L'apostrofo in fin di rigo?
Molti amici lettori ci hanno scritto per conoscere la verità circa la correttezza dell’apostrofo in fin di rigo (o riga). Le grammatiche tacciono sull’argomento e gli insegnanti si rifanno alle... grammatiche. Alcuni docenti, anzi, sono categorici: mai l’apostrofo in fin di rigo! E così assistiamo impotenti a dei veri e propri sconci linguistici: lo / uovo; la / uva; lo / ordine; del / l’ignoranza e simili.
No, gentili signori, in fin di rigo si può, anzi si deve mettere l’apostrofo (quando è necessario, ovviamente). Per la verità la polemica sulla correttezza dell’apostrofo in fin di rigo non si è mai spenta da quando – seicento anni fa – l’umanista Pietro Bembo introdusse questo segno ortografico e il celeberrimo tipografo Manunzio lo diffuse attraverso la stampa.
Le grammatiche, come abbiamo detto, non trattano l’argomento e se lo trattano non sono chiare. L’idea, quindi, di non apostrofare con l’a capo – secondo alcuni autorevoli glottologi – è stata partorita dal cervello di qualche tipografo preoccupato solo di riempire la riga (quando la stampa era a caldo, cioè le righe erano pezzi di piombo fuso).
L’abuso, così, si impose e fu accolto da alcuni grammatici con la scusa che un vocabolo terminante con l’apostrofo non è pronunciabile autonomamente ma solo unito alla parola seguente. Nulla di più pretestuoso e falso.
Quante parole senza apostrofo si spezzano per andare a capo? Amici, apostrofate pure in fin di rigo, nessuno che ami la lingua vi potrà tacciare di ignoranza linguistica.
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