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Cosimo de' Medici
(✶1389   †1464)

Giudizio storiografico


I giudizi di Guicciardini e di Machiavelli

Nonostante avesse oppresso de facto ogni iniziativa politica diversa da quella impostata dalla fazione medicea, Cosimo gettò le basi della fortuna non soltanto della famiglia (continuate poi dal figlio Piero e dal nipote Lorenzo), ma anche di Firenze e, per questi due aspetti, meritandosi presso gli scrittori a lui contemporanei, un atteggiamento ondivago. La chiave del successo di Cosimo fu, di fatto, la moderazione: in una città come Firenze, ostile a ogni tipo di dittatura, egli lasciò una parvenza di libertà, non ergendosi esplicitamente mai al di sopra degli altri uomini politici, ma comportandosi sempre come un modesto cittadino. Francesco Guicciardini, nelle sue Storie Fiorentine, tratteggiò così la figura del Medici:

«Fu tenuto uomo prudentissimo; fu ricchissimo più che alcuno privato, di chi s'avessi notizia in quella età; fu liberalissimo, massime nello edificare non da cittadino, ma da re. Edificò la casa loro di Firenze, San Lorenzo, la Badia di Fiesole, el convento di San Marco, Careggio; fuori della patria sua in molti luoghi, eziando in Ierusalem; [...] e per lo stato grande, chè fu circa a trenta anni capo della città, per la prudenzia, per la ricchezza e per la magnificenzia ebbe tanta riputazione, che forse dalla declinazione di Roma insino a' tempi sua nessuno cittadino privato n'aveva avuta mai tanta...»

(Guicciardini, p. 93)

Inoltre, tratteggiando la figura dell'altrettanto celebre nipote, Lorenzo il Magnifico, Guicciardini, benché apprezzasse di entrambi le qualità politiche e umane, riconobbe la palma della grandezza a Cosimo: a differenza del nipote, infatti, Cosimo fu un abile finanziere, un magnifico promotore del mecenatismo pubblico (al contrario di Lorenzo che si concentrò principalmente nell'edilizia privata); al contrario, Lorenzo fu indiscutibilmente più versato nelle lettere e nelle arti del nonno Cosimo.

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Niccolò Machiavelli, nelle Istorie Fiorentine, fu più esaustivo del suo contemporaneo Guicciardini, elencando tutti i meriti e le opere buone compiute dal Medici. Ecco l'explicit del libro VII:

«Non di meno morì pieno di gloria, e con grandissimo nome nella città e fuori. Tutti i cittadini e tutti i principi cristiani si dolgono con Piero suo figliuolo della sua morte, e fu con pompa grandissima da tutti i cittadini alla sepultura accompagnato, e nel tempio di San Lorenzo sepellito, e per publico decreto sopra la sepultura sua PADRE DELLA PATRIA nominato. Se io, scrivendo le cose fatte da Cosimo, ho imitato quelli che scrivono le vite de’ principi, non quelli che scrivono le universali istorie, non ne prenda alcuno ammirazione, perché, essendo stato uomo raro nella nostra città, io sono stato necessitato con modo estraordinario lodarlo.»

(Machiavelli, p. 573)

Storiografia moderna e contemporanea

Il giudizio altalenante su Cosimo de' Medici continuò fino in piena età moderna. Più volte descritto come il Signore di Firenze già dal nipote Lorenzo, Cosimo fu in realtà «un uomo assolutamente convinto di avere i requisiti migliori per servire la sua patria come cittadino di primo piano, patrocinatore e protettore».

Osannato dai Medici quando, con Cosimo I (1537-1574), i Medici diventarono prima duchi di Firenze e poi granduchi di Toscana nel 1569, la storiografia tardo-settecentesca (scomparsa la dinastia medicea nel 1737 con la morte di Gian Gastone) e quella successiva si divisero tra chi considerava Cosimo «un tiranno cinico, egoista e borghese» come lo svizzero Simonde de Sismondi e chi, come gli storici George Frederick Young, John Rigby Hale, Tim Parks e altri, vi hanno visto un governo illuminato e saggio, nonostante la soppressione delle libertà repubblicane.

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La personalità


L'uomo politico

In base alle testimonianze dei suoi contemporanei, la figura di Cosimo de' Medici rispecchia quella di un ottimo politico, capace di mantenersi in equilibrio rispettando le libertà repubblicane e nel contempo mantenersi al potere lasciando a uomini di sua fiducia i posti chiave dell'amministrazione della Repubblica. Guicciardini parla di «prudenzia» quale termine chiave della psicologia del Medici, e lo stesso concetto è accolto da Hale. Lo stesso Vespasiano da Bisticci, suo bibliotecario e amico, si sofferma sulla prudenza quale caratteristica principale dell'animo di Cosimo:

«Ritornando a Cosimo, quanto era cauto nelle sua risposte, dove consiste assai la prudenza d'uno uomo [...] Tutte le sue risposte erano condite col sale. Erano moltissimi cittadini che, per li casi loro, andavano a Cosimo per consiglio.»

(Vespasiano da Bisticci, p. 261)

Di natura cordiale, amichevole e sincera, Cosimo era capace nel contempo anche di estrema severità nella gestione dello Stato. Secondo la testimonianza di Machiavelli Cosimo, a cui gli rimproverava l'esilio nei confronti degli Albizzi e dei loro simpatizzanti, rispose con la celebre frase:

«Com'egli era meglio città guasta che perduta: e come due canne di panno rosato facevano un uomo da bene; e che gli stati non si tenevano con i paternostri in mano»

(Machiavelli, p. 570)

Tale atteggiamento si può riscontrare, nel caso specifico, nei confronti dell'umanista Francesco Filelfo. A causa dei dissidi per la sua politica culturale antitetica a quella imposta da Cosimo, Filelfo fu oggetto di un attentato il 18 maggio 1433 da parte di tal Filippo Casali, ma l'umanista pensò che dietro il mandante ci fosse la longa manus del Medici.

Fonte: Wikipedia, l'enciclopedia libera

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