Inferto e inferito
Entrambi i termini sono participi passati del verbo inferire, che ha due accezioni diverse: causare danni o ferite, sia morali sia fisiche e arrivare a una conclusione, quindi dedurre, desumere.
La coniugazione è la medesima tranne che nella prima persona singolare e nella terza plurale del passato remoto e, appunto, nel participio passato.
Avremo inferto, quando il verbo sta per provocare danni e inferito quando vale dedurre: il malvivente gli ha inferto cinque coltellate; dalle indagini svolte la polizia ha inferito che l'uomo era estraneo ai fatti.
Quanto al passato remoto avremo infersi e infersero nell'accezione di cagionare danni; inferii e inferirono nel significato di dedurre.
Un'ultima annotazione. Inferire è un quasi sinonimo di infierire in quanto i due verbi hanno sfumature diverse; inoltre il primo è transitivo, il secondo intransitivo.
Interessantissima, in proposito, l' «opinione» del Tommaseo.*
Prendere un granchio
Questa locuzione, conosciutissima e adoperata a ogni piè sospinto, si usa per mettere in evidenza, con una certa eleganza, il fatto che una persona — molto spesso — prende un grosso abbaglio, erra credendo di non... errare; oppure crede di aver fatto un grosso affare ed è stata, invece, raggirata.
L'origine, crediamo, non abbisogna di spiegazioni essendo intuitiva; la proponiamo, comunque, per dovere d'informazione.
L'espressione, dunque, deriva, con molta probabilità, dalla pesca con la canna: allorché il pescatore cala la lenza in un fondale basso e sente che il pescato comincia a dimenarsi per sganciarsi ritiene di aver pescato una grossissima preda.
Quando tira sú (sic!) l'amo la delusione, però, è forte: si ritrova un granchio.
Il ché e il... chè
Se non cadiamo in errore nessun sacro testo grammaticale in nostro possesso, a eccezione del Dizionario Grammaticale di Vincenzo Ceppellini, spiega che esistono due che accentati, uno con l'accento acuto l'altro con quello grave e cambiano di significato a seconda dell'accento.
Riportiamo dal Ceppellini:
«(Ché) con l'accento acuto è aferesi di perché. Congiunzione causale. Esempio: Me ne vado, ché non ne posso piú. Con l'accento grave (chè) si usa nelle esclamazioni per indicare meraviglia. Esempio: Chè! Non ti fermi un poco?; Chè!, te la prendi per così poco?».

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