In pompa magna

La locuzione che avete appena letto — chi non lo sa? — significa vestire con eleganza e ricercatezza ma non ha nulla che vedere con la... pompa nell'accezione a tutti nota. L'espressione, di uso comune, deriva dalla voce latina pompa, tratta dal greco πομπή, pompé, che significa invio, impulso, trasporto e di qui il senso di corteo per nozze, trionfi o altre solennità nelle quali si portavano in processione — nell'antichità — i simulacri degli dèi.
Durante la pompa, vale a dire durante la processione era, d'obbligo indossare vesti sfarzose e molto eleganti in segno di rispetto per la divinità che si portava in trionfo. Il modo di dire — con il trascorrere del tempo — è stato trasportato nell'uso moderno e con quest'espressione (pompa magna) si intende un fastoso e solenne apparato in occasione di feste, di cerimonie o di altri particolari avvenimenti della vita pubblica o privata. Pompa magna, cioè grande, ha assunto, per tanto, il significato estensivo di indossare i migliori abiti, quelli, appunto, delle grandi occasioni.
Dello stesso significato mettersi in ghingheri (particolarmente usato in Toscana), cioè vestire con gusto e ricercatezza anche se si adopera quasi sempre in senso ironico nei confronti di chi ostenta un abito troppo vistoso. Quanto all'origine — fa notare Ottorino Pianigiani — «deriva con molta probabilità da ghingolo, fatto corrottamente dal verbo agghingare, forma assimilata di agghindare nel senso di abbigliare».

28-01-2020 — Autore: Fausto Raso — permalink


Osservazioni orto-sintattico-grammaticali

Alcune osservazioni orto-sintattico-grammaticali ignorate o quasi dai testi di lingua italiana. L'avverbio alfine si scrive in grafia univerbata (tutta una parola) quando sta per infine, finalmente e simili: il tanto sospirato giorno alfine arrivò; in grafia rigorosamente scissa allorché vale "allo scopo di...": i gentili clienti sono pregati di rispettare il proprio turno al fine di evitare un cortese rifiuto.
L'aggettivo capace, nell'accezione di essere in grado, quando è seguito da un verbo di modo infinito può reggere, indifferentemente, le preposizioni di e a. In uno scritto formale, però, è consigliabile la preposizione di: neanche in quell'occasione sei stato capace di reagire. La preposizione a, infatti, è di uso prettamente colloquiale o regionale. Si adopererà tassativamente la preposizione di quando l'aggettivo in oggetto è seguito da un complemento di specificazione: Giovanni è capace di atti inconsulti.
Le grammatiche sono solite raggruppare gli aggettivi in due classi. Alla I classe quelli che hanno quattro desinenze: due per il maschile singolare e plurale e due per il femminile singolare e plurale (buonO, buonI, buonA, buonE); alla II quelli che hanno due desinenze sia per il maschile singolare e plurale sia per il femminile singolare e plurale (facilE, facilI). Esiste anche una terza classe, nella quale sono raggruppati gli aggettivi che hanno un'unica desinenza singolare per il maschile e femminile ma due per il plurale: una per il maschile e una per il femminile. Fanno riferimento a questa classe gli aggettivi in -a. Appartengono a questa categoria, insomma, gli aggettivi che finiscono in -asta, -cida, -ista, -ita, -ota (altruista, ipocrita, idiota ecc.)

27-01-2020 — Autore: Fausto Raso — permalink


Gentili Signore, usate ancora l'assassina?

Chissà se ancora oggi le signore della così detta alta società usano ritoccare il loro volto, soprattutto vicino agli occhi, con una bella "assassina"?

Il termine in oggetto, oltre ad essere il femminile singolare di assassino, indica anche un neo artificiale.

Non siamo in grado, però, e ci scusiamo, di risalire all'origine e spiegare, quindi, il motivo di tale nome.

24-01-2020 — Autore: Fausto Raso — permalink