Legno dilègine

«Cortese dott. Raso,
sono un suo entusiasta e assiduo lettore, anche se non ho mai inviato un commento alle sue istruttive noterelle. Mi è capitato fra le mani un vecchissimo manuale per la lavorazione del legno, a un certo punto mi sono imbattuto in questa frase: «per questa lavorazione è consigliabile adoperare un legno dilegine». Ho consultato i vocabolari in mio possesso (anche quelli on-line) ma non ho trovato traccia del termine
dilegine. Esiste questo vocabolo? Se sì, cosa sta a significare?
La ringrazio di cuore se prenderà in considerazione la mia richiesta.
Con cordialità.
Renato V.
Venezia
»

Gentile Renato, il vocabolo in questione non è attestato in tutti (?) i vocabolari dell'uso perché i lessicografi lo hanno relegato nella soffitta della lingua.
È un aggettivo e significa che si può piegare, quindi morbido, fiacco e simili. Lo attesta il Tommaseo-Bellini. Clicchi qui.
Per la provenienza guardi anche qui.

05-05-2020 — Autore: Fausto Raso — permalink


Parallelo / parallelismo (in linguistica)

«Egregio dott. Raso,
cortesemente può dirimere il seguente quesito? Per relazionare due fatti si dice: facendo un parallelo o facendo un parallelismo?
Grazie e cordiali saluti.
Salvo G.
(Località non specificata)
»

Gentile Salvo, in linea di massima i due termini possono considerarsi sinonimi. È preferibile però, in buona lingua, fare un distinguo.
Useremo parallelismo per indicare un rapporto di analogia fra due o più fatti, fenomeni ecc.
Adopereremo parallelo quando intendiamo fare un confronto, una comparazione, un paragone tra due o più fatti, opere e simili: un parallelo tra le opere del Pascoli e quelle del Carducci.
Per relazionare due fatti, quindi, dobbiamo vedere — prima di usare parallelo o parallelismo — cosa vogliamo mettere in evidenza: l'analogia o il confronto.

04-05-2020 — Autore: Fausto Raso — permalink


Il medico e l'ingenuo

Avreste mai immaginato, gentili amici, che il termine ingenuo — il cui significato è a tutti noto — in origine indicava il neonato preso dal padre sulle sue ginocchia?
Come si è arrivati all'accezione di persona poco accorta, persona priva di malizia? Vediamo assieme i vari passaggi semantici risalendo, come sempre, alla lingua dei nostri padri: il latino.
Ingenuo, dunque, è il latino ingenuu(m), derivato di genu (ginocchio) e aveva il significato suddetto, valendo riconosciuto autentico (dal padre che lo aveva preso sulle sue ginocchia). Con il trascorrere del tempo il vocabolo fu interpretato come formato da in e genus (casato, stirpe) mantenendo press'a poco il significato originario: nato da casato interno (non da schiavi o barbari) e, per tanto, franco, libero, nobile.
Passato in italiano, il termine, attraverso il significato di schietto, genuino, libero nel parlare ha acquisito l'accezione di esageratamente spontaneo e, quindi, poco accorto, senza malizia, quindi... ingenuo. Ma le sorprese non sono finite. Prima che la parola approdasse in Italia (si fa per dire) anche in latino ingenuus era adoperato, talvolta, come sinonimo di limitato, delicato, sprovveduto, debole (di carattere).
E veniamo al medico perché — contrariamente a quanto si è portati a credere — colui che medita non è tanto il filosofo quanto (e soprattutto) il... medico. Sotto il profilo strettamente etimologico — naturalmente — il medico si può definire il meditabondo. Se ricerchiamo l'origine del termine vediamo, infatti, che esso non è altro che il latino medicu(m), derivato del verbo mederi, riflettere, meditare per cercare di sanare, quindi curare (dopo aver riflettuto, meditato).

30-04-2020 — Autore: Fausto Raso — permalink