Interrogative fàtiche e diffratte
Riprendendo il nostro viaggio attraverso il gergo linguistico ci imbattiamo in un termine relativamente recente, coniato dall’antropologo polacco-americano B. Malinowschi (1884-1942), fàtica, con il quale si intende quella particolare funzione che talvolta presenta il linguaggio verbale, non nel comunicare e chiedere informazioni, bensì nello stabilire o mantenere un contatto fra due persone (locutore e destinatario).
Hanno tale funzione, per esempio, le frasi interrogative fàtiche (o di cortesia): Pronto, come sta?, mi sente?, come va? con cui si avvia una conversazione telefonica o un dialogo in ascensore. Il termine non ha nulla che vedere con la fatica (latino: fatìga) vale a dire con lo sforzo fisico o mentale che si sostiene nel compiere un lavoro e che mette a dura prova le nostre energie; la fàtica linguistica viene dal vecchio verbo latino fari (parlare, pronunziare).
Come abbiamo scritto più volte molti sacri testi ignorano il gergo linguistico che, al contrario, deve essere portato a conoscenza di tutti coloro che amano il bel parlare e il bello scrivere. Le frasi interrogative fàtiche (o di cortesia), dunque, strettamente imparentate con le interrogative retoriche la cui risposta è insita nella domanda, consistono — come abbiamo visto — in formule (di cortesia) che ricorrono in apertura di dialogo, per rompere il ghiaccio, soprattutto in situazioni formali, come va?; anche lei qui?; ha visto che tempo?; è già tornato?.
Nel primo esempio l’interrogativa fàtica verte su un dato che non si conosce (come va?), non si conosce, cioè, lo stato di salute dell’interlocutore (per questo motivo è detta anche di cortesia in quanto è una formalità). Negli altri casi l’interrogativa fàtica è una banalità perché la risposta è implicita nella domanda stessa (ecco la somiglianza alle interrogative retoriche, anche se queste sono, molto spesso, di forma negativa).
E sempre in tema di proposizioni interrogative come non accennare a quelle che adoperiamo tutti i giorni, inconsciamente, e che in gergo si chiamano interrogative diffratte? Quando le usiamo, dunque? Soprattutto quando ci troviamo a tavola, per esempio, e rivolgendoci a un nostro commensale diciamo: Mi passeresti, per cortesia, il pane?.
Questa interrogativa è chiamata — come dicevamo — diffratta, termine mutuato dall’ottica (diffrazione)(*) e ripreso dalla critica testuale con il quale si intende qualificare quelle proposizioni interrogative totali che ‘deviano’ il loro corso e dissimulano il contenuto reale della domanda per motivi di mera cortesia. Ci spieghiamo meglio. Dicendo mi passeresti il pane? formuliamo una domanda che equivale a un ordine (passami il pane!) deviando, quindi, il vero senso della richiesta.
La diffrazione, infatti, senza entrare in un campo che non ci compete e non conosciamo molto bene, non è, grosso modo, una deviazione?
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