magazzini dei mercanti che dichiaravano il fallimento si inchiodava una piccola stanga di legno, con i bolli dell'ufficio preposto, per indicare che erano stati chiusi al commercio, di conseguenza i mercanti avevano cessato l'attività.
Di qui, per l'appunto, l'uso figurato dell'espressione.
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