Essere come il latte di gallina
Questa locuzione di uso raro — probabilmente sconosciuta ai più — si adopera quando si vuol mettere in particolare evidenza il fatto di essere in possesso di una cosa rarissima, praticamente introvabile e, sempre in senso figurato, si definisce latte di gallina un cibo o una bevanda squisita e molto rara.
Il modo di dire era già in uso nel mondo classico; lo si trova, infatti, in Aristofane che definisce latte di gallina (c'era anche la variante latte di pavone) una cosa molto ambita, rara e preziosissima.
Da questa espressione è nata — per la cronaca — una bevanda simile allo zabaione, composta di latte, uova e zucchero — chiamata, appunto, latte di gallina — cui si può aggiungere dell'acquavite o del vino secco. Ma non è finita.
Hanno lo stesso nome una diffusa pianta selvatica della famiglia delle Gigliacee, con fiori bianchi disposti a ombrello, e un ottimo decotto di crusca.
Essere e avere: il loro uso corretto
I verbi essere e avere hanno una coniugazione propria (non appartengono alla prima coniugazione, né alla seconda né alla terza) e sono chiamati verbi ausiliari perché sono di aiuto agli altri verbi per la coniugazione dei tempi composti; molto spesso, però, siamo in dubbio su quale dei due ausiliari adoperare.
Non è possibile stabilire una regola precisa, è indispensabile, quindi, consultare un buon vocabolario.
Possiamo dire però, in linea di massima, che l'ausiliare essere si adopera con i verbi impersonali, con i riflessivi e per la forma passiva dei verbi transitivi.
Avere, invece, si usa con i verbi intransitivi che indicano un movimento o moto fine a sé stesso (ho volato, ho camminato, ho corso), con quelli intransitivi che indicano un'attività dello spirito e del corpo (ho pensato, ho dormito) e per formare i tempi composti di tutti i verbi transitivi (ho letto una poesia).
Da notare, a margine di queste noterelle, che l'uso dell'uno o dell'altro ausiliare fa cambiare il significato al verbo principale: ho mancato (ho commesso una colpa), sono mancato (non ero presente).
Guardare
Due parole sulla corretta grafia dei sostantivi composti con il verbo guardare: guardacaccia (e simili). Molti ritengono, erroneamente, che i nomi di questo tipo sono formati con “guardia" e “caccia" e scrivono, per tanto, guardiacaccia. No, assolutamente, la vocale i, al centro della parola, è abusiva.
Si tratta di un nome composto con un verbo (guardare) e un sostantivo (caccia). Diremo e scriveremo, quindi, guardacaccia, guardaspalle, guardalinee, guardaportone, guardaparco, guardafilo e via discorrendo.
La sola eccezione dovrebbe essere “guardiamarina", dove i componenti sono il sostantivo guardia e l'aggettivo marina.
Il termine, oltre tutto, è pari pari lo spagnolo guardia marina, trasportato nel nostro idioma in grafia univerbata. Negli altri casi, come abbiamo visto, è presente il verbo guardare nel senso di vigilare.
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