Cappottare
Le cronache dei giornali ci hanno abituato, purtroppo, a convivere con un bruttissimo barbarismo: cappottare. Leggiamo, sovente, frasi del tipo: «l’automobile, dopo il pauroso scontro, si è cappottata e tutti gli occupanti sono deceduti sul colpo». Premesso che non vorremmo mai leggere notizie di questo tenore, vogliamo spendere due parole sull’origine e sull’uso di questa orribile... parola.
Innanzi tutto è un francesismo e in quanto tale in buon italiano non si dovrebbe adoperare. Ci sono termini italianissimi che fanno alla bisogna: capovolgere e ribaltare. Il francese capoter, da cui l’italiano cappottare, è un termine di origine marinaresca e sta a indicare il rovesciarsi di una nave. Dalle navi il vocabolo è passato, consolidandosi, al linguaggio automobilistico e aeronautico.
Se proprio lo si vuole adoperare lo si usi, almeno, con una sola p: capottare. Così facendo si ferisce una sola lingua, non due. Cappottare, a nostro modo di vedere, è un termine ibrido: né francese né italiano.
Dimenticavamo una cosa ancora più importante: il suo ausiliare naturale è avere (non essere); l’auto ha capottato. Perché? Perché come tutti i verbi che indicano un moto fine a sé stesso si deve coniugare con l’ausiliare avere.
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