Il passato sigmatico
Da un sondaggio svolto fra parenti, amici e conoscenti — scelti tra le persone non sprovvedute in fatto di lingua — ci risulta, con immenso stupore, il fatto che nessuno ha mai sentito parlare del passato o perfetto sigmatico.
Abbiamo detto di essere rimasti stupiti, ma... sotto sotto ce lo aspettavamo, perché è uno di quegli argomenti che le grammatiche ignorano o riservano — quando lo trattano — ai soli addetti ai lavori. Ciò è un male — come andiamo predicando da tempo — perché la lingua è di tutti e tutti debbono avere l'opportunità di conoscerne i segreti al fine di migliorare la propria conoscenza glottologica. Ma tant'è.
Cos'è, dunque, questo perfetto sigmatico? Diciamo subito, a scanso d'equivoci, che non ha nulla in comune con il sigmatismo, termine medico con il quale si indica il difetto che alcuni mettono in evidenza nel pronunciare la consonante S.
Il passato o perfetto sigmatico — dalla lettera sigma dell'alfabeto greco, corrispondente alla nostra S — è un tempo dei verbi irregolari in cui la prima persona singolare termina in -si e parte si rifanno al latino come misi, parte sono frutto di analogie latino-volgari, come risposi, coniato sul modello del latino volgare responsi in luogo del classico respondi, per attrazione del supino responsum (il responso non vi dice nulla?); parte ancora per assimilazioni delle consonanti, come nel caso di dissi, dal latino dixi, in cui la consonante X è stata assimilata dalla S.
E sempre a proposito del perfetto sigmatico, riteniamo utile ricordare che il passato remoto apparsi è desueto ma non scorretto, come sostengono alcuni soloni della lingua. Come pure non sono errate le forme apparii, apparì e apparirono, adoperate da Giovanni Pascoli: «Bianca bianca nel tacito tumulto / una casa apparì sparì d'un tratto» (Il lampo, 4-5).
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