La livrea

Ci sembra superfluo ricordare che nel corso dei secoli, per non dire dei millenni, l'uomo (e la donna, naturalmente) ha sempre provveduto a coprirsi il corpo con quello che noi chiamiamo abito o vestito; e più è avanzato nel grado di civiltà più questa sua copertura ha mirato a perfezionare e, perché no?, ad abbellire. L'uomo delle caverne, il così detto cavernicolo, nato nudo, naturalmente, ha subito sentito la necessità di coprirsi per difendersi dalle intemperie (il comune senso del pudore non era stato ancora scoperto).
Il vestito, quindi, nato per necessità è andato via via perfezionandosi nel corso dei secoli, fino ai tempi moderni, sia pure con alternanze di fogge secondo il gusto dei singoli e la moda, ma soprattutto come affermazione della propria personalità.
L'abito, infatti, trae il nome dal latino (sempre lui!) habitus, dal verbo habere (avere), e ha come prima accezione quella di aspetto che un uomo ha, apparenza esteriore propria di un individuo, quindi modo di comportarsi, modo di essere. Non a caso si dice che l'abito non fa il monaco (per noi lo fa, eccome! ma questo è un altro discorso).
Ma vediamo come è nato l'abito, un tempo di gran moda: la livrea. Oggi gli uomini in livrea si contano — forse — in qualche ministero o sul portone di qualche famiglia nobile ancora ancorata alla moda degli antenati. Un tempo, invece, la livrea era diffusissima e non c'era famiglia di rango che non avesse per tradizione la sua o — addirittura — non ne inventasse una sua, secondo i gusti del signore, padrone di casa.
La livrea era, insomma, l'abito-marchio di una casa: si faceva indossare ai cortigiani e a tutto il personale del palazzo (di rango, naturalmente). Molto spesso, un'occhiata alla livrea — attraverso i colori — permetteva di distinguere questa o quella famiglia illustre.
Questo abito, dunque, ebbe i suoi natali in Francia (e come poteva essere altrimenti?) e ben presto si diffuse, durante il Medio Evo, in tutte le corti d'Europa. In quel periodo storico, i sovrani, i grandi feudatari, i principi diedero il via a una bellissima tradizione: in determinati periodi dell'anno — a Natale, per esempio — il re, il padrone di casa, chiamava a sé tutti i dipendenti e faceva loro dono dell'abito ufficiale, confezionato nei colori del casato e nella foggia caratteristica richiesta da questo o quel particolare compito che essi avevano nell'ambito del palazzo.
I cortigiani, a loro volta, erano tenuti a seguire — anche se obtorto collo — la magnanimità del sovrano distribuendo, in versione più economica, abiti gratis a tutto il personale alle loro dipendenze. Questi abiti erano chiamati robes livrées, letteralmente abiti forniti (dal padrone, sottinteso). Livré è il participio passato del verbo (francese) livrer (dare, fornire, consegnare... regalare).
Con il trascorrere del tempo e attraverso l'uso parlato — come sovente accade in questioni di lingua — il popolo accorciò l'espressione e disse semplicemente livrée. Il vocabolo, oltrepassate le Alpi, è giunto a noi adattato in livrea.

18-12-2019 — Autore: Fausto Raso — permalink


Salace

Si presti molta, molta attenzione all'uso corretto dell'aggettivo salace perché non significa — come numerose grandi firme del giornalismo ritengono — arguto, spiritoso, pungente, ingegnoso, mordace e simili.

L'aggettivo in questione vale osceno, eccitante, scurrile, piccante, lascivo, lussurioso, libidinoso. Una prosa salace non è — come ci è capitato di leggere secondo le intenzioni di un critico letterario — una prosa arguta, sibbene una prosa oscena, scurrile.

17-12-2019 — Autore: Fausto Raso — permalink


Il frac

Dopo la livrea, due parole, due, sul frac. Cominciamo con il dire, innanzi tutto, che la sola grafia corretta è con la c: frac, non frak o frack.
La storia di questo abito non è ancora del tutto chiarita: la voce è francese ma la provenienza — sembra — inglese: frock (si badi bene, con la o), che originariamente indicava una veste maschile a falde indossata da persone che andavano a cavallo.
Si ritiene, anzi, che fosse usata dai militari (non solo dai cavalieri ma anche dai fanti): i due bottoni che ornano questo indumento, ancor oggi, all'altezza delle reni sarebbero la prova provata; servivano, infatti, a tenere le falde rialzate per permettere di camminare più speditamente.
Oggi, con il termine frac si intende un abito maschile da cerimonia, nero, con giacca corta davanti e prolungata dietro in due falde lunghe e sottili.
Aggiungiamo, per gli amanti (o amatori) della purezza linguistica, che l'Accademia della Crusca aveva proposto di sostituire il termine barbaro frac con marsina, ritenuto vocabolo più schietto.
Ma marsina non viene dal nome del maresciallo di Francia Jean de Marsin, che indossava il frac prima ancora che fosse coniato questo termine? Ma tant'è. Scherzi della lingua.

16-12-2019 — Autore: Fausto Raso — permalink