Essere pettegolo come una taccola
Questo modo di dire dovrebbe esser noto ai lettori veneti derivando, la voce pettegolo, dal dialetto veneto, appunto, petegolo (propriamente piccolo peto, vale a dire rumore intemperante e sgradevole). Il pettegolo, infatti, con le sue chiacchiere e commenti maliziosi su altre persone non emette sempre un chiacchiericcio, quindi, un rumore sgradevole? E perché come una taccola? È presto detto.
La taccola, un uccello dei passeriformi simile alla cornacchia, vive in comunità e si unisce sempre a gruppi di corvi emettendo un verso continuo e articolato che unito ai versi degli altri uccelli appare come un ininterrotto chiacchiericcio. Di qui il paragone metaforico con la persona pettegola.
Occorre dire, però, per dovere di cronaca, che alcuni autori fanno derivare la voce, o meglio la connettono a putus, ragazzo, attraverso una forma diminutiva di puticolus (fanciullo e i fanciulli — si sa — non stanno mai zitti); altri a petere, andare verso, ricercare e il petente — anche questo si sa — non sta mai zitto: con le sue richieste diventa assillante.
Il modo di dire si usa anche nella variante pettegolo come una portinaia, ossia chiacchierone, come la tradizione descrive le portinaie, che solitamente si intromettono nei fatti degli altri e sanno tutto ciò che riguarda gli inquilini del palazzo.
Torniamo a bomba con l'aggettivo
Caro Direttore, dopo la preposizione anch'io desidero salire agli onori dei... giornali, anzi della rete, perché appartengo al gotha della lingua. Le mie origini, come quelle dei cugini avverbio e preposizione, sono nobili; discendo, infatti, dal latino medievale adiectivum (aggiunto), composto di ad (presso) e iacere (gettare); propriamente significo colui che si getta presso; per questo motivo alcuni miei biografi amano definirmi «quella parte variabile del discorso che si aggiunge al nome per indicare una qualità o per dargli una precisa determinazione». Sono, quindi, l'aggettivo.
E sempre per il motivo di essere gettato accanto al nome sono stato diviso in due gruppi: qualificativo, se aggiungo al nome o sostantivo una qualità e determinativo se aggiungo al nome un preciso elemento che ne determini, appunto, la posizione o il possesso.
Prima di farvi degli esempi, per meglio chiarire questi concetti, mi preme rammentarvi che, essendo di nobili natali, non mi piace vedermi sempre appiccicato al nome; spesso la mia aristocratica presenza non è necessaria, per questo adoro moltissimo ciò che di me ha detto Alphonse Daudet: «L'aggettivo deve essere l'amante del sostantivo e non già la moglie legittima. Tra le parole ci vogliono legami passeggeri e non un matrimonio eterno». Quando scrivete (o parlate), quindi, non abusate sempre di me.
Tornando a bomba, se io dico una casa bella aggiungo alla casa, cioè al sostantivo, una qualità, vale a dire la bellezza; bella, per tanto, è un aggettivo qualificativo. Se dico, invece, quella casa, specifico quale casa, cioè la determino; quella, quindi, è un aggettivo determinativo. Gli aggettivi determinativi si dividono, a loro volta, in quattro specie: dimostrativi (quella); possessivi (mia); numerali (una) e quantitativi (poco).
Come mio cugino l'avverbio che può stare prima o dopo del verbo, anch'io posso essere collocato prima o dopo del sostantivo, non esiste una legge in proposito: posposto al sostantivo do maggiore spicco alla qualità che si intende mettere in evidenza. È una donna bella ha una sfumatura diversa, infatti, che non è una bella donna. Attenzione ai casi, però, in cui la collocazione dell'aggettivo può creare ambiguità: è una buona donna acquista un significato diverso da è una donna buona. Non finirò mai, dunque, di raccomandarvi di piazzarmi al posto giusto al fine di evitare incresciosi incidenti di percorso nelle vostre relazioni sociali.
Per quanto attiene alla concordanza, in linea di massima, devo essere dello stesso genere e dello stesso numero del sostantivo (o dei sostantivi) cui mi riferisco: il libro è bello; i libri sono belli. Quando sono in compagnia di due o più sostantivi dello stesso genere seguirò, ovviamente, il medesimo genere e sarò plurale: i libri e i quaderni sono belli. Se, però, si tratta di esseri inanimati o di concetti astratti o strettamente affini, di genere singolare, posso restare anch'io singolare.
Mi spiego meglio con alcuni esempi: la franchezza e la generosità romane. Ma anche: la franchezza e la generosità romana. L'aggettivo singolare romana si riferisce tanto a franchezza quanto a generosità. Ancora. Un cappello e un abito nero. Ma anche: un cappello e un abito neri.
E a proposito di colori, si faccia attenzione all' aggettivo marrone perché non è propriamente tale. So benissimo che i più lo considerano un aggettivo e lo concordano, quindi, con il sostantivo cui si riferisce cadendo, però, in un madornale errore. Marrone, dunque, non è un aggettivo come giallo, verde, rosso, nero ecc., ma un sostantivo che significa color del castagno, del marrone e resterà, quindi, invariato: guanti (del color del) marrone; giacca (del color del) marrone; scarpe (del color del) marrone.
Nessuno, infatti, si sognerebbe di dire camicie rose; capelli ceneri ma correttamente: camicie rosa (del color della rosa); capelli cenere (del color della cenere). Perché il mio amico marrone deve essere violentato?
Grazie al direttore dell'ospitalità e grazie a voi dell'attenzione. Passo, ora, la parola al Pianigiani che vi illuminerà sull'origine della locuzione che ho adoperato prima: tornare a bomba.
Il vostro amico Aggettivo
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