Essere poco utile come la mula di Balestraccio

Il significato di questa locuzione — per la verità poco conosciuta — è intuitivo e non abbisognevole, per tanto, di spiegazioni. Ci interessa conoscere l'origine che ricaviamo dal «Nuovo Tesoro di proverbi italiani», di Tommaso Buoni (un autore del secolo XVIII).

«Fu Balestraccio povero villano, e come di pochi beni fu costretto per fuggir la fame esercitar l'arte della mola; e avvenga che fosse di tutte le cose male agiato, molto meno era del denaro. Andato al mercato, e veduta una mula vecchia, e perciò da tutti fuggita; ed ei con poche parole, e con meno di quelli che avea la comprò; e così la povera mula che faticato avea per tutta la gioventù, pensando di pigliar riposo in vecchiezza, fu guidata da messer Balestraccio al mulino per faticare più gagliardamente. Ma quantunque Balestraccio facesse buone alla mula dell'altrui, però ella come facea il debito suo a ben mangiare; poco il facea al portare delle some, e solo in questo compiacea al suo padrone, che volentieri portava le sacche piene, e sopra per buona misura messere lo Balestraccio, ma solo vicino a casa, o fin a mezza strada, che dal mezzo in là volea esser portata lei con le sacche. Or vedete che soma bisognava che portasse il tapinello; e insomma di sì poco utile fu la mula di Balestraccio; quindi passò in proverbio la sua mula contro quelle persone che molto più mangiano, che non ne sono utili».

21-10-2019 — Autore: Fausto Raso — permalink


Equino, equestre, ippico

A voler sottilizzare gli aggettivi su menzionati non sarebbero l'uno sinonimo dell'altro sebbene si riferiscano tutti al cavallo. Ciascun aggettivo, infatti, ha un suo proprio significato. Vediamoli succintamente.

Cominciamo con il dire che equino ed equestre sono di provenienza latina, mentre ippico è di origine greca.

Equino si riferisce al cavallo (in quanto animale) sotto l'aspetto zoologico (razze equine, coda equina ecc.); con equestre si indica la persona che monta il cavallo, con l'accezione, quindi, di cavallerizzo, cavaliere (spettacolo equestre, combattimento equestre, statua equestre e simili).

Con ippico, infine, ci si riferisce a tutto l'apparato che riguarda le corse di questi animali, come sport (gare ippiche).

18-10-2019 — Autore: Fausto Raso — permalink


Smarronate...

Oggi desideriamo richiamare l'attenzione dei nostri amici lettori su alcune smarronate che quotidianamente appaiono sulla carta stampata (ma non solo) e che sono il frutto della presunzione di coloro che fanno la lingua, le così dette grandi firme del giornalismo italiano.
A questo proposito il grido di dolore lanciato qualche anno fa dall'Accademia della Crusca, circa gli orrori di cui sono infarciti i giornali, non ha ottenuto l'effetto sperato, anzi... Le cause di questo sfacelo linguistico sono molteplici, non ultima la messa a riposo dei correttori di bozze.
Sì, la quasi totalià dei giornali ha ritenuto opportuno sopprimere — con la scusa della computerizzazione — la figura di quel losco individuo che con certosina pazienza andava a caccia dei refusi (errori di stampa) e degli orrori linguistico-grammaticali degli estensori dell'articolo. Oggi questa rete di protezione non esiste più, sono venute, così, alla luce le magagne tamponate — un tempo — dai correttori. Oggi il giornalista non ha più il capro espiatorio cui addossare la colpa dei suoi strafalcioni: il merito è tutto suo.
Sue sono, quindi, le smarronate che leggiamo e che inducono in errore gli studenti sprovveduti. Come il vezzo, per non chiamarlo errore, di adoperare le particelle pronominali ci si con alcuni verbi quali rafforzative della coniugazione con soggetto indeterminato: ci si andava, ci si era tutti, ci si era venuti.
Quest'uso, dunque, è tremendamente errato. Il ci unito al si si può usare — ed è corretto — soltanto come forma di soggetto indeterminato con i verbi riflessivi o pronominali: ci si annoia (noi ci annoiamo), ci si vergogna (tutti si vergognano), ci si deve lavare (tutti ci dobbiamo lavare); oppure come complemento di reciprocanza adoperato con la forma del soggetto indefinito: ci si vede domani, vale a dire ci vediamo domani; o, ancora, come avverbio di luogo, con il significato, appunto, di in questo luogo: a casa tua ci si sta bene.
Vediamo altre smarronate tra le quali possiamo includere — senza tema di essere smentiti — l'uso improprio (è un eufemismo) che la stampa fa del verbo elevare in cui il suddetto verbo non ha il significato che gli è proprio, vale a dire portare in alto. Cade, quindi, in un grossolano errore, commette una smarronata il cronista che scrive «gli inquirenti hanno elevato molti dubbi in proposito». I dubbi — fino a prova contraria — non si portano in alto, si manifestano, si suscitano.
Altra smarronata frequentissima che appare sulla carta stampata è l'uso del partitivo con la preposizione con: l'esponente politico è stato inquisito con dei suoi amici. Quel dei partitivo deve essere sostituito — in buona lingua italiana — con alcuni: è stato inquisito con alcuni suoi amici.
Potremmo continuare ancora, ma non vogliamo tediarvi oltre misura. Concludiamo queste noterelle, quindi, con un pensiero di Giuseppe Giusti: «L'avere la lingua familiare sulle labbra non basta: senza accompagnarne, senza rettificarne l'uso con lo studio e con la ragione è come uno strumento che si è trovato in casa e che non si sa maneggiare».
A buon intenditor, poche parole...

17-10-2019 — Autore: Fausto Raso — permalink