La diatesi

Oggi vogliamo parlare di un termine linguistico poco conosciuto perché ignorato dai sacri testi o, per lo meno, non trattato sufficientemente: la diatesi. Non lasciatevi intimorire dal nome, che forse sentite per la prima volta, l'argomento è più semplice di quanto si possa immaginare.
Con il termine diatesi, tratto dal greco διάθεσις (diàthesis), derivato di διατίθημι (diatithémi, disporre), composto di δία (dìa, attraverso) e τίθημι (tìthemi, porre), si intende il genere del verbo e la sua disposizione attraverso le sue flessioni. Cerchiamo di spiegarci meglio.
La diatesi indica la categoria grammaticale del verbo che esprime il rapporto di relazione che intercorre tra il verbo stesso e il soggetto agente e a cui corrisponde una flessione verbale specifica. La diatesi, insomma, in termini terra terra, è la comune forma di un verbo, che può essere attiva, passiva e riflessiva e indica — come si diceva — il rapporto del verbo con il soggetto e l'oggetto. Semplice, no?
La diatesi è attiva, quindi, quando il soggetto coincide con l'agente dell'azione (il medico visita l'ammalato); passiva quando l'agente non è il soggetto stesso (il malato è visitato dal medico); riflessiva quando l'azione ricade sul soggetto che diventa, nello stesso tempo, oggetto (Giulio si lava).La diatesi passiva e quella riflessiva — ci sembra superfluo ricordarlo — si possono avere solo con i verbi transitivi: lodare, sono lodato (diatesi passiva); lavare, mi lavo (diatesi riflessiva).
A questo punto non si confonda, per carità, la diatesi linguistica con quella medica (l'origine etimologica è la medesima), che è la disposizione, vale a dire la capacità individuale di ogni corpo a contrarre, sopportare e superare ogni malattia.
Da parte nostra, cortesi amici, ci auguriamo che voi siate in grado di "diatesizzare", cioè di sopportare pazientemente le nostre modeste disquisizioni sulla lingua.

28-08-2019 — Autore: Fausto Raso — permalink


Supplire: al o il?

Due parole, due, su questo verbo perché abbiamo notato che sulla carta stampata ora si legge supplire al ora supplire il. Qual è la forma corretta? Entrambe.
Questo verbo, dunque, che si coniuga con l'infisso "-isc-" tra il tema e la desinenza (in alcuni tempi e modi) può essere tanto transitivo quanto intransitivo ed essere seguito, quindi, sia dall'articolo il sia dalla preposizione articolata al. Ovviamente a seconda dei casi, non tirando la monetina.
È intransitivo quando significa sopperire, provvedere a colmare (qualcosa); è transitivo quando sta per sostituire (qualcuno).
Alla luce di questo distinguo diremo, quindi, che il tale suppliva con la volontà alla scarsezza dei mezzi, lo adopereremo, cioè, intransitivamente; mentre dobbiamo dire che l'altro suppliva il collega assente in quanto lo sostituiva. In questo caso, dunque, il verbo in oggetto è usato in senso transitivo.
Abbiamo letto, sulla stampa, una frase che ci ha fatto rabbrividire: suppliva al ministro assente.

27-08-2019 — Autore: Fausto Raso — permalink


Ventare (soffia il vento)

«Cortese dott. Raso,
mi sono rivolto a molti forum sulla lingua italiana, ma invano. Spero in lei. Quando cade la pioggia si usa il verbo piovere, quando cade la neve si usa nevicare, quando cade la grandine si dice grandinare ecc. Ma quando soffia il vento qual è il verbo che fa alla bisogna?
Certo di una sua risposta, la ringrazio in anticipo e la saluto cordialmente.
Federico T.
Lecco
»

Gentile Federico, il verbo appropriato c'è, anche se di uso raro o letterario: ventare (o venteggiare, intensivo di ventare). È della I coniugazione e intransitivo, nei tempi composti prende l'ausiliare avere: ieri, in città, ha molto ventato.
Quando il vento soffia in modo continuato si ha la brezza il cui verbo è il denominale brezzeggiare, derivando, appunto, da brezza. Anche questo verbo è intransitivo e nei tempi composti prende l'ausiliare essere, raramente avere: ieri è brezzeggiato per circa un'ora.

26-08-2019 — Autore: Fausto Raso — permalink