Capire per intendere (e viceversa)

Ci sia consentito, ogni tanto, di peccare di presunzione, anche se non abbiamo la minima intenzione di fare il barbassòro, vale a dire di atteggiarci a persona che crede di avere grande importanza per autorità e per… sapienza. Vogliamo solamente dimostrare che, contrariamente a quanto si creda, i verbi capire e intendere non sono completamente sinonimi: tra i due c'è una leggera sfumatura di significato. Vediamola assieme, sia pure per sommi capi.
Il primo, in senso lato, sta per contenere; il secondo, sempre in senso lato, sta per tendere (l'orecchio), quindi potremmo dire che equivale a sentire. Non si dice, infatti, che quel tizio non ha voluto intendere, cioè sentire ragioni?
Questa personale tesi è suffragata dall'etimologia dei due verbi e dall'autorità del Tommaseo il quale nel suo "dizionario dei sinonimi" scrive: «Quando, assolutamente, diciamo 'non capisce', neghiamo a quel tale capacità (da 'capire', ndr) di mente a ricevere qualsiasi cosa, almeno di quel genere di cui si ragiona; 'non intende' riguarda segnatamente o tali parole o senso di quelle. Ed è men biasimo e spregio anche per questo, che nell'intendere ha parte l'azione, cioè la volontà (non ha voluto 'intendere' ragioni, ndr); onde negare l'intendimento di tale o tal cosa non è sempre un negare l'intelligenza; dove il negare che altri capisca è un dire che il vaso è angusto e mal formato, un fare quasi disperata la cosa».
Ma vediamo l'etimologia dei due verbi in esame al fine di capire bene come stanno le cose. Cominciamo proprio da capire. Come il solito, occorre rifarsi al latino. Capire, dunque, è la forma italianizzata del latino capere il cui primo significato era quello di prendere.
Una volta passato nella lingua volgare — l'italiano — ha acquisito due distinte forme, una intransitiva e una figurata transitiva, con altrettanti distinti significati. Il primo significato, intransitivo, derivato dall'originaro latino prendere, fu quello di entrarci, esser contenuto, esser preso dentro qualche cosa e in questa accezione si adopera ancora oggi, soprattutto in poesia, nella forma originaria latina capere: questo non ci cape, cioè non c'entra, non può esservi contenuto.
Il secondo significato, quello figurato transitivo, vale sempre prendere, ma con la mente, con l'intelletto, con l'animo: non ti capisco più, vale a dire non ti prendo più con la mente; i tuoi discorsi non li capisco, cioè non li comprendo, non mi entrano nel cervello.
Una persona stupida, quindi, non è in grado di capire ma può benissimo intendere, cioè sentire, anche se giuridicamente si dice che una persona non è in grado di intendere (di capire) e di volere. Come si può ben vedere, quindi, la differenza tra intendere e capire è minima. Però, amici, c'è.
E veniamo a intendere che, come capire, è figlio del nobile latino. È composto, infatti, della particella in (verso) e tendere (tirare): tirare verso qualcosa o qualcuno. In senso figurato volgere verso un termine, quindi volgere la mente, gli orecchi verso qualcosa. Di qui i significati figurati di sentire, udire, avere la volontà e capire.
Non diciamo, infatti, non voglio capire ciò che mi stai suggerendo? Non ho voglia, non ho la volontà di stare a sentirti. Insomma, si perdoni il pasticcio: si può capire e non intendere come si può intendere e non capire. Nell'uso, però, i due verbi si equivalgono. La nostra era solo una puntualizzazione linguistica e non volevamo fare, ripetiamo, il barbassòro.

08-07-2020 — Autore: Fausto Raso — permalink


Il calefattore

La parola proposta oggi è: calefattore. Sostantivo (e aggettivo) tratto dal latino calefacere (riscaldare). Sorta di pentola in cui si bolle l'acqua e si cuociono carni e legumi.

Il termine, se non cadiamo in errore, non è attestato nei vocabolari dell'uso. Si veda >qui.

07-07-2020 — Autore: Fausto Raso — permalink


Mi vergogno di o mi vergogno a?

«Gasparri contestato in piazza "Si deve vergognare a stare qua"», così titolava il quotidiano la Repubblica in rete.
Allora? — si domanderà qualcuno. L'«allora» sta nell'uso errato della preposizione a con il verbo vergognare (vergognarsi): ci si vergogna di qualcuno o di qualcosa (non a).
Il suddetto verbo, anche quando è preceduto da un verbo modale (servile) conserva le medesime caratteristiche che ha quando è verbo autonomo e, come detto, una delle caratteristiche sta nel fatto che si costruisce con la preposizione di.
Vediamo, in proposito, ciò che riporta il vocabolario Treccani in rete.
È anche interessante la "nota d'uso" di Sapere.it. (De Agostini).

06-07-2020 — Autore: Fausto Raso — permalink