Il linguaggio iperbolico
L’iperbole, leggiamo dal Gabrielli, è «un traslato che consiste nell’esagerare in eccesso o in difetto una cosa allo scopo di dare un netto ed efficace risalto all’espressione». Di iperboli è pieno il parlar comune: sono stanco da morire. Vogliamo fare, in proposito, alcune considerazioni.
Nel linguaggio parlato e saporito del popolo ci è dato cogliere espressioni iperboliche veramente efficaci, come, per esempio, è un secolo che ti aspetto; tremo come una foglia; magro come uno stecchino; è un matto da legare e il classico affogare in un bicchier d’acqua.
Il linguaggio iperbolico, però, diventa un artificio stilistico se adoperato dai poeti e dagli scrittori come mezzo espressivo di effetto particolare. Bellissimo il verso del divino Dante «parea che l’aere ne temesse», a proposito di un leone che avanza verso di lui con fame rabbiosa.
Questo parlare per iperboli, però, può essere ammesso e consentito in poesia, nella quale la voce del sentimento è talmente intensa e imperiosa da non trovare affatto disdicevoli certune esagerazioni di linguaggio; può essere avvertito di frequente sulla bocca del popolo e dei giovani che per loro natura sono portati agli eccessi anche nel parlare; è inconcepibile — a nostro modo di vedere — negli scritti in prosa.
Il parlare per iperboli dunque — a nostro avviso — non deve essere una costante negli scritti in prosa, credendo, così, di catturare l’attenzione dei lettori.
Questo consiglio è rivolto soprattutto ai giovani studenti, in questi giorni impegnati con gli esami di Stato: evitate il linguaggio iperbolico nei vostri componimenti. Ciò andrà a tutto vantaggio della scorrevolezza del vostro pezzo.
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