Prendere un granchio a secco
La locuzione trattata tempo addietro, prendere un granchio, ci ha richiamato alla mente quest'altra, prendere un granchio a secco.
Questo modo di dire, indubbiamente poco conosciuto, e di conseguenza raramente adoperato, si usa — come spiega il lessicografo Pietro Giacchi — allorché si vuole mettere in risalto il fatto che una persona è rimasta con il dito schiacciato tra due corpi, in una sorta di morsa.
Non vi è mai capitato, cortesi amici, di prendere un granchio a secco, di rimanere, cioè, con un dito schiacciato tra lo stipite e la porta?
Ma vediamo come spiega il Giacchi l'origine dell'espressione: «I granchi stanno più spesso sott'acqua, ed allora si pigliano dalla parte di dietro senza pericolo d'offesa; ma qualora ridotti alla lor buca asciutta mordono la mano che colà si caccia, da che abbiamo le due branche mordenti di rimpetto ai diti che s'avanzano».
Perché biscazziere due “Z" e giustiziere una sola?
«Pregiatissimo dott. Raso,
non so come spiegare a mio figlio perché le parole biscazziere, mazziere, carrozziere, tappezziere, corazziere prendono due “z” mentre giustiziere, daziere, finanziere, romanziere, forziere ne prendono una sola. Eppure tutte queste parole e tante altre hanno la medesima terminazione in “-iere”, come mai questa disparità? Insomma, dott. Raso, come si fa a stabilire con certezza assoluta quando una parola si scrive con una zeta e quando con due?
Sperando in una sua esaustiva e cortese risposta, la ringrazio anticipatamente e le porgo i miei più cordiali saluti.
Massimiliano O.
Prato»
Caro amico, cercherò di spiegarmi il più chiaramente possibile. La questione della zeta è causa di molti dubbi. In linea generale si mette la doppia zeta quando quest'ultima consonante è seguita da una sola vocale: pazzo, pozzo, corazza; si mette una sola zeta se detta consonante è seguita, invece, da due vocali: azione, abbazia, giustizia, stazione. Secondo questa regola dovremmo avere maziere, coraziere, biscaziere, perché, appunto, dopo la zeta abbiamo due vocali.
Perché, invece, prendono — correttamente — due zeta? Perché sono termini denominali derivati da sostantivi che al loro interno hanno due zeta: mazziere (da mazza), corazziere (da corazza), biscazziere (da una forma antica “biscazza").
Vediamo, ancora, altre parole con due zeta nonostante questa consonante sia seguita da due vocali: carrozziere (da carrozza), tappezziere (dal verbo tappezzare), terrazziere (da terrazza, questa, però, dal francese “terrasse"), arazziere (da arazzo).
Per concludere, gentile Massimiliano, si ha la doppia zeta in tutte la parole in “-iere” derivate da altre la cui radice ha due zeta. Biscazza (bisca)
Far la mamma di San Pietro
Si adopera questa locuzione — forse poco conosciuta — quando si vuole mettere in particolare evidenza l'avarizia di una donna. Si dice, infatti, di colei che ama il denaro e i propri averi più di sé stessa e non darebbe un bicchier d'acqua neanche se l'assetato le cadesse davanti svenuto.
Il modo di dire è prettamente popolare e, in quanto tale, la sua origine si perde nella notte dei tempi. Potrebbe essere una leggenda, dunque, così come la racconta Giuseppe Pitré (Palermo 1841-1916), medico e studioso di cose popolari. Vediamola.
«Narrasi, dunque, che la mamma di San Pietro fu sì avara e di cuor duro, che non andava povero a bussare al suo uscio, il quale non fosse cacciato via come un ladro. Visse così fino all'estrema vecchiezza, non avendola ravveduta né le prediche di Gesù, né gli esempi di carità dati dal figlio. Com'è vero che quando un viziaccio s'è radicato fin da fanciulli nel nostro animo, non c'è che un miracolo di Dio, che ne lo sradichi.
Fatto è, che la madre di San Pietro morì con quel peccato nell'anima, e andò all'inferno. Erano passati molti molti anni e la misera penava sempre nello stesso fuoco; e mandava continue preci al figlio, ch'è il custode delle porte del paradiso. Egli le udì una volta, e n'ebbe (occorre dirlo?) gran pietà; e pregò tanto il buon Dio, che ottenne di liberarla, se si trovasse che in vita di lei, per un atto anche minimo di carità, le fosse stato detto una volta sola, Dio te ne renda merito.
Cerca, cerca, si trovò davvero che un giorno aveva dato una buccia di porro a un poverello, il quale disse: Dio te lo rimeriti. Di ciò lieto San Pietro, va nel giardino celeste, e carpe un porro; e per miracolo l'allunga tanto tanto, tenendolo per la coda, che ne arriva il capo all'inferno dov'era la madre; e il figlio le dice: “Attaccati, mamma, al porro, ch'io traggo su piano piano”. La madre appena ode le parole del figlio e vede il capo del porro lo afferra subito e lentamente comincia ad uscire dal fuoco. Come la videro gli altri dannati cominciarono ad attaccarsi al lembo della sua veste e ai piedi: anch'essi volevano uscire dal fuoco.
La madre di San Pietro, quindi, si vide come assediata dalle api e cominciò a tirare calci a destra e a manca, gridando: “Andatevene”; lo fece con tanta rabbia e violenza da rompere il gambo del porro e... paffete, cadde indietro dentro al fuoco. E così il Signore la castigò».
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