Sia... sia o sia... che?
Il linguista di un quotidiano in rete ha ricevuto questo quesito postogli da un lettore: «Mi è sempre stato indicato come improprio l'uso della coordinativa correlativa sia... che, a favore della forma corretta sia... sia. Spesso mi capita di leggere, forme come questa: L'informazione riflette la varietà ambientale [...], nella sua capacità di comprendere in sé sia selezione che rinvio. Mi chiedo se questa forma (sia... che) sia da considerarsi errata, oppure venga considerata come variante consentita. Ho consultato alcune grammatiche, che non portano però esempi a riguardo».
L’esperto ha così risposto: «Sono varianti consentite: il loro uso dipende per lo più dal gusto e dall'orecchio di chi scrive».
La risposta del linguista è formalmente corretta. Sarebbe bene, però, non incoraggiare la diffusione del sia... che perché, come scrive Luca Serianni, accademico della Crusca, nella sua Grammatica Italiana: «(...) La correlazione è ottenuta col congiuntivo presente del verbo essere, usato con valore concessivo. Il che al secondo membro, piuttosto diffuso e ormai accettato anche dai grammatici tradizionalisti (...), talvolta potrebbe ingenerare confusione, specie in periodi complessi (...)».
Accettato, tradotto, significa tollerato. La sola forma grammaticalmente legittima è, dunque, sia... sia. Questa locuzione correlativa sta per tanto... quanto, e... e; il secondo sia può essere sostituito da o, ossia, giammai da che, con cui non può evidentemente stare in correlazione: sia noi sia voi; sia noi ossia voi.
È giusta, corretta, invece la locuzione sia che... sia che: sia che partiate, sia che restiate.
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