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Cosimo de' Medici
(✶1389   †1464)

Vent'anni dopo la conclusione del Concilio, Cosimo pensò di eternare quell'evento (cui contribuirono economicamente i Medici) commissionando, nel 1459, a Benozzo Gozzoli la decorazione della cappella privata all'interno del Palazzo Medici, con la raffigurazione della processione dei Magi, metafora del percorso mondano e spirituale della famiglia e del partito mediceo all'insegna della devozione.

Le ville medicee

Amante della vita di campagna, Cosimo diede inizio all'edificazione di alcune delle ville medicee, dove poter riposarsi dalla cura del governo e degli affari. Nel Mugello, per esempio, fece ristrutturare da Michelozzo le ville di famiglia del Trebbio e di Cafaggiolo. A Careggi fece pure costruire la villa dove si svolse gran parte della sua vita familiare.

L'umanesimo mediceo

Se oggi possiamo ammirare i grandi capolavori del Rinascimento, fu grazie al rinnovamento culturale perpetrato da Francesco Petrarca e favorito poi dai regimi rinascimentali nel corso del XV secolo. Infatti, l'umanesimo non fu soltanto un fenomeno importante dal punto di vista strettamente culturale (riscoperta dei classici, sviluppo della scienza filologica, rivoluzione filosofica in base all'antropocentrismo), ma anche sul piano politico-pedagogico: i valori etici dell'antichità e la versatilità dell'ingegno che l'umanesimo favoriva era un ottimo mezzo per la formazione di un'eccellente classe dirigente al servizio dei principi. Inoltre, la promozione delle arti e del pensiero da parte di una determinata dinastia era un potente strumento di promozione della propria immagine: Cosimo de Medici ne fu uno dei primi (se non il più grande) sostenitore.

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Un umanesimo elitario

La politica culturale di Cosimo fu improntata, come già ricordato prima, alla promozione dell'immagine della sua casata e di Firenze stessa. Aiutato da intellettuali di primo calibro come il vecchio Niccolò Niccoli, il già citato Marsuppini (che succedette a Leonardo Bruni come Cancelliere della Repubblica) e da Vespasiano da Bisticci, Cosimo promosse un umanesimo profondamente distante da quello della prima metà del '400 fiorentino: non più civile e omaggiante nei confronti delle tre corone volgari (Dante Alighieri, Francesco Petrarca e Giovanni Boccaccio), ma totalmente classicheggiante e impregnato di una profonda vocazione filosofica. Per questi motivi, infatti, Cosimo e il suo entourage si scontrarono con gli umanisti Leon Battista Alberti e Francesco Filelfo: il primo, "reo" di aver patrocinato il certamen coronario sulla poesia lirica volgare nel 1441, fu costretto a lasciare Firenze; il secondo, per aver letto Dante nello Studium nell'anno accademico 1431-32, fu l'oggetto di feroci invettive da parte di Niccolò Niccoli e di Carlo Marsuppini. Per comprendere le motivazioni di tale attenzione nei confronti della politica verso la realtà culturale dell'epoca, bisogna ricondursi alla dimensione "propagandistica" che la seconda serviva alla prima, come esposto chiaramente da Paolo Viti:

«Nel 1431-32 lesse e commentò - primo fra gli umanisti - Dante nello Studio, come palese atto di omaggio per il figlio più illustre di Firenze, in ossequio ad una politica culturale della fazione oligarchica dominante nella Repubblica, che proprio dalla riscoperta di Dante traeva, allora, uno dei principali motivi di affermazione civica: e per questa Lectura Dantis il F[ilelfo] si scontrò con la fazione medicea che, pretestuosamente, cercò di ostacolarlo in vari modi.»

(Viti)

Il neoplatonismo fiorentino

L'incontro con i due dotti neoplatonici bizantini Pletone e Bessarione al Concilio del 1439 diede a Cosimo l'idea di creare in Firenze un fulcro per la diffusione delle teorie di Platone in terra italiana, aumentando così il prestigio culturale e politico della città. Fortemente attratto dalla somiglianza tra platonismo e cristianesimo, Cosimo e i membri dell'Accademia (tra cui spiccavano Marsilio Ficino e Cristoforo Landino) intesero promuovere questa visione religiosa. Nicola Abbagnano riassume così la weltanschauung neoplatonica fiorentina:

«Nel platonismo i seguaci dell'Accademia, e specialmente Marsilio Ficino e Cristoforo Landino, vedevano la sintesi di tutto il pensiero religioso dell'antichità, e quindi anche del cristianesimo e perciò la più alta e vera religione possibile [...] L'accordo di questa teologia col cristianesimo si spiegava col riconoscere una fonte comune delle dottrine religiose di Platone e di Mosè...Cosicché il ritorno al platonismo non significava, per i seguaci dell'Accademia platonica, un ritorno al paganesimo, ma piuttosto un rinnovamento del cristianesimo, con la sua riduzione alla fonte originaria, che sarebbe stata appunto il platonismo.»

(Abbagnano, pp. 66-67)

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L'intellettuale di maggior spicco del suo entourage che lo aiutò in questo progetto fu Marsilio Ficino, figlio del primo medico di famiglia dei Medici al quale Cosimo rimase legato da profondi vincoli d'amicizia. Grazie alla competenza e all'erudizione di Ficino, Cosimo fondò l'Accademia neoplatonica, luogo ideale per il ritrovo degli umanisti ove potevano scambiarsi le varie teorie filosofiche, dando in tal modo una svolta radicale all'umanesimo fiorentino: dagli interessi "concreti" e pratici propri dell'umanesimo civile della prima metà del secolo, si passò a un'attività speculativa e contemplativa, sintomo della fine delle libertà civili e del dominio mediceo.

A favorire la diffusione della filosofia platonica fu però anche la scoperta del Corpus Hermeticum per opera del suo scrittore privato, il monaco Leonardo da Pistoia. Questi fu incaricato da Cosimo di reperire per suo conto antichi manoscritti in lingua greca e latina nei territori dell'ormai scomparso Impero bizantino. Nel 1460, durante un viaggio in Macedonia, il monaco scoprì i quattordici libri del testo greco di Ermete Trismegisto: si trattava della copia originale appartenuta a Michele Psello, risalente all'XI secolo. Ritornato a Firenze, Leonardo da Pistoia consegnò il testo a Cosimo de' Medici che non più tardi del 1463 incaricò Marsilio Ficino di tradurre dal greco al latino.

Attività bancaria

Nel patrimonio personale del Medici figuravano inoltre numerose botteghe artigiane in città, ereditate dal padre o da lui comprate. Nel catasto del 1427, per esempio, Cosimo possedeva due lanifici (cui nel 1433 si aggiunse un setificio) che, benché non rendessero quanto i suoi cambi, davano comunque lavoro a parecchi operai e stimolavano il commercio cittadino, oltre a consolidare la posizione medicea presso gli strati popolari.

Fonte: Wikipedia, l'enciclopedia libera

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