L'imposta...

Proseguiamo il nostro viaggio alla ricerca di parole omofone e omografe ma di significato diverso: le imposte. Prima, però, chiudiamo le... imposte perché non vogliamo che ci sentano i sostenitori dell’inutilità dello studio del latino.
È risaputo che i traditori del padre della nostra lingua non sono in grado di cogliere questo messaggio, tanto vale che non ci sentano. Chiudiamo, dunque, le imposte perché parleremo proprio di queste a dimostrazione della nostra tesi: il latino non si può gettare alle ortiche!
L’imposta, dunque, usiamo il singolare, è — come recitano i vocabolari — «il battente di legno che chiude l’apertura delle finestre impedendo alla luce di passare attraverso i vetri o di vedere chi sta fuori» e il suo nome deriva dal significato proprio del verbo latino imponere composto di in (sopra) e ponere (porre): porre sopra, quindi... imporre.
Per essere ancora più precisi è il participio passato impositum (imposto): il battente, infatti, è posto sopra la finestra. Per quanto attiene, invece, all’altro significato di imposta, vale a dire la «tassa sulle rendite private per formare una rendita a favore dello Stato o degli Enti locali destinata alle spese pubbliche», il termine non è altro che l’uso figurato dello stesso verbo latino imponere; l’imposta (tassa) è posta sopra i beni o le persone. C’è imposta e... imposta, quindi.
L’imposizione, cioè un comando, un ordine non è — in senso traslato — un’idea posta sopra quella altrui? Potremmo continuare per un pezzo ma non vogliamo tediarvi; vogliamo solo dimostrarvi, con i fatti, che non si può sostenere che il latino è una lingua morta il cui studio, quindi, è solo una perdita di tempo. No, non è affatto così, il latino vive attraverso l’italiano e l’italiano non si può capire se si prescinde dal latino.
Sarebbe azzardato sostenere che il latino è il fondamento di tutte le lingue? Crediamo di no. Non sarebbe il caso, per tanto, che si rivedessero i programmi della scuola media inferiore? Ma ci rendiamo conto che stiamo bestemmiando... Già è un miracolo se i programmi prevedono ancora la lettura del Manzoni (nella scuola media superiore). Che cosa pretendiamo? Accontentiamoci.
E non meravigliamoci più di tanto se i giovani di oggi a malapena distinguono la ha verbo dalla a preposizione; quando per legge faranno scomparire l’acca dal verbo avere, essendo un residuo del latino, la frittata sarà completa.

03-05-2010 — Autore: Fausto Raso