L'affezione

Il cortese lettore A. L. di Nuoro si domanda e ci domanda se esista una relazione etimologica tra l’affezione intesa come «stato morboso, patologico» (affezione intestinale, per esempio) e quella intesa come «affetto, tenerezza, disposizione positiva (verso qualcuno), sentimento».
Questo stesso termine, insomma, come può indicare due concetti apparentemente in antitesi? Esiste, quindi, una relazione etimologica tra le varie accezioni del termine che ha permesso, appunto, una divaricazione semantica del vocabolo?
Certamente, gentile amico. Lo stesso quesito ci è stato posto da un altro lettore qualche mese fa, ma lo riproponiamo. L’affezione è, dunque, il latino affectione(m), un derivato di afficere, composto con ad e facere (toccare, impressionare, influire).
Nel primo caso, per tanto, l’affezione tocca, impressiona, influisce sul nostro corpo determinando uno stato morboso, patologico (affezione intestinale, appunto); nel secondo caso l’affezione impressiona, tocca, influisce sul nostro spirito, sul nostro animo dando vita a quel «sentimento di viva benevolenza, attaccamento a una persona o a una cosa».
Da notare, a questo proposito, che l’affezione intesa come sentimento esprime minore intensità che affetto, quantunque abbiano in comune la medesima origine. Nei confronti di una persona, insomma, è meglio nutrire un certo affetto che non una certa affezione, anche per non dare adito a... equivoci semantici.

14-12-2015 — Autore: Fausto Raso