Ubbidire? Anche transitivo
Non tutti i vocabolari ne fanno menzione, ci sembra importante, però, spendere due parole sul verbo ubbidire perché può essere anche transitivo e, quindi, passivo.
È transitivo, soprattutto, se si riferisce alla persona che dà ordini: Michele ubbidí suo padre. La forma transitiva è rara, per la verità, ma correttissima: «In che posso ubbidirla?», disse don Rodrigo, piantandosi in piedi nel mezzo della sala (Manzoni).
Piú frequente la forma passiva: «Ingiunzione forse saggia, ma che non venne mai ubbidita» (Lampedusa).
Etimo.it - ubbidire
Padre? Parola rizotonica
Non crediamo di sbagliare se affermiamo che molte persone, anche quelle cosí dette acculturate, alla vista del titolo strabuzzeranno gli occhi e parafrasando il Manzoni si domanderanno: «Rizotonica! Chi era costei?». Sí, perché — come abbiamo 'denunciato' altre volte — buona parte dei sacri testi di lingua non riportano il gergo o glossario linguistico ritenendolo, forse, di esclusiva 'proprietà' degli addetti ai lavori. E sbagliano. La lingua è di tutti.
Le persone assetate di lingua hanno tutto il diritto di abbeverarsi a una fonte limpida e inesauribile. Vediamo, quindi, di colmare — sia pure modestamente — questa lacuna. Si chiamano rizotoniche — in lingua — le parole che hanno l'accento tonico (quello che si legge ma non si segna graficamente) sulla radice o tema: pàdre; céna; sèdia; e, al contrario, si dicono rizoatone (o arizotoniche) le parole il cui accento cade sulla desinenza o sul suffisso: padríno; cenétta; sediòla (abbiamo segnato l'accento, in entrambi i casi, per mettere bene in evidenza la tonicità).
Quando parliamo, quindi, senza rendercene conto, adoperiamo le une e le altre, sempre. I due termini, manco a dirlo, odorano di greco essendo composti, infatti, con la parola greca ῥίζο- (rhizo, da ῥίζα, rhiza, radice).
La differenza tra le parole rizotoniche e quelle rizoatone si nota, particolarmente, quando si coniuga un verbo il cui interno contiene un dittongo mobile: alle forme rizotoniche dittongate si contrappongono quelle rizoatone, con vocale semplice: viene, veniva; nuocere, nociuto; accieca, accecava; suonare, sonava.
Fare la pentola a due manichi
Questo modo di dire ha due distinti significati pur avendo la medesima origine. Il primo, conosciutissimo, è adoperato a ogni piè sospinto e si dice di persona che sta senza far nulla, che ozia, che poltrisce e, in senso lato, si dice anche di persone pigre. Il secondo significato — poco conosciuto — si riferisce a colui (o colei) che ama impartire ordini e basta.
L'origine della locuzione ci sembra intuitiva: si rifà all'immagine di una persona, per lo piú di una certa grassezza, che se ne sta comodamente con le mani sui fianchi, senza far nulla, a mirare gli altri che, al contrario, lavorano incessantemente, venendo in tal modo ad assomigliare a una grossa pentola con due manichi (sic!).
E sempre in tema di pentole, ci viene alla mente l'espressione ogni pentola ha il suo coperchio. Il detto, di origine proverbiale, appena nato si adoperava per dire che ogni popolo ha i capi che si merita, e in questo senso, infatti, è citato anche da San Gerolamo.
Oggi viene impiegato per dire che nella vita non c'è nulla di difficile, di strano, di brutto, di negativo e simili che non trovi qualcosa di adatto alla bisogna. Si adopera, insomma, per ricordare che non c'è problema, per quanto arduo, che non possa avere una sua soluzione.
Dovrebbero esser note anche le varianti «non c'è pentola cosí brutta che non trovi il suo coperchio» e «ogni pentola trova il suo coperchio».

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